Pubblicato il 07/09/2015, 12:34 | Scritto da La Redazione

Rassegna stampa – Renzo Arbore: “È la tv di reality e talent. Ascoltano l’Auditel e ignorano il gradimento”

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 10, di Nanni Delbecchi.

Renzo Arbore: “È la tv di reality e talent. Ascoltano l’Auditel e ignorano il gradimento”

«Ho fatto un sogno: vorrei un servizio pubblico da esportazione. Ma come è possibile che il paese della Ferrari debba copiare i format dell’intrattenimento dagli olandesi, con tutto quello che ci hanno combinato a Piazza di Spagna?». Renzo Arbore ride, ma non troppo. L’autore principe della nostra Tv è anche un telespettatore assiduo, e ci tiene a sottolinearlo: «Telespettatore e navigatore in rete della televisione degli altri Paesi, dove noto un’omologazione che non mi piace per niente».

Con quali predilezioni?

Non è il genere che fa il monaco. Io parto da questo criterio: faccio l’artista, fammi giudicare la televisione da artista. Tutta la televisione, quando è buona, ha un coefficiente di artisticità. Non sarà la settima arte e nemmeno l’ottava; magari è la trentesima musa, però sempre musa è. E non necessariamente le cose più artistiche sono le più viste. Un’altra televisione è possibile, ma inseguendo le idee, non i dati d’ascolto.

A chi giova la dittatura dell’Auditel?

Spesso l’Auditel premia il cattivo gusto. Si pensa che la cosa più vista sia la più apprezzata, ma qui c’è un equivoco di fondo. Io sono nato in Rai quando c’era il Servizio opinioni che misurava sia l’ascolto sia il gradimento, e spesso le due cose non combaciavano. Bandiera gialla aveva un quarto dell’ascolto di un’altra trasmissione radiofonica che facevo in quel periodo intitolata, pensi un po’, Allegre fisarmoniche. Però Bandiera gialla era vista da un pubblico che la gradiva e il sabato pomeriggio non usciva per ascoltarla. Quindi credo che l’Auditel abbia bisogno di essere reinterpretato.

Per parafrasare un suo tormentone, oggi Tv è tutta un talent. Che gliene pare?

Sono i periodi della Tv, un altro aspetto dell’omologazione. Dopo quello dei reality siamo passati al periodo dei talent show, con una grossa insistenza sulle voci. Italia’s got talent è il migliore perché non si limita ai cantanti. Comunque è un filone che prima o poi si estinguerà, basta avere pazienza.

Lei è stato un grande talent scout. Non le pare che questi talent facciano una concorrenza sleale?

Più che altro una concorrenza sbagliata. I talenti si scoprono andando a vedere quello che succede in Italia, dove c’è tuttora una grande creatività. Il vero talent show è andare in giro, mettere il naso nei teatri di provincia, nelle discoteche, dappertutto. Andare, vedere e ruminare, come dice Pupi Avati.

Poi c’è il problema di utilizzarlo, il talento.

La cosa più difficile, infatti è quello che manca. Nel mio piccolo conosco almeno una dozzina di talenti straordinari che non vengono utilizzati perché nessuno spiega loro che cos’è la televisione. Ma per passare felicemente in TV il talento deve essere resettato.

Va forte anche il talk show politico, di cui però molti dicono di non poterne più.

Qui devo usare un vecchio proverbio napoletano: Sparti ricchezza diventa puvertà. Una volta c’era solo Santoro, poi sono nate troppe derivazioni. Io seguo i talk, perché la politica italiana è spesso avvincente, ma anche lì domina la spietata legge dell’Auditel. M’immagino le riunioni di redazione: questa la invitiamo perché è una bella donna, quest’altro lo invitiamo perché le spara grosse, quest’altro perché speriamo che si incazzi…

Altro genere di nuova fattura è quello della cronaca nera trasformata in telenovela quotidiana.

Purtroppo si è visto che questo paga, sempre in termini di ascolti. Se parliamo di serie e telefilm, il genere più visto è il crime. Il pubblico massiccio cerca una televisione hard, che quando dalla fiction si passa alla realtà diventa ancora più hard. L’attualità di Mediaset si nutre quasi esclusivamente di cronaca nera, ma anche il servizio pubblico non è estraneo alla tendenza. Questa è una delle cose su cui si dovrebbe davvero voltare pagina.

Allegria, invece, ce n’è poca. I suoi programmi sono molto rimpianti, e credo che la cosa che più viene rimpianta sia la loro straordinaria allegria.

Sa qual è la cosa? Oggi per divertire si fa una televisione contro. L’imitazione del politico di turno, oppure il monologo più o meno arrabbiato. Noi invece abbiamo sempre fatto una televisione “per”. Tutto nasceva in un clima non di competizione, ma di complicità generale.

La televisione jazz, costruita come una jam session.

Sì, ma devo dire che quella è una televisione difficilissima da farsi oggi, non la sa fare più nessuno. Jazz significa improvvisazione, umoralità, istinto, come una serata felice tra gli amici. Io l’ho fatta con Quelli della notte, Indietro tutta e Meno siamo meglio stiamo, il mio ultimo programma boicottato dall’ex direttore di Rai 1 Fabrizio Del Noce che mi mandava in onda alle ore piccole.

Lì già nel titolo c’è un augurio per la TV che verrà.

L’augurio di stare meglio sicuro, di essere meno, non è detto. Quelli della notte fu anche un grande successo di ascolti perché parlava al grande pubblico ma anche allo “scelto pubblico”, come lo si chiamava una volta nei varietà. C’era quella che chiamo “doppia lettura”; la prova che anche in televisione la qualità può diventare un successo. Sarebbe bello che il servizio pubblico se ne ricordasse. E poi…

E poi?

E poi avrei tante altre cose da dire in proposito, ma me le tengo per la prossima intervista.

 

(Nella foto Renzo Arbore)