Pubblicato il 23/09/2015, 11:34 | Scritto da La Redazione
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E se Netflix fosse un flop? Per alcuni è l’apocalisse, per altri la vera rivoluzione sono il tasto 8 e 9

E se Netflix fosse un flop? Per alcuni è l’apocalisse, per altri la vera rivoluzione sono il tasto 8 e 9
Tutti ne parlano e da metà ottobre finalmente ci toglieremo il dubbio. Su “La Repubblica” Dipollina vede l’arrivo della tv via Internet come una cambio epocale, mentre per Mazzetti del “Fatto quotidiano” bisogna controllare le “nuove” generaliste.

Rassegna stampa: La Repubblica, pagina 22, di Antonio Dipollina.

Ecco come Netflix rivoluzionerà la televisione anche in Italia (da metà ottobre)

Uno sterminato “catalogo” di film e serie tv disponibile via Internet che modificherà le nostre abitudini: “Così cambieremo la vostra tv”.

A questa ipotesi della rivoluzione televisiva loro non tengono affatto. Sono quelli di Netflix, colosso mondiale della tv via Internet. Stanno per sbarcare in Italia, data imprecisata ma nella seconda metà di ottobre dovremmo esserci. I big dell’azienda arrivano ogni tanto da noi, incontrano la stampa, ragguagliano, spiegano, fanno il punto. E da ieri, per esempio, hanno speso un concetto preciso: «I nostri veri avversari siamo noi stessi nella capacità di convincere il pubblico», e soprattutto «siamo complementari alle altre pay-tv»: aggiungendo che tutti loro dedicano soltanto l’1 per cento del tempo a valutare quel che fa la concorrenza (qui Sky e Mediaset Premium, che offrono da tempo servizi simili. Dietro, in un angolo, c’è il poster della campagna pubblicitaria italiana e dice «Tesoro, sono a casa». Un’ode alla stabilità della famiglia visto che chiunque, se ha Netflix, rimane a guardare tranquillo la tv senza uscire in missioni a rischio. Forse. L’approccio, insomma, sta diventando via via più prudente, e forse più razionale, rispetto a certe premesse che volevano milioni e milioni di italiani pronti da domani a buttare all’aria vecchia tv, vecchia pay-tv e tutto quello che veniva a tiro. Complementari: forse così ha un senso, sicuramente si capisce di più. Netflix è un catalogo, il catalogo è questo.

Telespettatori a vita Niente live, niente news, niente sport, niente talk-show. Il resto c’è tutto (e detta così c’è quasi da correre ad abbonarsi). Netflix è la produttrice di serie gioiello come House Of Cards, oppure Orange is The New Black, ma in una fase acerba del cammino e quindi sono state vendute alle pay-tv sul campo. Ma vengono promesse serie prodotte in proprio e solo su Netflix in tempi brevi (Narcos è un esempio), nulla si sa di produzioni italiane vere e proprie che si mettano magari a fare concorrenza a prodotti come Gomorra (all’ipotesi, circolata nei mesi scorsi, di una cosa su Mafia Capitale i manager replicano: «Non sappiamo proprio cosa sia»): quindi c’è soprattutto il catalogo. Sterminato, di film, serie tv anglosassoni, cartoni animati di lusso, documentari al top della produzione mondiale. Vuoi chiuderti due giorni in casa e guardare venti episodi di Breaking Bad? Con loro è possibile ma soprattutto più semplice che con chiunque altro. Agli incontri-stampa troneggia sul muro un tv gigante di ultimissima generazione, dentro c’è la schermata principale con l’offerta in sintesi e riquadri sgargianti e sembra francamente il paradiso. A patto di passare il resto della propria vita a fare il telespettatore. Ma ci sono anche vie di mezzo, nella vita medesima.

Facile come YouTube Serve internet, un discreto, preferibilmente buono, meglio se buonissimo, collegamento in casa. Anche qui, toni rassicuranti dai manager: «Se vedete Youtube sul computer, allora vedrete anche Netflix». In teoria un wifi all’altezza migliora le cose, anche se la ditta è provvista di un marchingegno detto “streaming adattativo”: ovvero il segnale si adegua alla banda di wifi che hai e fornisce il miglior livello video per le tue possibilità. Poi serve una tv, le Smart Tv sono fatte apposta, oppure con un cavo vi colleghi il computer. O sul computer. O ancora via Chromecast, chiavetta evoluta che riceve il segnale una volta innestata nel tv. O ancora le console dei giochi, il lettore Blu-Ray, l’Apple Tv o anche lo smartphone. E chissà che altro, in teoria è escluso dal servizio solo chi accende la tv col bottone, ha perso il telecomando da anni tra i cuscini del divano e non lo trova più.

Il primo mese è gratis Più che il quanto, vale il come. Ed è quello che differenzia Netflix dagli analoghi servizi Sky Go, Infinity, Sky On Line della concorrenza. Chi usa Spotify o servizi simili per la musica sa già come funziona. Nessun abbonamento permanente, ci si attiva via Internet (un mese gratis di prova) e poi via con tre modalità di abbonamento che sembrano confermate: a 7,99 euro per il servizio in qualità standard e su un solo dispositivo, 8,99 euro per il servizio in full hd e su due dispositivi, 11,99 euro per l’altissima qualità 4K – qualunque cosa sia – e su quattro tv, o altro, diverse. Ci si dis-abbona quando si vuole, in tempo reale. Ma attenzione, Telecom – e da ieri c’è anche l’annuncio di Vodafone (“abbonamenti offerti con i piani 4G e Fibra”) – offriranno Netflix con offerte promozionali e probabilmente con qualche sconto importante. Ogni abbonamento potrà avere cinque adesioni differenti ovvero per i vari membri della famiglia, per esempio e personalizzati in base ai gusti: i capi del servizio spiegano che da loro lavorano soprattutto centinaia di ingegneri alle prese con gli algoritmi che suggeriscono titoli e spunti in base ai gusti che hai dimostrato di avere nei primi giorni di abbonamento.

La specificità italiana Quelli di Netflix sono colossi veri a livello mondiale, hanno esportato la streaming tv in parecchi Paesi ma il centro delle operazioni è assai americano. L’impressione per ora è che si aggirino come marziani in una terra sconosciuta e di fronte alle obiezioni sul Paese televisivo italiano (che negli anni è diventato una sorta di installazione ideata da un folle) ribattono tranquilli: che problema c’è? Per esempio, su certi proclami del tipo «la tv generalista è morta e sparirà in pochi anni» c’è da andarci molto cauti: in questa fase da noi sta succedendo esattamente il contrario, le pay-tv si sono molto appassionate ai canali in chiaro, ne hanno comprati, vi stanno riversando parecchia produzione prima a pagamento: e soprattutto da anni non scuciono un dato sugli abbonati paganti mentre ogni giorno vantano gli ascolti dei programmi-top, ovvero il contrario della mission pay-tv. Magari per Netflix tutto questo è un bene, ma la specificità italiana in campo televisivo – e comunque la robusta concorrenza a base di SkyGo e Infinity che esiste già sul campo – sarà complicata da domare. Per tacere poi dell’ipotesi vagheggiata di ulteriori arrivi di servizi simili in futuro, da Amazon a Apple, immaginando il pigro telespettatore italiano pronto a scucire dieci euro al mese a chiunque prometta meraviglie. Fantascienza, meglio andarci piano e intanto parte Netflix. Puntando quindi sull’ipotesi che il famoso slogan «siamo complementari» risulti alla fine convincente e convinca soprattutto il pubblico pagante.

 

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 21, di Loris Mazzetti.

Ma quale Nettlix, l’assalto alla tv generalista parte dai canali 8 e 9 del digitale terrestre

Il caso della finale degli Us Open Pennetta-Vinci trasmesso da Deejay Tv non è che un assaggio del futuro prossimo.

Governo e Coni hanno perso l’occasione per dare valore al servizio pubblico e agli italiani di godere del match tra la Vinci e la Pennetta, non cercando un accordo con Discovery per trasmettere la finale anche su una rete Rai. Deejay Tv copre il 78% del territorio, il 7% di share con 1 milione e mezzo di telespettatori è stato un risultato straordinario per una rete che raramente supera lo 0,6%, ma non un evento. A volte pensare al bene comune può essere produttivo anche per un network commerciale quale è Discovery. È innegabile che la finale abbia acceso il canale 9 del digitale terrestre, ma il risultato non è stato colto. A distrarre è l’insistenza degli esperti sull’arrivo di Netflix, raccontato come la fine della tv generalista. La tv americana (via Internet, costo mensile 8 euro), sarà fatta da una library sterminata (serie, film e show) fruibile in ogni momento. In America ha rubato, più di 2 milioni di clienti alle pay-tv. E il fatturato di Sky e Mediaset Premium (4,7 miliardi annui) che rischia. Rai, Mediaset e La7, più che con Netflix, dovranno vedersela con i canali 8 e 9 del digitale di proprietà di Sky e Discovery. In occasione della finale degli US Open, Discovery, trasmettendola in chiaro sul canale 9 a marchio Deejay Tv (acquistata dal Gruppo Espresso per 17 milioni), ha dato un assaggio di cosa potrà capitare in futuro.

La tv diretta da Marinella Soldi ha acquisito anche i diritti di due Olimpiadi per 1,3 miliardi. Con l’acquisto del canale 9 non ha più la necessità di trovare un partner tra le generaliste perché, grazie a Dj Tv, può trasmettere, come da obbligo contrattuale, le 200 ore in chiaro. Sky ha comprato Mtv da Viacom (100 milioni?), aggiunge così ai canali digitali 26 (Cielo) e 27 (SkyTg24) il più nobile 8. Murdoch, trasmettendo il Gran Premio di Misano Moto GP, con Valentino Rossi che ha ipotecato il Mondiale, su Mtv, Cielo e Sky Sport, ha dato un assaggio di ciò che potrebbe accadere agli ascolti generalisti, raggiungendo il 27% di share. Come reagiranno le generaliste quando Sky deciderà di mettere sull’8 anche i gioielli di famiglia: X Factor, Masterchef, Bisio, Corrado Guzzanti, alcune serie tv e chissà che altro? L’obiettivo dei due magnati Murdoch e Malone è la pubblicità. Le pay-tv sono in sofferenza. Sky nei primi sette mesi del 2015 ha lasciato sul mercato il 10,8%. Il sistema radio-tv, dopo la caduta di Berlusconi, nonostante la lentezza di Renzi a modificare la Gasparri, si è finalmente messo in moto e sta dando lavoro. Chi investe, purtroppo, sono due multinazionali che porteranno la maggior parte dei proventi lontano dall’Italia.

 

(Nella foto l’hospitality Netflix a Milano)