Pubblicato il 25/02/2016, 13:35 | Scritto da La Redazione

Verdelli: in Rainews fermi al ‘900, non useremo il Cencelli – La class action è già pronta per il canone Rai

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 6, di Giovanna Cavalli.

Verdelli: in Rainews fermi al ‘900, non useremo il Cencelli

«Se userò il manuale Cencelli per scegliere i nuovi direttori delle testate? Mica tanto, non ho mai lavorato con questo concetto», ha spiegato Carlo Verdelli, chiudendo, almeno per quel che lo riguarda, l’era della ripartizione lottizzata dei tre tiggì. «Non sono di nessun partito. C’è chi mi accusa di essere renziano, ma il premier non lo conosco, l’ho visto solo in tv, mai sentito nemmeno per telefono», ha chiarito davanti alla commissione di Vigilanza. Non ha fretta di procedere alle nomine. Quello che conta, per il neodirettore editoriale dell’informazione di viale Mazzini, è il progetto («Nostro compito è informare, non tranquillizzare»), non il quando o il chi: «Quelli considerati adatti resteranno, gli altri verranno sostituiti». Orfeo, Masi e Berlinguer sono avvisati. Chi lo conosce sa che lo intende sul serio e questa sua intransigenza potrebbe complicare i piani di qualcuno. Intanto però lui pensa a svecchiare l’informazione di una Rai a cui «si è rotto l’orologio ed è come ferma al Novecento».

A cominciare da Rainews, dove stamattina si insedia ii nuovo direttore Antonio Di Bella. «Fa numeri troppo piccoli rispetto alle persone che ci lavorano». Share dello 0,40 per circa 200 giornalisti, divisi però tra all news, Televideo e sito Internet «che sta al 21° posto nella classifica degli utenti unici del web, inaccettabile». Un passaggio che ha allarmato il sindacato. «Ascolti le redazioni», chiede Usigrai. Verdelli in realtà non annuncia esuberi ma vorrebbe valorizzare le risorse. Un’idea è quella di ridurre a due le edizioni dei tre tg, una a pranzo e una a cena, e usare Rainews come service per tutte le reti.

 

Rassegna stampa: Panorama, pagina 46, di Antonella Piperno.

La class action è già pronta

Associazioni di consumatori, avvocati civilisti e penalisti, costituzionalisti. Più, ovviamente, molti politici dell’opposizione e gli utenti. Tutti insieme contro “l’imposta più odiata dal 1938 a oggi” nella fattura dell’energia elettrica. Che da luglio entrerà nel mirino della prima azione legale, lanciata da un tributarista romano. Per mettere addirittura in discussione il concetto, abusato, di servizio pubblico.

Nello studio capitolino di Luigi Piccarozzi, avvocato tributarista celebre per le sue battaglie contro Equitalia e per l’impignorabilità della prima casa, sono già pronti un centinaio di ricorsi che diventeranno una class action contro il pagamento del canone Rai in bolletta. «È una trovata incostituzionale e illegittima perché lega l’imposta televisiva al servizio di fornitura elettrica e impone l’inversione dell’onere della prova» chiarisce Piccarozzi. Si presume infatti che in tutte le case in cui c’è la luce troneggi almeno un televisore, e chi non lo possiede è tenuto ad autocertificarsi. Ogni anno. È questa l’unica modalità prevista, oggi, per non pagare i 100 euro «dell’imposta più odiata dal regio decreto del 1938 ai giorni nostri», come la definisce nel suo sito l’Aduc, l’Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori che la combatte da sempre. La class action di Piccarozzi scatterà in luglio, con l’arrivo della prima bolletta «ibrida». In realtà la data è

sempre più incerta, visti i ritardi del decreto attuativo (che doveva essere pronto il 15 febbraio) e anche alla luce del grido d’allarme delle società elettriche, le quali ora chiedono che «il servizio sia remunerato» (anche se aggiungono un po’ paradossalmente che non vogliono però «che questa commissione possa ricadere sui cittadini»). Sta di fatto che la proposta di Piccarozzi è assai simile a quella del costituzionalista Luca Antonini. Mentre Antonini per trascinare davanti al giudice l’«affaire canone Rai» propone di pagare 20-30 euro in meno e chiedere la disattivazione del segnale Rai, Piccarozzi invita a non versare neanche un centesimo, impugnando il pagamento con un ricorso alla commissione tributaria. E con l’invio preventivo alla Rai di una dichiarazione di non volere più usufruire dei suoi programmi tv.

Piccarozzi è in folta compagnia, visto che a cinque mesi dallo sbarco della prima bolletta sta andando in scena una rivolta popolare. Protagonisti, accanto ai politici come Alberto Airola (il portavoce del M5s in Vigilanza Rai che ha appena postato su Twitter il video «#ilcanoneRai in bolletta è illegittimo» in cui paragona la Rai a un ministero di propaganda renziana), anche tante associazioni di consumatori, avvocati, costituzionalisti, docenti di diritto pubblico. Oltre naturalmente alle migliaia di utenti inferociti che si sfogano nei forum delle associazioni con post di questo tipo: «Perché dobbiamo pagare per un carrozzone che produce solo debiti e compensi fuori mercato a presentatori e giornalisti?». O semplicemente: «Ma siamo sicuri che Antonella Clerici sia servizio pubblico?».

Nonostante varie sentenze abbiano finora legittimato il canone, le associazioni di consumatori stanno aspettando al varco la bolletta per sferrare l’attacco. Ma intanto dal Codacons all’Unione nazionale consumatori, passando per Altroconsumo, partono petizioni che chiedono di abolirlo. Quando arriveranno i decreti attuativi «il Codacons li impugnerà davanti al Tar» spiega Giorgia Villani, legale dell’associazione che punterà sull’illegittimità della presunzione del possesso della tv, della sovrapposizione di luce e canone e della sproporzione tra balzello e valore della tv sottolineata anche da Antonini, «nonché sulla determinazione del canone». Chi ha dieci tv costose paga infatti quanto la vecchietta che ne possiede una degli anni Sessanta. Mauro Antonelli, del centro studi dell’Unione nazionale consumatori, è convinto che il sistema imploderà quando Rai, società elettriche e ministero dello Sviluppo economico incroceranno le loro banche dati per capire a chi indirizzare il bollettino. E consiglia di non inviare autocertificazioni preventive. «Attaccare chi ha orchestrato questo pasticcio sarà più semplice che organizzare una class action» sostiene, preparandosi però a chiedere sanatorie per le eventuali multe: «Non accetteremo sanzioni da chi ha modificato le regole, per di più scrivendole male».

E ancora: nella sua petizione l’Unione consumatori punta a ridurre l’importo del canone a 77 euro («si recupererebbe comunque l’evasione»), a esentare non solo gli over 75enni a basso reddito ma anche chi è più giovane e non se la passa bene. L’associazione combatte anche contro l’eccesso di pubblicità, ormai spalmata perfino su Televideo. Come Pietro Giordano, presidente di Adiconsum, che è pronto ad aprire confronti con l’Agenzia delle entrate e dichiara: «Visto che incassa il canone, la Rai dovrebbe tagliare gli spot». Perché l’altra questione è anche quella appena sollevata dal numero uno de La7 Umberto Cairo e da Gina Nieri, membro del cda di Mediaset, che puntano a fare revisionare la quota di pubblicità della rete pubblica. In tanti si chiedono se sia legittimo che, grazie al canone legato al possesso della tv, la Rai si assicuri un maggior gettito di circa 280 milioni nel 2016 che vanno aggiunti al miliardo e 650 milioni dell’attuale gettito del canone e ai 700 milioni di pubblicità. Totale: oltre 2,6 miliardi.

È giusto? «Il vero nodo non sta nella legittimità del canone, avallata dalla sentenza della Corte costituzionale del 2002 imperniata su possesso della tv e oneri del servizio pubblico» osserva Beniamino Caravita, docente di diritto pubblico alla Sapienza e specialista in temi televisivi. Il tema che può far saltare il banco è invece «stabilire se oggi il servizio pubblico lo svolga la Rai o gli altri soggetti tv. Per esempio, l’informazione sul traffico non è fatta solo dalla tv di Stato». E se, aspettando le correzioni, un telespettatore esasperato decidesse di mentire, autocertificando di non possedere la tv? Finirebbe sotto processo. Un’eventualità che Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione delle camere penali, trova «sproporzionata»: «Così si intasano i tribunali, che dovrebbero occuparsi di ben altri reati» osserva. «La falsa autocertificazione dovrebbe invece essere considerata un fatto di particolare tenuità e rientrare quindi tra quelli non punibili». Per chi il canone proprio non lo digerisce, l’opzione per non rischiare davvero nulla è quella, radicale, di rinunciare alla tv, proposta dall’Aduc con la sua campagna di boicottaggio «Disdici il canone Rai per la legalità delle istituzioni». Spiega il presidente Vincenzo Donvito: «Visto che la tassa è un drenaggio fiscale per finanziare la Rai noi consigliamo di rinunciare alla tv. Per guardare i programmi basta un computer». Sempre che la banda larga funzioni, però. E per chi considera il gesto troppo penalizzante, sul sito dell’Aduc (con l’avvertenza, «questo non è un invito a evadere il canone») c’è comunque un’informazione preziosa: senza un mandato di perquisizione, nessun incaricato Rai o della Guardia di finanza può pretendere di entrare in casa per verificare se avete un televisore.

 

(Nella foto Caro Verdelli)