Pubblicato il 06/09/2015, 12:04 | Scritto da La Redazione
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Rassegna stampa – Vittorio Feltri: “La Rai industria culturale? Non si direbbe…”

Rassegna stampa – Vittorio Feltri: “La Rai industria culturale? Non si direbbe…”
Il direttore de “Il Giornale” commenta, e boccia, i prodotti preserali di Rai 1, considerati da lui poco originali, ma che comunque riscuotono tanto successo di pubblico.

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 23, di Vittorio Feltri.

La Rai industria culturale? Non si direbbe…

La questione è complicata e spero di riuscire a riassumerla correttamente. Carlo Conti fa mille mestieri con abilità ed è giusto che la Rai lo sfrutti: ha la sua bella convenienza. Ma ci sono cose nella frenetica attività del rinomato conduttore fiorentino che non riusciamo a capire. A parte la decina di trasmissioni di successo che ha recato, e ancora reca, la sua firma, c’è un programma in cui egli compare, poi scompare lasciando il posto a Fabrizio Frizzi, quindi torna senza un vero perché. Una girandola ubriacante. Ci riferiamo all’Eredità, gioco a premi di Rai 1 (precede il telegiornale), che va in onda da parecchi anni. Non è il solito quiz: si tratta di indovinare alcune parole legate ad altre, e chi ne imbrocca di più (compresa l’ultima) vince del denaro, di solito qualche migliaio di euro. I concorrenti si scannano, ma questo è scontato: è il bello di tutte le gare, comprese quelle televisive.

Il problema è un altro. Perché Conti, a un certo punto dell’anno, si stufa di dirigere il gioco (che pare inventato dalle maestre dell’asilo Mariuccia) e sparisce? Gli subentra il collega Frizzi, il quale non cambia una virgola e va avanti imperterrito a porre domande agli ospiti con notevole soddisfazione del pubblico, che, stando ai dati di ascolto, è assai numeroso. Ciò conferma che la gente è di bocca buona, almeno in certi orari, e si accontenta di poco. Se, come nel caso dell’Eredità, ogni serale si offre la stessa zuppa, il suo palato si abitua talmente al sapore da non poter fare a meno di gustarla. Evidentemente, in tivù la ripetitività non è stucchevole, ma rinfranca l’apprezzamento del popolo per i piatti della casa, qualunque sia il cuoco che li cucini. Tanto è vero che durante l’estate, chiusa in frigorifero l’Eredità, è stato scongelato un surrogato, Reazione a catena, affidato a un altro chef di sicuro rendimento, Amadeus, praticamente la medesima brodaglia con i medesimi ingredienti: parole in maschera che gli ospiti si impegnano a scoprire.

La squadra che ne scopre di più si aggiudica il grano (come direbbe Razzi). Quasi mai cospicuo per effetto di tagli apportati in conseguenza degli errori commessi. Per motivi incomprensibili a chi sia avvezzo alla logica cartesiana, lo spettacolo suscita interesse nella massa dei telespettatori, al punto che l’ex monopolio, allo scopo di non deluderli, ha deciso di trasferire quattro puntate in prima serata, oltre metà settembre: una sorta di gran finale tra campioni. Siamo curiosi di verificare se nella nuova collocazione nel palinsesto il programma otterrà ancora picchi di audience da brivido. Nell’eventualità, saremo costretti ad allargare le braccia e ad ammettere che la banalità, quando sia elaborata con professionalità sopraffina, paga assai di più dell’originalità. Niente di male. Un’antenna che si rispetti non deve soltanto informare, approfondire e interpretare le notizie, favorire il dibattito e il confronto delle idee, ma anche intrattenere con garbo a costo di buttarla sul ludico. Certo è che quando leggo che la Rai è la più importante industria culturale d’Europa, sono assalito da vari dubbi. Quanto ad Amadeus ho l’obbligo di riconoscere la sua bravura: pochi come lui sono in grado di friggere l’aria e di renderla respirabile; egli poi ha una capacità straordinaria di sorridere anche nei momenti in cui, durante la trasmissione, prevale un diffuso senso di tristezza. Beato lui se si diverte in un contesto simile. Noi, con tutta la buona volontà, non ce la facciamo.

 

(Nella foto Vittorio Feltri)