Pubblicato il 09/09/2015, 19:34 | Scritto da Gabriele Gambini

La “Metamorfosi” di Fabrizio Corona chiude i conti con l’era della “Videocracy” televisiva

La “Metamorfosi” di Fabrizio Corona chiude i conti con l’era della “Videocracy” televisiva
L'ex agente di paparazzi si "Kafka addosso". E sceglie la complessità semantica del termine "Metamorfosi", caro allo scrittore boemo, per tornare sotto le luci dei riflettori nella serata di presentazione del documentario realizzato da Jacopo Giacomini e Roberto Gentile.

Fabrizio Corona si Kafka addosso. E sceglie la complessità semantica del termine Metamorfosi, caro allo scrittore boemo, per tornare sotto le luci dei riflettori nella serata di presentazione del documentario realizzato da Jacopo Giacomini e Roberto Gentile. La pellicola ovviamente di kafkiano non ha nulla e, anziché giocare con i paradossi di una vita condotta col piede sull’acceleratore, si limita ad analizzarli con retorica celebrativa. Girata nel 2013, poco prima dell’arresto dell’ex re dei paparazzi, racconta il dualismo interiore di Corona, diviso tra la smania incontrollata di successo materiale e la (reale?) consapevolezza di essere obnubilato da falsi valori, con il conseguente rischio di andare a sbattere. Ecco allora il Fabrizio vecchia maniera alla ricerca del nuovo se stesso: esercizi di rebirthing, integrazione posturale, orientamento transpersonale, destrutturazione dell’ego, lavoro sulle emozioni, in una semplificazione maccheronica dei precetti new age, che hanno reso Osho Rajneesh un personaggio di culto nell’occidente, alla ricerca di religiosità non convenzionale.

Fino all’epilogo del documentario, accompagnato dalla canzone hip-hop di Niccolò Moriconi, che coincide con una presa di coscienza spirituale e involontariamente spiritosa: tutti noi siamo meglio di come ci piace apparire, se prestiamo orecchio al richiamo del nostro io. Grazie. Ci si sarebbe potuti arrivare anche in meno di 90 minuti di montato. Ma forse non è questo il punto. I fan accorsi al cinema Odeon di Milano, che non hanno lesinato applausi al protagonista (presente in sala grazie a un permesso speciale), hanno intercettato anche l’unico punto di forza dell’operazione: affrancarsi dalle analisi morali sull’uomo Corona e sul suo travaglio giudiziario, per certificare l’intenzione di chiudere un capitolo nebuloso e sopravvalutato della sua esistenza. Forse la Metamorfosi che dà il titolo al film, anziché spirituale, è temporale: in due anni e mezzo l’Italia è andata avanti, si è trovata nuovi problemi da risolvere, nuovi eroi e antieroi, archiviando l’era della Videocracy televisiva e dei suoi fragili miti.

Gabriele Gambini
(Nella foto Fabizio Corona al cinema Odeon di Milano)