Pubblicato il 22/02/2016, 13:34 | Scritto da La Redazione

Bein Sport, il calcio francese torna a Bollorè – Pubblicità Sorpresa, i ricavi (misti) crescono

Rassegna stampa: Affari&Finanza, pagina 26, di Stefano Carli.

Bein Sport, il calcio francese torna a Bollorè

La filiale francese della Qatar Investment Authortty perde 250 milioni l’anno e il fondo sovrano decide di non sostenerne più lo sviluppo. Di qui l’accordo con Vivendi per mettere i tre canali e i diritti sulla Ligue 1 dentro Canal+.

La conferma è arrivata mercoledì sera dal sito di Le Monde: l’accordo commerciale in esclusiva per i diritti della Ligue 1 (la Serie A francese) tra la Bein Sport e Canal+ è stato varato. Si tratta ora di definirne i contorni economici e giuridici (e non sarà partita di poco conto), ma il dubbio è stato sciolto: Bein Sport non gestirà più i suoi tre canali di pay tv in competizione con la tv di Vivendi. Non è un caso che l’accordo nasca pochi mesi dopo l’aggiudicazione della nuova tornata di assegnazione delle immagini video delle partite, che ha visto il listino dei diritti crescere di un altro 20% e arrivare a 750 milioni di euro circa per i tre campionati che vanno dal 2016-17 al 2019. Un’asta che ha visto Canal+ impegnarsi per circa 500 milioni l’anno e Bein Sport per circa 300. Un risultato che rovescia quello della tornata precedente, che comprende quindi anche il campionato in corso, che aveva visto Bein Sport conquistare 8 partite su 10 lasciando a Canal+ solo i due top match di ogni giornata. Campionato ad alto tasso di competizione, quello francese sui diritti, ma che non dà altrettanti risultati a livello economico.

Canal + continua a perdere abbonati, si parla di quasi 90mila in meno a fine 2015. Ma neanche per Bein Sport le cose vanno benissimo. È arrivato a quota 2,5 milioni di abbonati, ma perde tra i 200 e i 250 milioni l’anno. Il fatto è che un segno meno all’ultima riga del bilancio non ha mai preoccupato una società come Bein Sport. Almeno fino ad oggi. Bein Sport è infatti il braccio sportivo di Al Jazeera, la news tv del Qatar. Nata come Al Jazeera Sport Channels nel 2013 ha cambiato nome e ha dato il via a una strategia di espansione nella gestione dei diritti sportivi. A capo di Bein Sport media c’è Nasser Al-Khelaifi, non un membro della famiglia reale qatriota ma molto vicino all’attuale emiro Tamim bin Hamad al-Thani. È sotto la regia di Al-Khelaifi che il sistema Bein Sport ha preso a correre. E la conquista dei diritti del calcio francese era sembrato essere il passaggio cruciale dell’ingresso del gruppo sui tavoli più importanti dei diritti sportivi mondiali. Finora insomma Bein Sport ha sparso denaro a man bassa ma ora le cose sembrano cambiate. Il crollo del prezzo del petrolio sta facendo comparire sostanziosi deficit di bilancio nei conti dei ricchi emirati arabi. Analisti di Borsa hanno ipotizzato il disinvestimento di forti partite da parte dei fondi sovrani del Golfo come una almeno delle cause dei crolli dei listini delle scorse settimane. E le prime voci su una possibile vendita di Bein Sport France si inseriva bene in questo scenario.

Ora la voce dell’accordo sembra smorzare questa interpretazione, ma non la smentisce del tutto. L’accordo con la Canal+ di Vincent Bollorè dice infatti, che comunque l’avanzata è finita. Ora al massimo si consolidano le posizioni e quando si può si fa cassa. I termini dell’accordo con Bollorè sono ancora tutti da scrivere ma analisti e addetti ai lavori concordano che per capire che cosa succederà non bisogna spingersi troppo lontano. Basta guardare alla Spagna dove nei mesi scorsi si è concretizzato un accordo per portare il canale pay di Bein Sport dentro Movistar, la pay tv di Telefonica, distribuita sia via cavo che via satellite. Un accordo commerciale di distribuzione in esclusiva, quindi, come quello che si costruirà in Francia. In pratica succederà che la pay tv qatarina continuerà a offrire abbonamenti alle sue partite e ai suoi eventi sportivi, ma solo agli abbonati di Canal+ e non più in concorrenza con la pay tv del gruppo Vivendi. Vuol dire che l’intero calcio francese, Ligue 1 e 2 (la Serie B), le partite di Champions e Europa Legue, e altri diritti che fanno capo a Bein Sport (dal MotoGp al tennis di Wimbledon, al rugby) saranno distribuite dal prossimo settembre solo sulla piattaforma di Canal+.

Le perdite di Bein Sport France dovranno trovare compensazione in questo nuovo quadro e non sarà un compito facile da gestire. Da una parte c’è il problema che il calcio ha perso audience in Francia. Effetto paradossale proprio dello strapotere sul campo proprio del Psg, al punto che è al contrario aumentata l’audience delle partite della Premiere League inglese. Aumento di audience che Canal+ si è visto scippare a dicembre dal suo concorrente Numericable che ne ha conquistato i diritti per le prossime stagioni. Il secondo nodo da sciogliere è quello più propriamente economico: Bein Sport sta tuttora offrendo abbonamenti al calcio a 13 euro al mese: un costo troppo basso a fronte del costo dei diritti e alla gestione dei tre canali satellitari “pieni” che funzionano cioè tutto il giorno e tutti i giorni. e dei 7 accesi in contemporanea solo in concomitanza con le partite. In assenza di concorrenza il prezzo è destinato a risalire. Ma i termini economici dell’accordo hanno anche un altro punto di vista importante ed è quello di Vincent Bolloré. Da che ha preso la guida operativa di Vivendi, nel maggio scorso, poco ha fatto capire delle sue strategie riguardo al settore tv. Dopo aver cambiato il ceo di Canal+ in settembre è sembrato più impegnato sul fronte italiano e nella scalata a Telecom Italia che in patria. Dove finora aveva solo siglato in novembre un accordo per prendere il 26% di Banijay-Zodiak terzo gruppo europeo di produzione di contenuti tv, dai format alle serie. Ma l’ingresso nella società guidata da Marco Bassetti e nel cui capitale si troverà a fianco della Exor degli Agnelli, di De Agostini e del re del lusso Arnault, avverrà solo nei prossimi mesi.

L’accordo con Bein è quindi il primo passo per portare Canal+ fuori dalle secche strategiche in cui è incagliato: soprattutto l’eccessiva esposizione sul mercato francese, visto che all’estero Canal+ è presente solo in Polonia e in Africa. L’accordo con la tv del Qatar gli potrebbe aprire la strada al mercato nord africano e mediorientale. Una Vivendi più proiettata sul mercato tv internazionale, e tuttora forte della sua invidiabile liquidità ha già fatto ripartire la giostra delle illazioni sulle strategie italiane di Bollorè. Ipotesi che non possono non tornare a girare attorno ad Arcore, dove Yannick Bollorè, figlio di Vincent e presidente e ceo di Havas, è andato a far visita pochi giorni fa in compagnia di Tarak Ben Ammar, amico di lunga data del padre Vincent e di Silvio Berlusconi. Oggetto, si immagina, le sorti di Premium, la pay tv di casa Mediaset che i costi del calcio tengono ancora lontana dal break even.

 

 

Rassegna stampa: CorrierEconomia, pagina 2, di Maria Teresa Cometto e Massimo Sideri.

Pubblicità Sorpresa, i ricavi (misti) crescono

Nel 2015 la raccolta è stata di 6,27 miliardi (-0,5%). Ma tocca i 7,9 (+1,7%) aggiungendo tutto il digitale. Su la spesa dell’alimentare. Crescita trainata dal web e dal «search advertising». Sale la radio, tiene la tv. E Google continua a non fornire i dati.

Il business della pubblicità, in questo momento, è tra i più attraenti ma anche tra i meno misurabili del mondo. In Italia il mercato è in lieve flessione, mentre negli Stati Uniti la raccolta dei media digitali supererà quella della carta e della televisione. Il web è il fattore che spariglia le carte: la guerra agli spot su smartphone è già iniziata. E intanto le grandi aziende vanno oltre le réclame classiche con i video «brandizzati». La pubblicità in Italia dimagrisce. Di poco, ma i numeri sono numeri: se nel 2014 la raccolta pubblicitaria totale era stata di 6,304 miliardi di euro, il 2015 è andato in cantina con 6,271 miliardi secondo le rilevazioni fatte da Nielsen. Una variazione dello 0,5 per cento. Poi, all’interno della galassia pubblicitaria, ci sono orbite che tengono e altre che invece mostrano segni di cedimento: la tv, per esempio, non sembra avere risentito del tema dell‘Audigate chiudendo l’anno – as usual – con la fetta maggiore di introiti: 3,649 miliardi in crescita dello 0,7 per cento. La radio continua a non mostrare i segni dell’età (la prima trasmissione è datata 1893 per mano di Nikola Tesla) e porta a casa un rialzo dell’8,8% con 373 milioni di euro. I quotidiani scendono del 6,6% a 755,55 milioni.

La Rete Decresce anche la raccolta Internet (fonte: Fcp-Assointernet), passata a 463 milioni dai 466 del 2014. Qui c’è una novità: anche Internet, sulla base delle stime di Nielsen relative al totale del web advertising, aggiungendo dunque la porzione di mercato non monitorata, si sarebbe distinta chiudendo l’anno con una crescita dell’8,5%. Il vero tema è che queste rilevazioni continuano a soffrire di un «peccato originale» legato all’assenza del player più grande del settore: Google. Il monitoraggio di Nielsen si basa sulle informazioni date dalle società o anche dalle associazioni (per i quotidiani la fonte è FcpAssoquotidiani), ma, appunto, Google non ha mai fornito numeri. Il nodo è finito anche sul tavolo del Tar del Lazio tempo fa, quando l’Agcom aveva chiesto le informazioni alla società. La motivazione ufficiale della società è sempre stata quella di non fornire dati che potrebbero avvantaggiare la concorrenza (quale?). In realtà il sospetto è sempre stato che non volessero rendere trasparente il giro d’affari per le note questioni fiscali. Sta di fatto che dalle pieghe delle vicende del Tar e soprattutto dai rilievi della Guardia di Finanza ciò che emerge è un giro di affari di oltre il miliardo di euro. Per capire veramente qual è il trend del mercato pubblicitario in Italia bisognerebbe dunque conoscere lo storico di questi dati di Google. È facile immaginare che la raccolta sia cresciuta in questi ultimi anni man mano che il mercato maturava. Dunque, cambiando il punto di vista, il mercato in questi anni sarebbe stato ugualmente in grossa difficoltà visto che durante il ciclo 2000-2008 erano quasi stati toccati i 10 miliardi di raccolta totale. Basta ricordare che in soli dieci anni il settore dell’automobile è passato da 930 a 590 milioni di investimenti. Le telecomunicazioni da 715 a 328. Il segmento alimentare, da sempre il primo, è sceso da 1,1 miliardo a 841 milioni. Ma certo, considerando l’effetto Google, l’andamento negativo sarebbe risultato attenuato.

L’esterna In effetti i conti tornano visto che se aggiungiamo la stima totale del digital (search advertising, social, video e classified) il 2015 si è chiuso per Nielsen a 7,912 miliardi con una crescita del totale media dell’1,7 per cento. Andando più a fondo, risulta sensibile l’incremento del mondo dell’out of home che, grazie a Expo 2015, ha chiuso con un segno positivo: outdoor +3,3%, transit +15,6% e out of home +13,1%. Si conferma l’andamento negativo per il direct mail e il cinema, rispettivamente in calo dell’8,3% e del 4,1%. Nel solo mese di dicembre, il mercato cresce del 4,5%. Relativamente ai singoli mezzi nell’ultimo mese dell’anno, la raccolta sulla Tv e sulla radio sale rispettivamente del 7,3% e del 5,1% rispetto allo stesso periodo del 2014. Internet cresce complessivamente del 6,5%, mentre la stampa segna un calo del 2,3 per cento. Settori Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 11 in crescita nel 2015, con un apporto di circa 176 milioni di euro. Per ì primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti nei 12 mesi: alla crescita di alimentari ( + 6,5%, circa 51,7 milioni) e farmaceutici (+8,6%, circa 25,8 milioni), si contrappone il calo di finanza/assicurazioni (-8,7%, circa 28,5 milioni) e telecomunicazioni (-7,7%, circa 27,7 milioni). I maggiori apporti alla crescita arrivano da servizi professionali (+7,9%), bevande/alcolici (49,3%) e gestione della casa (+8,5%).

 

(Nella foto Vincent Bollorè)