Pubblicato il 26/02/2016, 14:34 | Scritto da La Redazione
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Tutti gli uomini di Campo Dall’Orto – Dal cinema alla tv, “Immaturi” è un serial

Rassegna stampa: L’Espresso, pagina 52, di Emiliano Fittipaldi.

Quattro amici al bar della Rai

Potere concentrato in poche persone, venute da fuori. Così il direttore generale vuole rivoluzionare la tv pubblica. Ecco chi sono e la rete delle loro relazioni.

Le nomine in Rai della scorsa settimana non solo segnano la prima pietra della futura Rai targata Renzi. Ma raccontano il passaggio a un nuovo metodo: se per decenni il controllo delle reti è stato spartito dai partiti con la logica del manuale Cencelli (una rete a destra, una a sinistra, l’ammiraglia ossia Rai 1 al Governo), il corso di Antonio Campo Dall’Orto si basa su un sistema di reclutamento simile a quello usato dal premier per la formazione delle squadre di comando al governo e nelle aziende pubbliche: quello della fiducia personale e dei rapporti amicali. Una cooptazione dove prevale più che l’appartenenza politica la professionalità (piacciano o non piacciano nessuno tra i direttori promossi a capo delle reti, da Daria Bignardi a Ilaria Dallatana, da Gabriele Romagnoli a Andrea Fabiano, è a digiuno di media e televisione), ma anche la forza delle lobby e delle relazioni. Le scelte dei nuovi vertici evidenziano il cambio di paradigma. Molto più dei partiti, del Pd e dello stesso Renzi, finora è stato Campo Dall’Orto e una sua ristrettissima cerchia a decidere tutto.

Ogni assunzione, ogni determinazione aziendale. «In Rai comandano in quattro, e sono tutti esterni: CDO (così per comodità viene chiamato al settimo piano di viale Mazzini il nuovo amministratore delegato) e i suoi tre luogotenenti, ossia Gian Paolo Tagliavia, Guido Rossi e Carlo Verdelli. Anche il nuovo capo degli affari istituzionali, Giovanni Parapini, è uno che conta e viene da fuori. I vecchi cacicchi non contano nulla, il consiglio non conta nulla, il presidente Maggioni non conta nulla», spiegano in azienda. L’amministratore delegato ha finora pochissimi estimatori interni. Non gli ha giovato far fare anticamera, anche di un’ora e mezza, a direttori e dirigenti (su 13mila dipendenti ce ne sono 560, di cui 80 guadagnano tra i 200 e i 240 mila euro l’anno). Né ordinare a qualche vecchio amico di far finta di non conoscerlo, e di non salutarlo per i corridoi. Campo Dall’Orto infatti odia le cordate, è gentile e riservato ma non parla a sei mesi dal suo arrivo ancora con nessuno. Finora ha concesso qualche incontro con responsabili e “apicali” assortiti durante i quali, più che proporre nuovi piani, programmi o modelli di business, ha ascoltato in silenzio. Prendendo appunti su un taccuino nero. Senza sbottonarsi. Mai.

«Per ora non ha dato direzioni a nessuno. È a Roma da martedì a venerdì mattina, il resto del tempo è a Milano a incontrare persone. Del direttore generale Luigi Gubitosi avevamo paura, temevamo sempre ci rivoltasse gli uffici come un calzino, ma sapevamo che cercava di capire cosa si faceva qui dentro. Campo Dall’Orto, invece, è chiuso nella sua torre d’avorio, non lo capiamo, e non sappiamo se lui capisca la Rai», ragiona più di un dipendente del quartier generale a Prati. E un fatto che l’ex gran capo di Mtv per rivoluzionare la Rai fa affidamento solo sui suoi fedelissimi. In primis su Guido Rossi, il neocapo staff che Campo Dall’Orto ha conosciuto a Mtv Italia, dove curava i rapporti istituzionali e organizzava alcuni eventi. Rossi è il factotum di CDO: gli fa da segretario e da parafulmine, ascolta le lamentele e presenzia gli incontri con i dirigenti. Come il capo, parla poco e scrive continuamente promemoria. Alla fine, però, decide: è lui che ha insistito per cambiare tutti e tre i vecchi direttori di rete ed è sempre lui, dopo il niet di Paolo Ruffini che CDO avrebbe voluto come capo di Rai 1, a dare via libera alla promozione del giovane Andrea Fabiano, vice di Giancarlo Leone che avrà il compito di modernizzare (ma non troppo, pare) la prima rete.

L’altro vertice del triumvirato è Tagliavia, anch’egli proveniente da Mtv, amico personale di Campo Dall’Orto e vero amministratore delegato ombra. Ex Publitalia, Tagliavia ha il compito di definire i contorni digitali della “media company” sognata da Campo Dall’Orto. In soldoni, il manager che negli ultimi due anni ha lavorato per le agenzie media di Interpublic Group (gigante globale della pubblicità) dovrà ristrutturare tutta l’azienda, far interagire reti, siti Internet e utilizzare il catalogo e il prodotto (finora pensati e fruiti per ogni singolo canale) a raggiera, dappertutto. «Rai Cultura e Rai Storia fanno spesso buoni programmi, ma sembrano canali fine a se stessi, bisogna che si integrino con il tutto, dobbiamo valorizzare quello che di buono facciamo», ripete Campo Dall’Orto ai consiglieri di amministrazione.

Oltre al triangolo magico, il nuovo potere Rai ha altri due protagonisti assoluti: Carlo Verdelli e Giovanni Parapini. Il primo, già vice di Ferruccio De Bortoli al Corriere della Sera e direttore di Vanity Fair, è dallo scorso novembre direttore editoriale per l’informazione: a differenza dell’investitura della Bignardi a Rai 3, voluta fortissimamente da Campo Dall’Orto in persona che la stima dai tempi di La7, la nomina dello scrittore Gabriele Romagnoli a Rai Sport, chiamato per modernizzare gli arrugginiti programmi del settore, è farina del suo sacco. E con ogni probabilità sarà ancora lui a consigliare alcuni dei nomi dei nuovi direttori dei telegiornali, che dovrebbero essere rinnovati dopo le amministrative, e che con Verdelli dovranno confrontarsi sulla riforma delle testate giornalistiche e, soprattutto, dei talkshow: a parte Ballarò di Massimo Giannini (nel mirino sia per lo share, ma soprattutto per essere troppo critico con il governo), rischia di chiudere anche Virus di Nicola Porro: ai nuovi vertici non è affatto piaciuta la scelta del conduttore di affidare editoriali al pregiudicato Luigi Bisignani. Qualcuno, però, teme che CDO e Verdelli invece di sperimentare puntino a un modello di informazione poco aggressivo. «Che sia glamour, alla moda, che misceli l’intrattenimento alle news, anche a dispetto della verità e delle inchieste sul campo», ha attaccato Carlo Freccero, prendendosela con l’intervista fatta da un tg a Sgarbi per commentare la morte di Umberto Eco.

Il nuovo capo della Comunicazione e delle Relazioni istituzionali Parapini, infine, chiude il cerchio magico. Campo Dall’Orto lo ha chiamato al posto di Costanza Esclapon (vicinissima a Gubitosi, è uscita dalla Rai con una buonuscita di tredici mesi, mentre Alessandro Picardi, capo delle relazioni istituzionali, è rimasto conservando un incarico “ad personam”) prelevandolo da Aleteia, un’agenzia di comunicazione che negli ultimi anni (nonostante un fatturato contenuto, inferiore ai 4 milioni di euro nel 2014) è riuscita ad ottenere contratti da colossi pubblici come Enel, Eni, Poste, Ferrovie dello Stato, Coni, Inps e la stessa Rai. Figlio di un paracadutista, di Aleteia e della nuova capogruppo, la società Hdrà, Parapini è stato direttore generale e mattatore fino a pochi giorni fa. Ultimamente si stava concentrando soprattutto su attività in ambito comunitario, inaugurando un ufficio a Bruxelles, e tessendo relazioni ovunque, Sud America compreso. «Parapini è uno capace di fondere comunicazione e lobby, è molto intelligente e capace», ragiona chi lo conosce bene. «Va detto che deve molto al suo grande amico e sodale, il fondatore di Aleteia Mauro Luchetti». Imprenditore originario di Spoleto, Luchetti è riuscito a muoversi bene sia nel pubblico che nel privato (i clienti spaziano da Unicredit a “La civiltà cattolica”), e di recente è riuscito a integrarsi anche al mondo renziano: nella sua casa a Piazza Farnese negli ultimi tempi hanno bazzicato parlamentari e leopoldini, protagonisti di feste in smoking e cenette in terrazzo. «Parapini ha conosciuto Campo Dall’Orto due anni fa, durante un Festival a Spoleto sponsorizzato proprio da Aleteia: i due si sono piaciuti subito, e Giovanni gli ha presentato un sacco di gente. Alla fine il rapporto si è stretto, eravamo certi che Antonio alla fine Io chiamasse alla comunicazione». Il manager una volta arrivato in Rai si è ovviamente dimesso da qualsiasi incarico interno al gruppo Hdrà, e il suo posto è stato preso da Benedetta Rizzo (che oggi ha il 2 per cento delle quote, il 98 per cento è appannaggio di Luchetti), ex lettiana di ferro, ideatrice del think-tank Vedrò e, fino all’anno scorso, consulente di Rai Com.

Chi conta assai meno di quello che vuol far credere all’esterno, invece, è Monica Maggioni. Presidente della Rai grazie all’indicazione di Berlusconi e del centrodestra, i maligni sostengono che faccia di tutto per passare come renziana doc: in consiglio è sempre schiacciata sulle posizioni dell’amministratore delegato, anche se Campo Dall’Orto finora non sembra averla mai consultata per le nomine. Non solo lei, ma nessuno dei componenti del consiglio di amministrazione: CDO non solo decide senza consultarli, ma preferisce comunicare le sue scelte a cose fatte, perché teme che i consiglieri (anche quelli della maggioranza) possano passare ai giornali le informazioni. «Ci considera in pratica dei possibili delatori, e non ci dice nulla» commenta uno dei consiglieri. «Per sapere cosa succede ai piani alti dobbiamo muoverci come degli investigatori. È frustrante». L’unica cosa che hanno capito tutti è che presto dovrebbe cambiare tutto. Per davvero. «Il nuovo corso da alcuni è bollato come un “bluff totale”, mentre altri credono che per un giudizio sia doveroso aspettare il nuovo piano industriale e i palinsesti della prossima stagione». Campo Dall’Orto, in effetti, finora non ha potuto toccare palla: non solo la legge gli ha consegnato i pieni poteri di amministratore delegato solo qualche settimana fa, ma appena arrivato lo scorso agosto si è accorto che non avrebbe potuto incidere sul prodotto per mesi. Né fare alcuna scelta editoriale su nuovi programmi. «È arrivato ad agosto, e si è arrabbiato con noi e con Rai Cinema perché non ha trovato un euro in cassa», racconta un dirigente che lavora con Antonio Marano, fino a pochi giorni fa coordinatore dell’offerta radiotelevisiva e responsabile degli acquisti, spostato oggi alla presidenza di Rai Pubblicità. «Gli abbiamo spiegato che non è colpa nostra, ma del sistema». In Rai, in effetti, c’è un unico budget per tutte le reti, satellitari comprese, per cui ogni anno parte l’assalto alla diligenza: per timore di rimanere senza soldi e per paura che qualcuno bruci anche il tuo tesoretto, ogni direttore spende e spande appena possibile lanciando nuove produzioni, acquistando “librerie” e facendo magazzino. Il tutto nei primi mesi dell’anno. In pratica a giugno 2015 era stato impegnato l’intero budget fino a metà di quest’anno. CDO ha promesso che questa follia finirà presto, e che riorganizzerà gli acquisti.

Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, sa già che se riuscisse a mantenere la poltrona non sarà più lui a comprare direttamente i film, visto che la nuova dirigenza accentrerà ogni potere di spesa. Anche i canali dei bambini, guidati da Massimo Liofredi, saranno profondamente modificati: i nuovi capi non vogliono che le reti siano fatte integralmente di programmi comprati all’esterno. Altre linee guida del palinsesto prossimo venturo dovrebbero essere “l’operazione giovani” (riconquistare, attraverso film, serie tv e prodotti ad hoc il pubblico giovane che non segue la Rai da lustri), la chiusura di programmi copiati dalla concorrenza (The Voice, ha detto Campo Dall’Orto, «è una brutta copia di X Factor ») e l’attenzione maniacale ai social. Il nuovo corso, però, deve darsi una mossa: l’immobilismo (vero o obbligato) che ha caratterizzato i primi sei mesi non sarà tollerato ancora a lungo da Palazzo Chigi. Il fatto che gli strali del pasdaran Michele Anzaldi contro la nuova dirigenza non siano stati smentiti in alcun modo dai renziani di stretta osservanza dimostra che il premier vuole un’accelerazione nella rottamazione Rai. Della partita non sembra più essere attore protagonista Giancarlo Leone, storico dirigente e direttore di Rai 1 fino all’altro ieri spostato al coordinamento del palinsesto: un ruolo importante ma che non avrà più con ogni probabilità il controllo degli acquisti. Leone ha provato a resistere, qualcuno lo dava come vicedirettore generale insieme a Luigi De Siervo, altri evidenziavano che volesse tornare a Rai Cinema, alla fine nonostante il successo di Sanremo s’è visto sostituire dal suo vice Fabiano. Lo stesso De Siervo, amico personale del premier, è rimasto ai box: lui e Campo Dall’Orto finora non si sono presi, tanto che qualcuno ha fatto girare un suo addio, destinazione Enit, che sembra però fantascientifico. Da Eleonora Andreatta, capo della fiction, a Del Brocco passando per i burocrati del personale, di certo nessuno è più al sicuro: ora che la squadra si è faticosamente formata, Campo Dall’Orto non ha più alibi e deve rivoluzionare tutto, stringendo denti e tempi.

 

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 49, di Renato Franco.

Dal cinema alla tv, “Immaturi” è un serial

Le nuove strategie Mediaset sulla fiction. In arrivo anche la biografia del Papa in due puntate.

È il regista del momento. Paolo Genovese con Perfetti sconosciuti è in cima al box office, oltre 8 milioni di euro, che lo fanno già entrare tra i 10 incassi più alti della stagione. Ora si prepara a debuttare in un progetto tv per Canale 5. È Immaturi – La serie, che riprende le fila dei personaggi protagonisti dell’omonimo film del 2010 diretto ovviamente sempre da Genovese. Allora il meccanismo della commedia scattava nel momento in cui annullato il loro esame di maturità un gruppo di 40enni si trovava a dover ripetere la prova. Spiega Alessandro Salem, direttore generale Contenuti Mediaset: «Il tono è quello della commedia e l’idea è serializzare i personaggi che erano protagonisti del film; qui la chiave è il rapporto per niente centrato, pur essendo adulti con il senso di responsabilità. Si parla della loro relazione con l’amore e la coppia, con i figli, con l’era digitale e ognuno di loro troverà la soluzione più personale». Nel cast ritornano alcuni dei protagonisti di allora: Luca e Paolo, Ricky Memphis, Maurizio Mattioli, oltre a Ilaria Spada, Nicole Grimaudo, Daniele Liotti. II via alle riprese tra due mesi, alla fine saranno otto puntate in onda nel 2017.

Sulla fiction Mediaset è in atto un discorso complessivo. Riflette ancora Salem: «La lunga serialità è la cosa più difficile da realizzare per un network, è più complicata da costruire rispetto alle miniserie. Ormai alcuni dei nostri titoli di punta dai Cesaroni a Distretto di polizia avevano esaurito la loro spinta. Quando pensi in lungo devi ragionare in termini di intrattenimento ed evasione. E allo stesso tempo far sì che lo spettatore si affezioni a un mondo o a dei personaggi. Con Genovese seguiamo questa seconda strada. C’è anche un’altra via che vogliamo riprendere, quella di raccontare grandi fatti e grandi personaggi della storia contemporanea, pezzi di storia d’Italia, come abbiamo fatto con tante miniserie, da Borsellino a Provenzano, fino a Maria Montessori». In questo solco si inserisce Chiamatemi Francesco, il film sulla vita di Papa Bergoglio diretto da Luchetti che dopo essere uscito nelle sale avrà una extended version per la tv, con due serate da 100 minuti a fine primavera.

Perché tra i compiti di Salem rientra anche il coordinamento con case di produzione e distribuzione (Medusa è controllata Mediaset) per pianificare un’offerta organica. Si punta su target diversi e mirati. Imminente è l’arrivo (metà marzo) di Non è stato mio figlio, che vede il ritorno di Garko dopo le gaffe di Sanremo. Più avanti (in aprile) tutt’altro genere: Task Force, su una missione militare di aiuti in Afghanistan, con Raoul Bova e Megan Montaner. «Dobbiamo trovare il modo di essere contemporanei – è l’analisi di Salem -, pensare a formule nuove per stare su un mercato notevolmente cambiato: il digitale ha modificato l’offerta, l’on demand i modi e i tempi di visione. La tv generalista deve puntare su contenuti originali in grado di far fermare spettatori che sono sempre in corsa, e per questo devi emergere dal magma dei 100 canali. La chiave per un network generalista come Mediaset è la capacità di aggregare. Perché se la pay e l’on demand creano un consumo isolato e non condiviso, la nostra forza è quella di riunire davanti alla tv persone che discutono di quello che stanno vedendo sul cosiddetto second screen (lo smartphone o il tablet). Il pubblico avrà sempre più bisogno di momenti di forte condivisione collettiva che solo grandi eventi tv in diretta possono dare: Amici è stato il primo e il più forte in assoluto. Nel 2015 è successo anche con L’Isola dei Famosi e speriamo di ripeterci. La nostra contemporaneità sta nel produrre non isolamento, ma condivisione».

 

(Nella foto Antonio Campo Dall’Orto)