Pubblicato il 22/12/2015, 13:39 | Scritto da La Redazione
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Rassegna Stampa – Arbore, il contagio buono: e pure Fazio torna arborigeno – Così Checco Zalone ha trasformato il salotto di Fazio in una parodia

Rassegna Stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 20, di Nanni Delbecchi

 

Arbore, il contagio buono: e pure Fazio torna arborigeno

 

I cinquant’anni di carriera di Renzo Arbore vengono giustamente celebrati nei modi multiformi del suo genio; la mostra al Macro di Roma sintetizza le gesta del capotribù, mentre l’immaginifico Michele Serra ha esaltato l’allegria dell’uomo (ma forse Arbore è così allegro solo quando incontra Serra). Eppure la tv da troppi anni resta orfana del suo più grande autore, ormai non è tanto che Arbore non vuol tornare, quanto che la televisione non vuol venirgli incontro; nulla di più lontano dalle jam session arboriane dei format e dei talent alla moda. Quest’anno c’è però un’eccezione, Il Fuori tempo che fa di Fabio Fazio (RaiTre, sabato sera). Mantecando le ospitate più o meno promozionali in un talk ad altro tasso di cazzeggio, Fazio va in controtendenza, riscopre quanto ha trascurato da quando è diventato l’araldo dell’Italia radical-chic le radici di entertainer, battutista “mescolato, non agitato” (direbbe James Bond), arborigeno moderato ma autentico. L’effetto è un “che fuori Arbore che fa”, cui il recupero di Nino Frassica dà il sigillo finale. Frassica è il vero lascito di Renzo Arbore alla tv di oggi, un concentrato in purezza di nonsense, grammelot e calembour; tutto ciò che tocca diventa surreale, sabato scorso perfino Gigi Marzullo sembrava reduce da Quelli della notte. Se poi gli capita di incontrare un altro vecchio leone come Renato Pozzetto si va davvero fuori tempo, indietro tutta. Quasi un miracolo, in quest’epoca dettata dagli algoritmi.

 

 

Rassegna Stampa: Il Foglio, pagina 2, di Andrea Muniz

 

 

PRENDERE PER IL C*** LA RETORICA DI SINISTRA SU RAI TRE

Così Checco Zalone ha trasformato il salotto di Fazio in una parodia

 

E’ un bravo imitatore che funziona sul breve ma soffre alla distanza….batte la strada più semplice: la risata di pancia, mai di testa. Ora deve monetizzare la sua volgarità didascalica ma tutto ha una fine”. Così, nel 2011, un profetico Andrea Scanzi ci spiegava il fenomeno Checco Zalone. All’epoca era al secondo film e giusto in procinto di realizzare con il successivo Sole a Catinelle il maggior incasso italiano di sempre. Dopo il cinema italiano, Checco Zalone si prende anche il salotto di Fazio. Nell’ultima puntata dell’anno, domenica sera, per un ventina di minuti ha trasformato “Che tempo che fa” in una gigantesca, formidabile presa per il culo di “Che Tempo che fa”. Faticavamo a capire se si rideva di pancia o di testa quando Zalone si è infilato gli occhiali per diventare Gramellini che racconta il senso profondo di Quo Vado, film in uscita a gennaio di cui il produttore Valsecchi ha già detto «farà 50 milioni di euro. Tranquillo tranquillo tranquillo». Manca solo l’articolo di Scanzi sulla fine di Zalone, poi ci mettiamo la firma anche noi. «Io piaccio all’italiano terra terra o a De Gregori, all’intellettuale», diceva commentando il successo di Sole a catinelle, «è al pubblico di mezzo che sto sulle palle». Eccolo allora per la prima volta nel tempio del midcult di RaiTre a provare a prendersi quella fetta di pubblico che non lo guarda. Come per Sole a catinelle anche Quo vado “rischia un flop da venti milioni”. Ma in un sistema decrepito come quello del marketing del cinema italiano, Zalone sembra uno venuto dal futuro. Dice di non avere nulla a che fare col cinema, ma la gestione del suo personaggio è degna di Kubrick. Tra un film e l’altro infatti Checco Zalone sparisce. Qualche intervista sui giornali e poco altro. Niente dopo Festival a Sanremo, niente Striscia la notizia. Il pubblico ha il tempo di dimenticarsi quanto è bravo, così magari trova meno inutile spendere i soldi per vederlo in sala. Per Quo vado non ci sono trailer ma brevi sketch creati apposta per la sua pagina Facebook. Quando si siede da Fazio, Checco Zalone non parla del film. Tira fuori un libro con su scritto “Libro”, perché “il senso della mia ospitata è dire a quattro dei miei milioni di spettatori: Guardate questa trasmissione”. Un po’come scrive Briatore su Twitter, “Caro Babbo Natale, scrivimi cosa vuoi”. Il senso è fare quello che riesce solo a lui. “Prendere per il culo gli intoccabili di sinistra”, dicevano Scanzi e quelli che “Zalone è un comico di destra”, impreparati a sentire De Gregori a La Feltrinelli di Bari che canta “Gli uomini sessuali” (prossimo disco dopo “De Gregori canta Dylan”). Si sbagliavano. Il punto semmai è la nostalgia della distinzione tra destra e sinistra, come nella canzone di Quo vado, “La prima Repubblica non si scorda mai”. C’è una cosa ancora più intoccabile della presa per il culo della sinistra: prendere per il culo la retorica che sorveglia la distanza tra alto e basso, profondo e banale, pensoso e sguaiato.”La cosa è complessa”, ammetteva anche Scanzi, “perché Zalone è laureato in giurisprudenza e suona il jazz”. Dove lo mettiamo uno così? La risposta è nel capolavoro dell’imitazione di Gramellini in occhiali, appunti e sgabello: “La prima parola di questo film è sinossi o per il pubblico di Mediaset, riassunto”. Entriamo allora con enfasi nella sinossi di Quo vado, tra citazioni dal Simposio e da Goethe, risate di pancia e di testa: “La seconda parola è letizia…per chi ci segue da Mediaset… figa”. Infine, “sturm und drang, che come tutti gli spettatori di RaiTre sanno è quel movimento del romanticismo tedesco, per gli amici di canale 5, Il Segreto”. Speriamo di meritarcelo ancora Checco Zalone. E come direbbe Gramellini: “Fai bei soldi”.