Pubblicato il 19/07/2015, 15:04 | Scritto da Emanuele Bruno

Chiara Crocetti, GME di GroupM: “Intese open source all’insegna del talento. È questo il futuro del branded entertainment”

Chiara Crocetti, GME di GroupM: “Intese open source all’insegna del talento. È questo il futuro del branded entertainment”
La manager da due anni guida la società dedicata alla produzione, al finanziamento e alla distribuzione di contenuti e allo sviluppo della proprietà intellettuale.

Hanno le competenze e le informazioni sofisticate che gli derivano dalla consuetudine e dalla capacità di lavorare con i ‘big data’. Un rapporto consolidato, di forza in molti casi, con editori e concessionarie tv. Niente di strano che le agenzie media stiano in questi mesi allargando il proprio bouquet di servizi, scendendo in campo sempre più direttamente nell’arena del prodotto audiovisivo e multimediale. Nella composita filiera che porta in tv, in Rete e sugli altri mezzi contenuti brandizzati il ruolo delle ‘centrali’ sta diventando sempre più rilevante. I clienti credono sempre più in queste operazioni e chi gli fornisce supporto nella strategia di pianificazione e nell’acquisto degli spazi sta spesso diventando protagonista anche su questo fronte. Tutte le grandi holding della comunicazione si sono dotate di strutture specializzate, che lavorano a fianco di clienti, editori e case di produzione. Qualcosa di più complesso e forse più completo sta però provando a farlo GroupM, la parent company media del gruppo Wpp, quello cioè che dopo il fallimento della fusione tra i francesi di Publicis e gli americani di Omnicom rimane di gran lunga il maggiore colosso mondiale della comunicazione.

Sul versante del branded entertainment GroupM lavora da due anni in Italia attraverso GME, una divisione guidata da Chiara Crocetti dedicata alla produzione, al finanziamento e alla distribuzione di contenuti e allo sviluppo della proprietà intellettuale. Nessuno dei concorrenti ha una mission così estesa e orizzontale. La sigla, che si è svezzata sui mercati americano e canadese e ha già vinto riconoscimenti e premi nelle rassegne globali, ha già fatto decollare alcuni importanti propri progetti anche nel nostro Paese. Ecco come la stessa Chiara Crocetti racconta a TvZoom l’ingresso e l’esperienza in corso nel nostro articolatissimo mercato.

Quali sono le operazioni più recenti che avete condotto?

GME ha diverse linee di business attive. La prima, che rappresenta il core business internazionale di GME, è rappresentata dalla coproduzione e dal finanziamento di contenuti “puri” per la tv o per il web. Dopo l’esperienza con la coproduzione di Motorhome per MTV nell’autunno scorso insieme a Stand by Me, la casa di produzione di Simona Ercolani e Francesco Nespega, oggi partner più che solido di GME, stiamo ora coproducendo con Fremantle – anch’essa stretto partner di GME – la versione italiana del format internazionale Farmer wants a wife, condotto da Simona Ventura per l’autunno 2015 di Fox.

Quanto tempo richiede la preparazione: è difficile fare incrociare gli interessi di tutti gli attori?

GME è stata una start-up piuttosto lunga, necessaria per entrare in un mercato di riferimento differente da quello tradizionale in cui si muove GroupM e con nuovi interlocutori, le case di produzione, i broadcaster, gli editori. Ci siamo posti come un modello di business virtuoso, che di fatto opera un’iniezione di finanziamento nel mercato della produzione di contenuti: non è poco, in un paese come l’Italia, che come non mai ha bisogno di crescere nelle aree più innovative. Ma come primo player nel nostro mercato di riferimento, possiamo permetterci una visuale ampia e dialogante con tutti gli attori della filiera: la nostra capacità negoziale e di mediazione tipica del media, insieme a rapporti diretti e rispettosi dell’expertise dei nostri interlocutori, si stanno rivelando le carte migliori per creare business solidi e soddisfacenti per tutti.

Con quali case di produzione avete quindi collaborato?

Oltre a Stand by Me e a Fremantle, abbiamo partnership importanti con Vice, che per noi è una parent company (una piccola quota di Vice è stata acquisita da WPP global nel 2007 ndr), con The Jackal e – annunciata da pochi giorni – con Areaconcerti e Spotify per la creazione di contenuti nel mondo della musica. Le partnerships vengono rese disponibili ai clienti delle agenzie appartenenti a GroupM per lo sviluppo dei loro branded content originali, o per la declinazione italiana di format internazionali. Non solo quest’area ci sta dando parecchie soddisfazioni, ma pensiamo che sia ancora una volta impegno di GroupM di supportare i volumi di investimento e guidare lo sviluppo dell’area dei contenuti e dell’interazione tra i diversi media, il marketing e il content. GME guarda a chi produce contenuti con vero interesse e senza preclusioni, il sistema di partnership è open-source dove l’unica lettera di presentazione è costituita dal talento, una sorta di “salotto buono” dove tutti possono fare business con tutti, a beneficio dei clienti e col nostro supporto.

Che bilancio tracciate delle operazioni condotte? Il branded entertaiment fa ascolti decenti e qualificati? Come si misura in questo caso il roi?

Le operazioni di placement e di branded content stanno dando ottimi risultati e le richieste dei clienti aumentano in modo esponenziale, ma non spetta a GroupM commentarle: le case history sono esclusivo patrimonio delle nostre agenzie e dei loro clienti, e ne costituiscono una preziosa expertise. Quanto al roi, il research di GroupM ha già reso disponibile una ricerca in grado di guidare i clienti nella scelta di placement e branded content rispetto all’adv tradizionale, in relazione agli obiettivi di marketing desiderati. Sono poi disponibili per i clienti delle singole agenzie le normali ricerche pre e post, ma abbiamo già in corso alcuni progetti che legano la creazione di contenuti online ai KPI di performance.

Chi ha la regia dell’operazione? L’editore, voi, o il direttore marketing dell’azienda?

Noi crediamo che l’editore sia il decisore ultimo, perché in tutti i casi risponde degli obiettivi di audience, oltre che della linea editoriale, e non è pensabile che un contenuto vada in palinsesto o online senza il suo consenso. Ma l’apertura degli editori al branded content inaugura una stagione di apprendimento reciproco tra clienti, produttori e broadcaster che può rivelarsi straordinariamente fertile. Il ruolo di GME per una volta ci riporta qui nell’alveo del media tradizionale, sia pure sotto una nuova luce: la selezione delle eccellenze per i clienti delle nostre agenzie, la negoziazione, la mediazione tra industry che non possono più fare a meno di parlarsi.

Come si fa a preservare il valore del contenuto?

Ascoltando, imparando, insegnando in un contesto che – in Italia – si sta sviluppando ora e nel quale dunque tutto è possibile, tutto si può sperimentare. Un produttore sa – meglio del marketing – cosa funziona e cosa non funziona in televisione in senso scenico, per esempio. Viceversa, lavorando insieme a noi acquisisce le logiche proprie di un cliente investitore, che per definizione di rado agisce da puro mecenate, ha bisogno di vedersi, di farsi vedere e di misurare l’investimento. Non è possibile finzione: qualsiasi narrazione, che si fa conversazione sulla rete, deve rappresentare un valore, essere interessante o rilevante se si vuole che consegni alla fine al brand i preziosi dati degli utenti, altrimenti non funziona. I clienti più evoluti lo sanno da tempo, gli altri lo stanno imparando letteralmente a proprie spese, e a grande velocità.

Le operazioni di branded content ‘devono’ avere anche delle extension web e social?

Sì, i contenuti branded costituiscono un ecosistema che atterra nei social, nella search, nel SEO. I reparti strategici delle nostre agenzie trattano il content già ora in tutti i casi con integrazione e declinazione di contenuti e contenuti extra su tutte le piattaforme on e offline, non vediamo come sia possibile altra prospettiva.

 

Emanuele Bruno

 

(Nella foto Chiara Crocetti)