Pubblicato il 01/12/2015, 17:32 | Scritto da Tiziana Leone

Renzo Arbore: “La Rai avrebbe bisogno di un Renzo Piano dell’intrattenimento. Ma sia chiaro: non voglio farlo io”

A casa di Renzo Arbore l’enorme albero di Natale che trionfa all’ingresso è la cosa che si nota meno. La sua passione da accumulatore seriale per ogni tipo di oggetto colorato, preferibilmente illuminato, ancor meglio se parlante, l’ha spinto verso confini difficilmente immaginabili: in cucina un quadro di Napoli con il mare retroilluminato che passa da sfumature di verde a quelle del blu è appeso di fronte a un banco bar tropicale dove il pappagallo, celebrato in tantissimi collegamenti televisivi, non parla più solo perché scarico. In compenso accanto c’è un picchio che batte il tempo a ritmo di musica e un trio di uccellini che si alternano da un orologio a cucù che tutto è tranne che un orologio a cucù. E poi collezioni di oggetti di plastica, dalle radio alle borsette, agli occhiali, i clarinetti e i libri, i dischi e i vinili, le foto e i riconoscimenti, il terrazzo in stile La mia Africa con le canne di bambù e i totem, divani colorati, il televisore, un quadro con il suo ritratto. Manca solo una cosa: una scrivania. «Mai avuta, perché io non pianifico nulla, non ho bisogno di scrivere, nella vita ho improvvisato quasi sempre», sorride Renzo Arbore che per la prima volta ha deciso di raccontarsi in un libro E se la vita fosse una jam session?, edito da Rizzoli. «Per me l’improvvisazione è stata una sorta di credo – spiega – A Quelli della notte comunicavo agli altri il tema della puntata dieci minuti prima della messa in onda, volevo che le battute fossero spontanee e il pubblico lo capiva».

È andata così a Indietro tutta con Nino Frassica?

«Sì, abbiamo fatto sessantacinque puntate improvvisando, lui era un “jazzista” più di me, rispondeva al mio ping pong senza perdere un colpo, ci siamo divertiti moltissimo».

Mai avuto paura di affrontare la diretta senza un copione scritto?

«Certo, ogni volta era un rischio. Andammo in onda con Quelli della notte senza uno straccio di scaletta, con qualche canzoncina fatta a casa mia e con l’allegria dell’incoscienza. La stessa che mi aveva portato a fare Altro gradimento».

Prima ancora c’era stata L’Altra domenica, il programma storico del dì di festa dove “nacque” un giovane toscano chiamato Roberto Benigni. Anche lì era tutto frutto dell’invenzione del momento?

«In quella trasmissione introdussi per la prima volta le donne parlanti: fino ad allora in tv c’erano state solo vallette e Enza Sampò, allora fidanzata di Emilio Fede. Con me debuttò Milly Carlucci, una delle poche donne parlanti che parla ancora oggi. Non ho mai fatto discriminazioni, avevo una regista, la bravissima Rita Vicario, con cui parlavo da “donna a donna”. Inventai per questo le ragazze Coccodè di Indietro tutta, c’era ironia, altro che veline…»

Era un’altra Rai e un’altra vita: Silvio Berlusconi lo voleva alla sua azienda, l’allora Fininvest, la famiglia Agnelli lo invitava a Villar Perosa, Sandro Pertini al Quirinale. Qualcuno le ha mai proposto una poltrona?

«Craxi mi propose di candidarmi sindaco di Napoli per i socialisti. Io mi vestii da donna e con Gigi Proietti mi presentai sul palco intonando Malafemmina alla presenza di Bettino. Lui si divertì molto, ma capì che non volevo fare il sindaco».

C’è sempre la politica dietro la scelta della sua azienda, la Rai, di metterlo alla porta?

«Quelli come me, come Baudo, la Carrà, Corrado si sono affermati unicamente per il loro talento artistico, non certo per una qualsivoglia militanza».

Ma davvero si può immaginare una tv di Stato senza partiti?

«La Rai dovrebbe avere un grande direttore artistico che si preoccupi solo del prodotto nazionale da esportare. Un Renzo Piano dello spettacolo. Sia chiaro, non voglio farlo io».

In quanti l’hanno invidiata?

«Ho una serie di “invidiatori” di professione che non mi invitano alle loro trasmissioni tv e nei loro conciliaboli parapolitici, ma io me ne frego, come si dice non rintuzzo. A differenza di altri non ho vissuto di espedienti, ma di esperienza».

Tornerebbe al Festival di Sanremo?

«No grazie, ho già dato».

Si dice che con la sua canzone, Il Clarinetto, avesse vinto la gara nel 1986, quando invece trionfò Eros Ramazzotti con Adesso Tu.

«Sì, dicono così, ma sono contentissimo di essere arrivato secondo. Avevo già messo in conto che avrei perso, cantavo una canzone umoristica quando tutti dicevano che non funzionavano, non esisteva ancora Elio, era dai tempi di Carosone che nessuno cantava quel tipo di canzone».

La nuova frontiera televisiva sono i talent, le hanno mai proposto di fare il giudice?

«Sì anni fa, quando i talent cominciarono, ma io non me la sento di giudicare, non mi piace distruggere i sogni di altri, soffro moltissimo a dire la frase: “Le faremo sapere”, per me è orrendo, non lo so fare, ho una forma di ammirazione verso chiunque decida di fare l’artista. Quando vedo questi che vengono sbattuti fuori, mi dispiaccio. Tutti si illudono di diventare come Carlo Verdone».

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto Renzo Arbore)