Pubblicato il 29/09/2015, 20:31 | Scritto da Gabriele Gambini

Il flusso di coscienza di Pico Rama, l’illuminato di “Pechino Express”

Pico Rama. Un nome da supereroe manga e un approccio da Jim Morrison accomodante. Senza la leggendaria spigolosità che il leader dei Doors porta con sé. A pensarci, più che a Morrison, Pico somiglia a uno sciamano della porta accanto. Di quelli che alle cinque del pomeriggio ti invitano a prendere il tè. E poi magari ti raccontano della loro esperienza a Pechino Express a fianco di Yari Carrisi. Del disco in uscita per Mescal, anticipato dal singolo Regali del divino (merda). E dell’incombenza del sentirsi chiamare “Illuminato”.

Lei e Yari Carrisi eravate gli “illuminati”.

Ma no, non siamo illuminati, siamo ben lontani da quello stato. Si tratta di una forma di simpatica autoironia sulle cose in cui crediamo. Nel programma ci divertivamo a scherzare sopra questi aspetti, facevamo i babbei ironicamente.

Però lei si definisce “spirituale”. Allora io, per provocazione, le farò un’intervista materiale: cercherò di farle “quantificare” e oggettivare emozioni e impressioni. Pronto?

Proviamo.

Quanto influisce la sua partecipazione a Pechino Express sulla promozione del suo singolo, Regali del divino (merda)?

Mi piace pensare sia un’operazione di orgogliosa paraculaggine. In realtà è una bella combinazione, nata casualmente.

La partecipazione a Pechino Express è un dono del divino o fa parte della merda?

Un dono del divino, senz’altro (ride, nda). In realtà, credo che a questo mondo non si debba separare l’aspetto materiale dalla spiritualità che c’è in noi. Quando parlo di “merda”, mi riferisco a quei condizionamenti inevitabili che siamo costretti a vivere nel quotidiano, dettati dalla famiglia, dalla società, dai piccoli problemi, che ostruiscono la nostra visuale su un campo più ampio, presente in ciascuno di noi.

Si spieghi meglio.

I condizionamenti della nostra esistenza possono riguardare le definizioni precostituite che ci vengono affibbiate. Io, per esempio, non mi sento italiano, mi sento un individuo nato in Italia. Non mi ritengo maschio, mi ritengo un individuo col pisello. Sfuggire alle catalogazioni è il primo passo per guardarsi dentro realmente e provare ad avvicinarsi al concetto di entità che accomuna tutti gli esseri umani.

Una curiosità: lei ha uno smartphone?

Ce l’ho da una settimana.

La tecnologia fa parte della merda che ci ostruisce?

No, comunicare è una bellissima opportunità per tutti. Non sono un individuo molto social, lo sto diventando da quando ho partecipato a Pechino, per interagire con i fan e con gli amici. Non ho whatsapp, in generale non amo scrivere messaggi. Ma la società tecnologica non ostacola il bisogno di spiritualità. Dipende dall’uso che se ne fa. Mi spaventa invece una società orwelliana, una tecnocrazia. Quello sì.

Le hanno mai detto che, sentendola parlare, ha lo stesso timbro vocale di suo padre, Enrico Ruggeri?

In realtà non ne sono tanto convinto. Mi frega la milanesità, quell’accento tipico che mi accomuna a mio padre. E la voce un po’ roca, a causa delle sigarette. Ma credo di avere un timbro abbastanza peculiare.

Mi dice il primo ricordo vivo che ha di suo padre?

Le partite a calcio con lui sotto casa.

In sincerità: musicalmente, preferisce suo padre ai tempi dei Decibel o in versone Sanremo?

Decisamente adoro il suo periodo punk, quello dei Decibel e di Contessa. Per essere chiari, Si può dare di più non è la sua canzone che preferisco (ride, nda).

Quanto ha influito la sua famiglia in ciò che è lei oggi?

I miei genitori mi hanno influenzato psicogeneticamente, diciamo così. Ho ancora tanti processi legati al mio albero genealogico da sanare.

Quanto ha influito la sintonia con Yari Carrisi nel vostro percorso a Pechino Express?

Con Yari la sintonia è stata perfetta. Il nostro prossimo è lo specchio di noi stessi. Parlando di lui, rivedo me.

Allora mi dica un pregio e un difetto di Yari.

Caratterialmente è una persona molto buona. Può essere un pregio, ma anche un difetto. I ricordi più belli sono legati a quando mi svegliava alla mattina suonando il mantra con la sua chitarra. Durante il programma ha avuto qualche problema fisico, ma questo non può essere annoverato tra i difetti.

Ha assistito da vicino alla nascita dell’amore tra Yari e Naike Rivelli. Quanto l’ha colpita?

Hanno trovato una connessione bellissima. Naike è molto diversa da come la dipingono certi pregiudizi diffusi su di lei. E’ una persona limpida, emana un’energia intensa. Spero che il vortice mediatico del gossip non li circondi troppo.

Ecco. I rapporti di coppia. Quanto conta la sessualità per chi, come lei, è attento al lato spirituale e sciamanico dell’esistenza?

Voglio citare Jodorowsky e i Tarocchi di Marsiglia: ognuno di noi possiede quattro centri vitali. Quello intellettuale, quello emozionale, quello materiale e quello sessuale/creativo. Dunque la sessualità fa parte della nostra esistenza per un quarto. E si sovrappone all’atto creativo.

Quanto è stata importante l’esperienza di Pechino Express, in generale, per lei?

Moltissimo. Mi ha insegnato la comparazione con gli altri. Dalla nostra eliminazione, poi, ho imparato a fidarmi delle congiunzioni astali, sopportando anche le ingiustizie apparenti.

Nel senso che l’eliminazione è stata ingiusta?

Sulla carta, Yari e io eravamo tra i più attrezzati a proseguire. Questo perché entrambi venivamo da lunghe esperienze di viaggio all’estero, anche in Sudamerica. Ma la congiunzione astrale ha voluto che uscissimo subito. Dopo l’eliminazione, però, abbiamo proseguito il viaggio in Perù per conto nostro, senza lo stress della competizione.

Conosceva già il Sudamerica?

Grazie a Pechino Express ho conosciuto l’Ecuador. Non c’ero mai stato prima. Per conto mio ero stato in Colombia, nella foresta amazzonica. Ho vissuto fianco a fianco con degli sciamani locali, imparato dai loro riti e dalle loro pratiche. Un approccio psicoterapeutico incredibile per analizzare la merda di cui ti parlavo prima, focalizzarsi su di essa e liberarla. Come indicato dalle teorie di Castaneda. Ho provato l’ayauhasca, una bevanda che non ha niente a che fare con le esperienze ludiche da sostanze ricreative, ma che possiede una forza da coadiuvante psicologico incredibile. E ti mette davanti ai tuoi traumi del passato.

Data la sua vicinanza all’esoterismo e alle pratiche mistiche, se avesse partecipato a un’edizione di Pechino Express passando dall’india, avrebbe vinto facile.

Probabilmente in India mi sarebbe bastato sciogliere i dread per essere scambiato per un santone (ride, nda). Ci avrebbe facilitato nel percorso. Ma, dato che mi sono appassionato alla cultura sudamericana, mi ha fatto piacere viaggiare da quelle parti.

Chi sono i concorrenti più forti?

Gli espatriati hanno le idee chiare, sanno cosa vogliono e come ottenerlo. Sono temibili. Ma i veri eroi del programma sono i cameraman: ci seguivano ovunque, correndo con noi.

Ora per lei che accadrà?

Promuoverò il disco, che ha influenze hip-hop, reggae, dab, in uscita a novembre, con un tour. Yari ha in mente anche un progetto televisivo legato al mondo dei viaggi. Sostiene sia una formula interessante e vorrebbe coinvolgermi.

Da artista e cantautore, quanto conta l’ipotesi del talent show come strada per mettersi in mostra?

Credo che le mie potenzialità siano soprattutto creative e cantautorali, più che tecniche. I talent sono indicati maggiormente a chi punta tutto sulla voce. Ma, potendo sognare, il giudice, in futuro, mi piacerebbe farlo volentieri, perché no? Sono un fan di X Factor.

Quanto le è piaciuta questa intervista?

Beh, moltissimo (ride, nda).

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Pico Rama)