Pubblicato il 16/10/2015, 20:24 | Scritto da Tiziana Leone

MIA: convegno sul servizio pubblico dedicato a tv e cultura. L’Italia non ne esce bene

MIA: convegno sul servizio pubblico dedicato a tv e cultura. L’Italia non ne esce bene
Ad aprire i lavori del Mia, il mercato internazionale dell'Audiovisivo, un importante convegno tra i rappresentanti delle più importanti tv pubbliche europee, sul tema del documentario. Per l'Italia erano presenti il Ministro Franceschini e il direttore di Rai 1 Giancarlo Leone.

Il MIA, mercato internazionale dell’audiovisivo, in corso a Roma, riunisce alle terme di Diocleziano, una dei tanti monumenti che i romani non sanno nemmeno di avere, i rappresentanti delle maggiori televisioni di servizio pubblico per parlare di tv, cultura e documentari. Svedesi, tedeschi, francesi, canadesi, australiani, tutti insieme per raccontare le proprie esperienze. I francesi, per esempio, dopo Charlie Hebdo hanno preparato documentari sull’Islam e sull’immigrazione per combattere i preconcetti. I canadesi hanno un budget di due milioni di dollari da spendere nell’acquisizione di documentari. In Svezia hanno una tradizione nel settore così elevata da riuscire a raggiungere un milione di spettatori a sera, semplicemente mostrando loro un documentario sull’Isis. In Inghilterra BBC1 ha trasmesso un documentario sulla Siria, incentrato sula storia di una famiglia siriana costretta a fare i conti con il regime, alla cui realizzazione hanno lavorato per circa cinque anni. Quando tocca all’Italia, il povero Giancarlo Leone, direttore di Rai 1, invitato in rappresentanza del nostro servizio pubblico annaspa, ma senza affogare: «I documentari in Italia avranno più spazio per un semplice motivo: finora sono stati colpevolmente poco usati, o meglio, sono stati collocati all’interno di programmi di approfondimento come corollario. Manca il coraggio delle reti a usare il documentario come prodotto a sé stante».

In sala ci sono anche diversi produttori di documentari, costretti ormai a rivolgersi all’estero per reperire il budget necessario, molti di loro conoscono i rappresentanti delle tv europee riuniti per il convegno, perché da loro hanno ottenuto quei soldi che in Italia nessuno gli da più: «Una volta – raccontano – ci davano fino a 120mila euro per un documentario, ora dopo un’immane fatica arriviamo al massimo a 30mila». Arriva anche il Ministro del Turismo e dei beni Culturali Dario Franceschini, costretto a un saluto veloce, gli impegni della Festa del Cinema lo chiamano, ma fa in tempo a parlare un po’ di politichese tra Fus e Tax credit, finché la francese di Arté Nathalie Verdier non gli ricorda che «bisogna finanziare i produttori indipendenti, perché per fare una sorta di task force del documentario abbiamo bisogno di voi italiani». Non degli italiani che producono documentari sul nostro Paese con la pizza e il mandolino, ma di gente preparata, perché a sentire i tedeschi e gli inglesi «le storie che mandiamo sul nostro Paese non sono poi un granché». Meno male che esistono appuntamenti come il MIA, per confrontarsi con realtà internazionali e farsi un bell’esame di coscienza. Il convegno sta per finire, il direttore Leone per difendere la Rai ricorda: «Noi abbiamo prodotto Mission, un bel documentario sul Darfur, andato in onda con successo in prima serata». Mission? Quella specie di reality sui poveri contestato da mezzo mondo? Sì, quello.

 

Tiziana Leone

 

(Nell’immagine la locandina del MIA)