Pubblicato il 03/08/2015, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini

Michele Dalai: “Racconto in radio gli antieroi dell’immaginario, in attesa di iniziare ‘Il Processo del lunedì'”

Michele Dalai: “Racconto in radio gli antieroi dell’immaginario, in attesa di iniziare ‘Il Processo del lunedì'”
L'autore e conduttore è, ogni sabato e domenica su Rai Radio 2, al timone di "Ettore", contenitore radiofonico in cui vengono raccontati i grandi oustider dell'immaginario collettivo. In attesa di approdare su Rai 3 nelle vesti di opinionista a "Il processo del lunedì", condotto da Enrico Varriale.

Pensateci. Ognuno di noi conosce qualcuno che si chiama Ettore. Il sottoscritto, per esempio, ricorda con tenerezza el sciur Ettore, mitico lattaio del quartiere Isola a Milano. Vecchietto bonario che si esprimeva solo in meneghino doc, aveva trasformato la sua bottega in un avamposto della mistica dolciaria per infanti in cerca di ghiottonerie. Willy Wonka post litteram. Perché il nome “Ettore” è così. Una genesi mitologica e una collocazione contemporanea da eroe umano e rassicurante. Ettore è anche il titolo del programma radiofonico che Michele Dalai conduce assieme a Fabrizio Farina ogni sabato e domenica alle 9 su Rai Radio 2. “Eroe troiano non dopato, a differenza di Achille, il suo nome sta bene su tutti, perché di tutti incarna vizi e virtù”, dice Dalai. Proprio in una commistione di alto e basso, di apocalittico e integrato, il format racconta le storie di antieroi dell’immaginario collettivo: da Sancho Panza al Tenente Colombo, da Rocky all’Innominato, da Alien a Dean Martin. Una scommessa interessante per lo scrittore (l’ultimo libro pubblicato è Onora il babbuino – Feltrinelli), editore, teorico dell’anti-Tiqui Taca pallonaro, in attesa di approdare in tv come opinionista, a fianco di Andrea Scanzi e Mara Maionchi, nella versione 2.0 de Il processo del lunedì, su Rai3.

Ettore è l’eroe più umano dell’Iliade.

Un nome familiare e rassicurante, perfetto per farne un contenitore radiofonico di storie da raccontare. Al centro, personaggi che suscitano varie tipologie di reazioni, non necessariamente celebrative. Eroi secondari, antieroi in lotta, outsider. L’unico che potrebbe distaccarsi da questa descrizione è Dean Martin, che ha vissuto tre vite in una: da crooner, da formidabile spalla di Jerry Lewis e da grande figlio di puttana.

Allestire il portfolio di personaggi sarà stato l’aspetto più divertente del lavoro autoriale.

Ci siamo divertiti molto, sia io, sia Fabrizio Farina, che non proviene dal mondo della radio, essendo un ottimo art director di Einaudi. L’idea di base era raccontare personaggi con le caratteristiche prima elencate in modo giocoso, tra aneddoti e curiosità, mettendosi al servizio di chi ascolta. Divertendosi ma fornendo informazioni precise.

Leggendo alcuni nomi, penso all’Innominato, l’ascoltatore distratto potrebbe temere l’intento pedagogico.

L’intento pedagogico puro lo lasciamo ad altri, più bravi di noi ad affrontare quell’aspetto. Il nostro non è un approccio da radio di flusso, abbiamo scelto un percorso ironico e informale, diverso da quello che potrebbe avere un Matteo Caccia, tanto per fare un nome, che è un narratore radiofonico meraviglioso.

Tra i personaggi raccontati, è affezionato a qualcuno più di altri?

La puntata dedicata a Frankenstein è forse la più sorprendente, perché abbiamo attinto a piene mani da Frankenstein Junior di Mel Brooks. Mi ha entusiasmato analizzare personaggi multipli dell’immaginario letterario o cinematografico: penso a Piccole Donne o a I Magnifici 7. Visti in principio come un unico blocco monolitico da scomporre andando a caccia delle rispettive individualità.

Il programma andrà in onda fino al 13 settembre.

Stiamo lavorando per continuare fino all’inverno.

E qui si potrebbe porre un problema: i personaggi da raccontare non sono infiniti.

In nostro soccorso stanno arrivando i social. Molti ascoltatori ci stanno suggerendo nomi pazzeschi, mi viene in mente McGgyver. Ognuno ha un personaggio rimasto nel cuore che trova posto nella sua personale galleria permanente. Potremmo ripartire da lì.

Nell’attesa, lei ripartirà da un altro pezzo di storia, questa volta della televisione. Il ritorno de Il Processo del Lunedì, a guida Varriale, che sostituisce Biscardi.

Di quel format storico ho in mente i suoi capisaldi imprescindibili: Biscardi che ricorda di non parlare più di tre alla volta, il tentativo sopra le righe di sfatare i tabù calcistici con l’arma dell’ironia, senza rinunciare a provocazioni intelligenti. La sfida sarà tentare di innovare quella formula, rivitalizzandola. Enrico Varriale ha l’attitudine adatta a condurlo.

Se penso a Il Processo del Lunedì mi viene in mente la trasposizione salottiero-televisiva di un bar di provincia.

Quello è il bello del calcio. In qualsiasi bar della penisola se ne può parlare, a volte con una competenza che non si discosta troppo dal dibattito televisivo. Davanti alla telecamera hai solo il dovere di presentarti un po’ meglio sotto il profilo formale.

Con certi argomenti però è meglio non scherzare troppo. Lei ne sa qualcosa, avendo condotto su DMax in passato un programma sugli hooligans.

Si può scherzare su tutto. Basta farlo in modo intelligente. È angosciante sapere che ci sia ancora, nel calcio di oggi, chi pensa che non si possa andare oltre al dialogo su prescrizioni e affini.

Il calcio italiano presenta delle anomalie che potrebbero alimentare dibatitti?

Qualche anomalia di sistema. Tavecchio, Lotito. La poca voglia di Conte di allenare la nazionale.

Ma, alla fine, conterà il calcio giocato.

Tutti ci aspettiamo una piccola reazione allo strapotere agonistico della Juve.

Litigherà con Scanzi e con Mara Maionchi?

Litigare, no. Andrea è un amico, Mara Maionchi un personaggio fortissimo, ha saputo essere l’avanguardia di se stessa. Ci confronteremo, nello spirito classico del format.

A proposito di format e della loro riuscita. L’ultima volta che ci siamo sentiti, abbiamo discusso dell’opportunità di conciliare la grammatica televisiva con la letteratura, sotto forma di talent. Poi ci hanno provato davvero con Masterpiece. Ma è andata maluccio.

La scrittura è un lavoro quotidiano, talvolta goffo e fatto di piccole nevrosi. Portare sullo schermo l’atto di scrivere era un’operazione rischiosissima. Già quando si parla di “urgenza di scrivere” si rischia di diventare odiosi agli occhi di chi quell’urgenza non la possiede. Un format tv deve avere dei presupposti inclusivi, un preciso meccanismo di identificazione, per evitare di portare in video soltanto una banda di fighetti che al pubblico non comunicano nulla.

Il problema non stava anche nella scelta dei protagonisti?

Stava nel contesto. La stessa giornata sulla lettura, #ioleggoperché, in onda su Rai3, non ha riscosso il successo sperato. In parte per le stesse motivazioni elencate prima.

Poi però Saviano va dalla De Filippi a leggere Dostoevskij e fa il botto. Addirittura, una settimana dopo, Dostoevskij entra di prepotenza nella classifica dei best-seller.

Ha funzionato proprio per la differenza di contesto. Ma anche di intento: lì, il presupposto era raccontare un grande autore attraverso un autore contemporaneo.

Dostoevskij non l’ha scoperto Saviano.

Ma l’hanno scoperto tanti ragazzini che si sono avvicinati a lui grazie a un contesto in cui poteva inserirsi benissimo, con un meccanismo identificativo preciso.

Emerge come la confezione autoriale di un format sia il presupposto decisivo per la sua riuscita. Quale sarebbe la sfida più interessante per un autore in tv?

Facile. Il sogno dei sogni per ogni autore. Lavorare su Sanremo. L’etichetta del nazionalpopolare. Non esiste missione più divertente al mondo di trovare un linguaggio condiviso nel contesto più pop della televisione. Fare avanguardia richiede molto talento, ma riuscire col pop è la sfida più impegnativa.

Gabriele Gambini
(nella foto, Michele Dalai)