Pubblicato il 24/10/2015, 16:31 | Scritto da Emanuele Bruno

Valentina Sansoni, Fuse: “Nei branded content bisogna investire sulla qualità, solo così si ha vita lunga”

Ha un passato da blogger, digital pr e poi è stata business developer di Vice, con in portfolio responsabilità sia editoriali che di marketing. Da alcuni mesi è approdata nel ramo italiano del Gruppo Omnicom, gigante della comunicazione internazionale. E ora come capo di Fuse, struttura che si occupa anche di branded content, Valentina Sansoni progetta operazioni che non possono che essere in linea con la sua estrazione digitale. «La genesi del progetto – spiega – va fatta con un approccio senza pregiudizi o predilezioni. Nelle attività di costruzione dei contenuti che mettiamo in piedi non diamo mai per scontato quale debba essere il media al centro del progetto. Il versante digital, la connessione con il territorio, per esempio, sono stati fin qui due aspetti sempre centrali nei lavori condotti. La tv, piuttosto che essere il motore di tutto, è stata molto spesso la cassa di risonanza finale, un aspetto importante, ma non per forza decisivo per ottenere i risultati che volevamo raggiungere».

Dopo avere sentito le testimonianze degli editori, dei clienti, delle agenzie media, ma anche degli autori e, nella maggior parte dei casi, raccontando di operazione “tv centriche”, la ricognizione sull’approccio di Fuse può funzionare come una sorta di prima, parziale, chiusura del cerchio nella ricostruzione di tutti i metodi e le filosofie della filiera. Ma forse anche come un’inevitabile apertura a un altro, importantissimo, ramo del content marketing. Un orientamento lucido e preveggente, in un contesto in cui le barriere tra device si assottigliano sempre più e diventa essenziale inseguire abitudini di fruizione che diventano giorno dopo giorno sempre più articolate e multitasking. Ecco come Valentina Sansoni racconta la vision della struttura che guida a TvZoom.

Quali esperienze avete condotto di recente?

La scorsa primavera abbiamo lavorato con successo e soddisfazione per Tuborg avendo come partner televisivo Mtv. In questo caso è stato decisivo, per esempio, il coinvolgimento di alcuni tra gli youtubers che ritenevamo rilevanti per raggiungere gli obiettivi di comunicazione che ci eravamo prefissati. L’idea di base, in molte delle nostre attività, è quella di non prescindere dall’uso di canali già segmentanti, mirando a profili di pubblico molto specifici, magari utilizzando a pieno le possibilità garantite dal native advertising.

Come scegliete i “fenomeni” della Rete da cavalcare?

Abbiamo un sistema di monitoraggio che utilizza gli indicatori più semplici – le visualizzazioni, il tempo di permanenza, la frequenza di rimbalzo e i like per esempio –, ma anche altri tools e software più specifici e sofisticati. E poi bisogna usare molto una più generica sensibilità editoriale, capire quali siano i trend e i fenomeni emergenti. Il panorama degli youtubers “giusti”, per esempio, cambia di continuo, la Rete macina mode e tendenze alla velocità del suono.

Faccia qualche esempio…

Penso a The Jackal, che prima erano un fenomeno quasi di nicchia e invece hanno raggiunto rapidamente una popolarità più ampia e sono stati cooptati dai media più generalisti. Per primi li abbiamo coinvolti nella campagna Fallo protetto di Coop e in breve tempo li abbiamo visti andare fortissimo dappertutto, da Miss Italia fino alla pubblicità di Leerdammer. Ora la loro curva d’interesse, almeno per un certo tipo di operazioni e per certi profili di pubblico, verte fisiologicamente meno verso l’effetto sorpresa. Sono più che mai utili per il target mainstream, ma meno efficaci per quello che li seguiva in precedenza. Il target giovane dei nativi digitali, abituato da sempre a selezionare da sé i contenuti che gli interessano piuttosto che ragionare con la logica del palinsesto, tende a preferire interlocutori esclusivi che sappiano raccontare storie con un tone of voice vicino al loro mondo. Quando questa esclusività di linguaggi e di scelte stilistiche viene sacrificata a favore di un allargamento della platea, è una naturale conseguenza che il pubblico degli inizi tenda a ricercare altrove quella scintilla di originalità.

Che riscontri avete?

Il digitale, anche se non ha il potenziale gigantesco della tv, ti mette nelle condizioni di raggiungere un’audience che quantitativamente è spesso sorprendente e qualitativamente ha una marcia in più, eliminando al massimo la dispersione. Il tutto con investimenti molto contenuti, specie se confrontati con quelli che sono necessari in tv per conquistare la stessa soglia di attenzione.

Non è facile però azzeccare il tiro.

È vero. Sei molto di più sottoposto alla decisione di un pubblico “saltellante”, difficile da fermare e convincere. Un’audience che può dire come la pensa, bocciarti o promuoverti seduta stante. Questo rende il nostro lavoro più sfidante, ma ti dà pure, immediatamente, il senso di quale sia la prospettiva corretta, la direzione in cui devi muoverti. La soluzione per conquistare attenzione e fidelizzare? I progetti vanno nutriti e alimentati investendo sulla qualità. Solo così conquistano spessore e durata.

 

Emanuele Bruno

 

(Nella foto Valentina Sansoni)