Pubblicato il 30/07/2015, 15:34 | Scritto da Emanuele Bruno

Laura Corbetta, Yam112003: “Il branded content deve proporre una storia e creare un ponte tra chi ne fruisce e chi la racconta”

Laura Corbetta, Yam112003: “Il branded content deve proporre una storia e creare un ponte tra chi ne fruisce e chi la racconta”
Fondatrice e Ceo della società del Gruppo Endemol Shine, a TvZoom racconta quali sono le caratteristiche peculiari dei contenuti brandizzati in tv. Partendo dai loro successi: “Tp DJ” e “Mixologist”.

Sono come meteore, scie luminose che in una notte di agosto sembrano molto appariscenti, ma non realizzano alcun desiderio. Le “sponsorizzazioni” vecchio stile oramai sono poco considerate dagli spender dell’adv. La mission delle tipologie di comunicazione che ora vanno per la maggiore – dal branded entertainment al native advertising – non è più quella di colpire il target, ma di coinvolgerlo. E il focus si è spostato su contenuti più profilati, su operazioni più complesse che si prestino a diventare virali. Le iniziative speciali di questo tipo sono diventate una voce sempre più importante nei fatturati delle case di produzione. A YAM112003, società che fa parte del Gruppo Endemol Shine, sono valsi quasi il 50% dei ricavi del 2014. Per la fondatrice e Ceo, Laura Corbetta: «Le richieste, ma anche le aspettative, del mercato sono molto cresciute negli ultimi anni. Il branded content deve proporre una storia e riuscire a creare un ponte tra chi ne fruisce e il vissuto e i valori di chi la racconta».

Nell’era della distribuzione multipiattaforma, dei social e del mobile, si dà per scontato che la cultura dell’integrazione debba essere un elemento condiviso, alla base di qualunque operazione di branded content. In realtà non è infrequente che ci sia qualche fraintendimento. Ci sono clienti, case di produzione ed editori con un’estrazione e una tradizione più televisiva, che vivono quasi come ancillare il resto; mentre altri soggetti, per converso, oramai considerano scontato che si ragioni e si parta dal versante digitale. Tra gli esperti dei due media, in qualche caso, si fatica a mettersi d’accordo perfino sui termini tecnici, perché manca e si sta formando solo ora un linguaggio comune, un esperanto dei due ambiti. Ebbene, YAM112003 può fare valere un’esperienza già rodata nel realizzare progetti aperti e multicanale già a partire dalla fase di ideazione. È il maggiore produttore in Italia di clip YouTube. È un Multi Channel Network certificato da YouTube, ma l’appartenenza al gruppo Endemol Shine è un altro aspetto chiave della sua identità. E suo punto di forza importante è stato, fin dagli esordi nel 2006, proprio la complementarietà delle competenze messe in campo; quelle tipiche della casa di produzione tv e video, ma anche quelle dell’agenzia digitale più innovativa. Laura Corbetta ha raccontato a TvZoom come YAM si sta muovendo all’alba della partenza di un nuovo autunno caldo.

Quali sono i progetti più recenti di branded content a cui avete lavorato?

Siamo molto soddisfatti dei risultati conseguiti dalla seconda edizione di Top DJ con il gruppo Sky. Un contenuto nato al servizio della comunicazione, ma che ha espresso un potenziale editoriale altrettanto forte: otto puntate andate in onda tra aprile e maggio con ascolti elevati e riscontri fantastici per quello che riguarda l’engagement digitale. Non era scontato, visto che guardavamo ad ambiti – quello del clubbing e della musica elettronica – che potevano sembrare fin troppo di nicchia. E, invece, abbiamo pienamente centrato le aspettative di Campari, Perfetti e Vodafone – i brand coinvolti – e l’abbiamo fatto con un format godibile e originale, coerente con il pubblico di SkyUno e Cielo. Siamo ugualmente entusiasti di Mixologist, condotto con Campari, di cui ora stiamo preparando la seconda serie, programmata per febbraio 2016. Anche in questo caso era una scommessa quella che il mondo dei bartender potesse avere la rilevanza e il respiro editoriale che ha dimostrato di possedere. È stato decisivo, in questo senso, lavorare in partnership con Discovery e trovare la collocazione corretta su un canale come DMax.

Non è banale realizzare progetti convincenti, capaci di avere successo sia in termini di comunicazione che di audience. Quale è il segreto?

Quando succede è perché si è creata una bella armonia tra tutti gli attori chiamati in causa. E ciascuno ha svolto il suo compito al massimo delle proprie possibilità. La marca ha focalizzato lucidamente i propri obiettivi; l’editore ha individuato il contesto media giusto per ospitare il contenuto creativo e l’ha promosso bene. E quindi ha funzionato alla perfezione la veicolazione multipiattaforma.

Chi comanda, chi propone l’idea, chi porta in dote gli sponsor e chi sceglie il canale?

Nella nostra esperienza vediamo che si tratta spesso di situazioni ad assetto variabile, anche se in qualche caso abbiamo avuto direttamente noi un ruolo centrale in tutti questi aspetti chiave. Ma non posso affatto dire che questa sia e resterà la formula standard. Quello che sta iniziando sempre di più a capitarci sono dinamiche in cui l’editore, o la concessionaria, ci mette in gara con altre case di produzione chiedendoci magari di esprimere anche l’idea creativa.

Quale è quindi il ruolo più peculiare della casa di produzione?

Il minimo comune denominatore è la capacità di fare problem solving, di essere l’ideale trait d’union tra le esigenze dell’editore e quelle del cliente. E impegnarsi al massimo per tenere alta la qualità del prodotto finale.

Collaborate molto con Sky e Discovery. Cosa state facendo con Mediaset?

La nostra attività in questo settore è iniziata con loro con due format da prima serata: I love my dog – Il collare d’oro Friskies nel 2010 e con Focus Uno nel 2011 sempre su Italia 1. Attualmente abbiamo in pentola alcuni progetti interessanti con la struttura di Publitalia dedicata al branded content affidata alla guida di Andrea Scotti. Stiamo valutando con loro sia operazioni destinate alle reti native digitali, sia alle tv generaliste. Siamo abbastanza avanti su progetti che riguardano il mondo del retail e quello del food, e in tutti i casi si tratta di operazioni in cui i meccanismi narrativi si prestano a vivere in una sinergica ed estesa dimensione multicanale. Con una vita televisiva, digitale, ma anche riflessi in termini di eventi e presenza sui punti vendita. L’idea è quella di garantire ai brand in questione la possibilità di accendere tutti i touch point di comunicazione in maniera coerente ed efficace.

Cosa pensate delle agenzie media che sono scese in campo in questo ambito?

Sono un attore e una risorsa importante di questo scenario, come del resto lo sono le nuove agenzie degli editori e delle concessionarie. Stanno reagendo anche loro alle trasformazioni in corso, che stanno mutando drasticamente gli equilibri tra la comunicazione tradizionale e quelle di più varia natura che sono inquadrate tra le operazioni di progettualità speciale. La realtà è che nel nostro mondo alcuni player stanno vivendo con più difficoltà questa fase nuova, ma alcuni si stanno muovendo in maniera molto proattiva.

Operazioni branded con le ammiraglie generaliste sono impossibili?

È più difficile far tornare i conti se ci si confronta con le modalità di una tv generalista più classica, ancora legata alla linearità e all’appuntamento settimanale. Ma qualcosa ogni tanto si vede, anche se spesso vanno on air trasmissioni che non si possono considerare branded content in senso più stretto e puntuale. La destinazione più logica del branded content, per un tema di risorse e di sostenibilità, sono i canali già profilati. Ma non è un dogma. Il nostro mondo è in tale cambiamento che non si può dare nulla per scontato.

 

Emanuele Bruno

 

(Nella foto Laura Corbetta)