Pubblicato il 29/02/2016, 19:11 | Scritto da Gabriele Gambini

Attualità, crossmedialità e branded content: parlano Alberto Rossini e Gory Pianca di YAM112003

Attualità, crossmedialità e branded content: parlano Alberto Rossini e Gory Pianca di YAM112003
TVzoom ha incontrato i due dirigenti della casa di produzione: con Rossini, head of content, abbiamo discusso di branded content, di progetti in divenire, di "Top Dj" e di "Mixologist", con Pianca, Creative Director, del docu-reality di Real Time "Di fatto, famiglie".

La cultura della produzione televisiva come concorso di elementi, con contenuti d’attualità pensati in ottica multipiattaforma e destinati a diventare virali. Lo sviluppo di operazioni di branded content, con l’ideazione di prodotti che colpiscano un target preciso, profilato, non più spettatore passivo ma fruitore consapevole di programmi ad hoc, sganciati dalla vecchia logica delle sponsorizzazioni in tv. La mission editoriale di YAM112003, società del Gruppo Endemol Shine nata nel 2004, mira a far da ponte tra la vecchia tradizione televisiva e la comunicazione della nuova era digitale,  contribuendo a forgiare un’identità e un linguaggio riconoscibili. Abbiamo incontrato Gory Pianca, creative director dell’azienda, e Alberto Rossini, Head of Content, per conoscere più da vicino i progetti realizzati e quelli in divenire.

Gory Pianca, creative director di YAM112003, ha curato la realizzazione del docu-reality Di fatto, famiglie, andato in onda su Real Time il 31 gennaio, che ha raccontato punti di vista differenti sul quotidiano di 6 famiglie omogenitoriali italiane, valorizzando l’impianto divulgativo e affrancandosi da petizioni di principio indimostrate.

Di fatto, famiglie, è stato mandato in onda in un momento in cui il dibattito sul tema dei diritti civili e delle coppie omogenitoriali acquisiva un forte valore di contingenza. La scelta è stata voluta?

La prima volta che abbiamo discusso con Discovery l’opportunità di realizzare un programma del genere è stato nella primavera 2014, dunque in tempi non sospetti rispetto al dibattito politico successivo. Il tema ci pareva di grande valenza simbolica e di efficacia divulgativa. Con Discovery i rapporti sono solidi e loro avrebbero potuto rappresentare un interlocutore interessato, considerata la linea editoriale che hanno da sempre adottato.

Parliamo della genesi del programma.

Abbiamo cominciato raccogliendo informazioni su storie credibili e adeguate all’idea. La prima storia è stata trovata e raccontata nell’agosto 2014, ci è servita per realizzare un numero zero da sottoporre all’editore. Quando è giunto l’ok definitivo – parliamo della primavera del 2015 – abbiamo iniziato a lavorare sul resto.

Pare chiaro che lo sforzo principale da voi compiuto sia stato il tentare di raccontare la vita in una famiglia omogenitoriale dal punto di vista dei bambini.

Ci sembrava la prospettiva più efficace per fornire un quadro il più completo possibile sul quotidiano vissuto dai protagonisti. Lo sforzo maggiore è stato quello di intercettare i punti di vista di bambini di età diverse: dai neonati agli adolescenti, provando a descrivere la vita in una cosidetta “famiglia arcobaleno” attraverso 6 storie che simboleggiassero 6 ipotetiche tappe evolutive.

In ogni tappa, vi siete focalizzati su un singolo episodio emblematico per la vita di quel particolare microcosmo familiare.

Le soluzioni narrative che ci si sono presentate davanti erano tra le più diverse. Alla fine abbiamo pensato di filtrare la vita dei protagonisti attraverso tappe salienti della loro giornata.

C’è stato qualcosa che avreste voluto raccontare in modo diverso?

Nell’episodio riguardante il parto di una coppia di ragazze, non siamo riusciti ad arrivare in tempo per la nascita del bambino, evento che ci sarebbe piaciuto documentare nel dettaglio. Sulle prime ci sembrava di aver bucato una tappa fondamentale del racconto, poi ci siamo accorti che è stato meglio così: il nostro ritardo ci ha permesso di smarcarci da un contesto abbastanza stereotipato. In un altro episodio, un dirigente scolastico si è sottratto all’ultimo momento e non ci ha consentito di documentare il rapporto tra il figlio di una coppia omogenitoriale e la scuola in cui era iscritto. La decisione, beninteso, non aveva ragioni ostative, ma di opportunità. Poteva capitare, l’avevamo messo in conto.

Come avete vissuto l’atmosfera durante la realizzazione del docu-reality?

Dal punto di vista delle coppie protagoniste e dei personaggi collaterali – babysitter, amici, parenti – abbiamo percepito grande serenità. I commenti sui social hanno registrato un trend topic battuto su Twitter solo dal derby Milan-Inter: segno che l’argomento divide ma appassiona e stimola il dibattito.

Reazioni negative però ce ne saranno state…

Premessa: realizzando un prodotto come questo, abbiamo preso una posizione precisa. Ci siamo schierati, per ragioni personali e professionali. Nostra intenzione era che il pubblico lo percepisse e, forse anche per questo, le reazioni di chi ha guardato questo docu-reality sono state in prevalenza positive o hanno stimolato riflessioni. In particolare, ricordo una lettera ricevuta da una donna che scriveva di essere sulle prime contraria eticamente all’idea di un dibattito sull’estensione dei diritti civili, ma di aver cambiato idea dopo aver visto il programma.

Avete avuto l’ambizione di fare del servizio pubblico?

La tv fatta con dei criteri valoriali precisi ha una valenza documentaristica e di sensibilizzazione. Ci auguriamo di aver fornito un punto di vista differente, con pudore e senza forzature, rispetto ai dibattiti dei talk show classici, quelli in cui “a” si confronta con “b” e spesso il tutto finisce in contrapposizione sterile.

Alberto Rossini, ex dirigente Fox e, prima, nella dirigenza di altri broadcaster, è Head of Content di YAM112003. Con lui abbiamo parlato dei progetti in arrivo, da Mixologist su Dmax, seconda stagione del talent show per bartender in branded content con Campari, a Top Dj su Italia 1. Non scordando di definire i punti focali della mission editoriale dell’azienda.

Il tratto distintivo della vostra agenzia.

Nel corso degli anni abbiamo lavorato con tutti i principali broadcaster italiani. I nostri tratti caratterizzanti sono fondamentalmente due: una specializzazione sui branded content e una predilezione per la realizzazione di format originali.

Da dove nasce la scelta della tipologia di format, il destinatario editoriale e l’eventuale contatto con gli sponsor?

Da un percorso composito che si articola su modalità distinte a seconda della situazione. Spesso lavoriamo a stretto contatto con un brand, ne supportiamo l’idea e la sottoponiamo a un canale televisivo interessato a svilupparla in chiave branded content. In altri casi può essere il canale stesso a mostrarsi interessato a un accordo con un brand, chiedendoci di pensare a un programma ad hoc che abbia contenuti inclusivi verso il pubblico e rappresenti un immaginario valoriale riconoscibile. Altre volte ancora ci interfacciamo con la concessionaria di pubblicità o sviluppiamo una tematica della contingenza. Ci proponiamo di fare da trait d’union tra le esigenze dell’editore e del cliente.

Parlare di immaginario valoriale correlato a un brand è interessante, perché rende evidente la necessità di creare uno storytelling che esuli dal formato pubblicitario standard.

L’era multipiattaforma consente di ideare soluzioni pratiche che non passino dai soliti adv o dallo spot in senso classico: comunicare attraverso un’immagine e una storia ad essa correlata diventa fondamentale. Il caso più recente è Mixologist.

Mixologist parte il 6 marzo alle 22.50 su Dmax con la seconda stagione.

In Mixolgist, il meccanismo da talent show è una formula amata dal pubblico e, soprattutto, riconoscibile. In più, col supporto di Campari, si aggiunge un racconto profilato sul mondo dei cocktail e dei bartender: una moda diffusa, ma non generalista come quella degli chef. Una sorta di felice nicchia, che alimenta l’esclusività della proposta.

Altri progetti in cantiere? Soprattutto, desideri personali da sviluppare?

Ne abbiamo diversi, a differenti stadi evolutivi. Da Top Dj, che tornerà a raccontare il mondo del clubbing, questa volta su Mediaset, a due progetti, uno per Canale 5 e uno per LA5. Il primo riguarderà il mondo del food, il secondo le relazioni tra famiglie. Top Dj fornisce prospettive interessanti sulla musica, che un tempo si diceva (a torto, evidentemente) non tirasse più in televisione. Personalmente, credo poi che il mondo del dating e dell’incontro di amici che si erano persi di vista da tanto tempo fornisca spunti eccellenti da sviluppare in ottica di nuovi format. Oltre ovviamente alla docu-fiction, che mantiene intatta la sua efficacia.

Molti programmi da voi pensati hanno una forte componente di internazionalità, spesso riferita all’universo televisivo anglosassone.

All’interno dell’agenzia abbiamo un osservatorio che monitora le novità più interessanti del panorama internazionale. Gli Stati Uniti d’America sono molto forti sulla parte scripted dei prodotti, in particolar modo sulle serie e sul cinema, che non fanno parte della nostra mission editoriale ma che forniscono spunti concreti per capire dove sta andando il mondo.

Lei è un ex uomo di Fox. Sulle serie tv, ci sguazza.

Dice bene chi sostiene che la serie tv ha sostituito il cosiddetto “cinema medio”, cioè il cinema che non è blockbuster, nel racconto della contemporaneità. Un esempio è una serie vincente come Modern Family: intercetta messaggi su come sta andando la società, rielaborandoli e veicolandoli con efficacia. La mia esperienza lavorativa del passato mi consente facilità di analisi su questi aspetti, permettendomi di ragionare come ragionerebbe un broadcaster.

Oggi si parla molto di crossmedialità, voi siete anche il maggiore produttore in Italia di clip YouTube. Tutto questo concorre a sviluppare le vostre scelte e anche quelle delle agenzie concorrenti, dando una direzione precisa al futuro della tv?

Se controllo i nostri progetti, in generale su 30 pagine, 10 riguardano il programma, 10 l’estensione digitale e 10 le modalità di divulgazione sul territorio. Crossmedialità non significa realizzare un programma tv e poi appiccicarci di fianco un indirizzo social. Sarebbe troppo semplicistico. Per me crossmedialità significa integrazione di esperienze con un pensiero strategico, che le renda efficaci su più livelli e complementari. Come azienda, essendo nativi digitali, abbiamo nel DNA un modo di ragionare di questo tipo.

E la concorrenza con le altre agenzie che magari vi seguono sul vostro stesso terreno?

La concorrenza fa sempre bene, è uno stimolo. Quando poi il mercato tenderà a saturarsi, emergeranno darwinianamente le realtà che avranno saputo maggiormente adattarsi e svilupparsi.

Quanto influisce la parte social e la rete come veicolo di diffusione di un progetto, in chiave di accordo coi brand?

Anche qui, complementarietà è la parola strategica. Ci sono realtà tradizionali, anche factual, che stanno in piedi da sole, ma i social diventeranno sempre di più un vettore utile alla loro diffusione e  alla diffusione dei brand correlati. Fermo restando che a volte è il web ad andare in tv, a volte la tv a diventare bacino di utenza per il web, ma non è detto che ciò che funziona sul web, come idea o come talent da lanciare, funzioni anche in tv. E viceversa.

 

Gabriele Gambini

 

(Nell’immagine il logo di YAM112003)