Pubblicato il 14/08/2015, 13:21 | Scritto da La Redazione

Matilde Bernabei (Lux Vide): «Impariamo a raccontare l’Italia, ma con una fiction esportabile»

RASSEGNA STAMPA: La Stampa, pagina 31, di Alessandra Comazzi

“Impariamo a raccontare l’Italia

Ma con una fiction esportabile”

La produttrice Matilde Bernabei: Landgraf ha ragione

Soltanto se investi sulla qualità riesci a vendere all’estero

 

«Troppa fiction? Troppa televisione? Troppa roba mediocre, direi. E certo, andremo incontro a una selezione naturale, darwiniana, come dice il Ceo di Fx». Matilde Bernabei è il presidente di Lux Vide, la potente casa di produzione di area cattolica. Nel carnet, una sventagliata di successi, Don Matteo, Che Dio ci aiuti, Un passo dal cielo e poi la Bibbia e tanti papi santi e imperatori, poi la rivisitazione dei classici, Romeo e Giulietta, Anna Karenina, e la storia quasi-contemporanea delle sorelle Fontana e di Enrico Mattei.

Fiction per vecchi, però: la qualità non comprende anche un target meno attempato?

«La qualità è qualità. E per l’Italia, proprio in coerenza con quando sostiene John Landgraf di Fx, si apre una grande opportunità, un’occasione unica. Talmente unica che io la sento un po’ come il tetto dell’Osservatorio astronomico dove ci portavano da bambini, che si apriva per far vedere le stelle e poi si chiudeva. Ecco, dobbiamo essere bravi a entrare nella produzione internazionale nel momento in cui il tetto è aperto, e prima che torni ermetico».

Le produzioni italiane sono note per essere difficilmente esportabili: è solo colpa delle lingua?

«A parte che noi realizziamo da sempre coproduzioni internazionali girate ín inglese, lo spirito con cui dobbiamo ora lavorare è, ebbene sì, il glocal. Lavori che si possano apprezzare dovunque, in questo mondo globalizzato, e abbiano un valore universale. E se per Fx ci può essere la saturazione, da noi il gioco deve ancora cominciare».

Le diverse piattaforme, tv, web, on demand, non devono avere linguaggi diversi?

«Linguaggi diversi, ma quando il prodotto è veramente molto buono, diventano universali. Le modalità di racconto devono essere flessibili. Faccio un esempio: Mozart in the Jungle, una delle serie migliori ora in circolazione, con Malcolm McDowell e Gael Garda Bernal, venti minuti a puntata sui musicisti della New York Philarmonic Orchestra. Fantastica. Bene, l’ha prodotta Amazon, divisione Internet video on demand, ma adesso va già in onda su Sky. La forza del prodotto ha portato alla diffusione immediata».

Glocal, quindi: per esempio?

«Stiamo preparando la storia dei Medici, protagonisti di un rapporto unico tra soldi, cultura e arte. È una storia italiana, su una famiglia antica conosciuta tutto il mondo, la messa in onda partirà dalla Rai, pensando comunque al web, quindi al mondo. Questa è una storia in costume: sarà fondamentale realizzare qualcosa di analogo, analogamente trasversale, voglio dire, con la narrazione contemporanea».

Come Gomorra?

«Gomorra è una grande produzione, una splendida serie, ce ne fossero. Ma sono convinta che si possa parlare anche d’altro».

L’Italia è ancora attrattiva, nel mondo tivù?

«Certo. Però è vero che dobbiamo darci una svegliata. Prendiamo i paesi scandinavi: loro si sono organizzati, e adesso è pieno di serie che ci raccontano sentimenti caldi in paesaggi nordici».