Pubblicato il 17/07/2015, 11:31 | Scritto da La Redazione
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Giovanni Minoli in lizza per la Presidenza Rai – Il flop di Gianni Riotta costa 200mila euro a puntata

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 3, di Pier Francesco Borgia.

E Minoli trama per prendersi la Rai renziana

Parte il toto nomi per la presidenza di viale Mazzini dopo la riforma. Per l’ad ipotesi Soldi o Greco.

Fallito, come prevedibile, il tentativo avanzato ieri dall’opposizione di far votare dall’aula di Palazzo Madama le «pregiudiziali di costituzionalità» delle legge che ridefinisce, in stile renziano, la Rai di domani. E l’entusiasmo mostrato dal piccolo esercito di senatori della maggioranza è stato tale che sono iniziate a filtrare indiscrezione sul futuro cda della Rai modello Pd. Il toto-nomine ha dilagato una volta, poi, che alcuni hanno addirittura vaticinato per il disegno di legge un percorso in aula velocissimo (talmente veloce da raggiungere il traguardo prima delle ferie estive). Fatto che permetterebbe, in piena zona Cesarini, di scegliere la squadra manageriale della nuova Rai non con la vecchia legge Gasparri, ma appunto con la nuova norma. Per paradosso, chi si è sentito più scottato da questa improvvisa impennata d’orgoglio ed entusiasmo del governo, non milita tra i ranghi dell’opposizione, ma tra i banchi di quella sinistra riottosa che mal digerisce gli ordini di scuderia di Largo del Nazareno.

Per combattere quella che definiscono una «prepotenza» del vertice del partito, hanno anche indicato un nome per la presidenza della nuova Rai: Giovanni Minoli. E ancor più a sinistra c’è chi come Loredana De Petris (Sel) cita addirittura l’articolo 21 della Costituzione per dimostrare come le scelte di una governance più snella e decisionista (massima libertà soprattutto all’amministratore delegato indicato da Palazzo Chigi) rischiano di imbavagliare diritti di caratura costituzionale. Di scetticismo fa sfoggio invece il presidente della commissione di Vigilanza Roberto Fico (M5S). Promette battaglia parlamentare affinché la maggioranza dialoghi costruttivamente con quell’opposizione (grillina) che ha avanzato alcune proposte di modifica che entrano nel merito della governance soprattutto svantaggio dell’autonomia di chi verrà chiamato a gestire il servizio pubblico radiotelevisivo. Insomma si alza la temperatura e già si intensificano le indiscrezioni sui nomi dei nuovi vertici, in particolare su chi andrà a sedersi nella poltrona ora occupata da Anna Maria Tarantola.

La nomina del presidente, secondo il testo emendato in commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del Senato, si ottiene con il voto favorevole dei due terzi della commissione di Vigilanza Rai (composta non più da 9, ma da 7 consiglieri, di cui 4 di nomina parlamentare, 2 scelti da Palazzo Chigi su indicazione del ministro dell’Economia e uno scelto dagli stessi dipendenti della Rai). Insomma, dopo i rumors dei giorni scorsi che hanno avuto per protagonista Luisa Todini, già cda Rai e ora presidente di Poste Italiane, come futuro presidente con la benedizione bipartisan, adesso è la volta del papà di Mixer. L’ ex direttore di Rai 2, «pensionato» due anni fa proprio dall’attuale dg Luigi Gubitosi, che gli portò via il programma La Storia siamo noi, potrebbe tornare in corsa proprio per la poltrona presidenziale di viale Mazzini. La nuova presidenza, però, almeno nelle intenzioni del legislatori che hanno ideato la futura governance, dovrebbe avere un ruolo di garante, quasi da contrappeso al nuovo amministratore delegato «plenipotenziario». L’identikit di quest’ultimo, tra l’altro, avrebbe le fattezze molto somiglianti a Marinella Soldi (direttore generale di Discovery) e a Patrizia Greco (attualmente presidente di Enel).

 

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 12, di Carlo Tecce.

Riotta, il flop è sempre salato: “Parallelo Italia” costa 1,5 milioni

I guai di Rai 3: studio itinerante e giro delle città.

Per attutire l’impatto di Parallelo Italia (Rai 3, martedì) di Gianni Riotta, La7 di Urbano Cairo, il canale dove la tavola rotonda fra attualità e politica è una ragione sociale, ha prolungato In Onda. E poi ha aggredito il pubblico di Riotta con il film So cosa hai fatto di Jim Gillespie. Una pellicola del ’97, abbastanza recente per i canoni di La7, che domenica proponeva Totò truffa ’62. Nonostante l’involontaria sportività di Cairo, Parallelo Italia è riuscito a esordire con l’intervista “spottone” (citazione di Corrado Passera) a Matteo Renzi, l’imbarazzante disquisizione economica con Marco Tronchetti Provera per raggranellare un modesto 5,2 per cento di share, la metà del picco fissato la settimana scorsa da Ballarò. Perché la concorrenza, la trasmissione di Riotta, se l’è fatta da sola.

Il guaio è che c’è tempo per peggiorare e scialacquare l’investimento di Rai 3, la rinomata fabbrica di fallimenti però di eccellente fattura intellettuale (così li vendono). Per le sette puntate di Parallelo Italia, un pellegrinaggio da Milano a Napoli, da Palermo a Bologna in ossequio al cieco ottimismo che anima il renzismo, Viale Mazzini spenderà 1,5 milioni di euro, poco più di 200.000 a serata. Una cifra esagerata per un programma che va d’estate e contende spiccioli di pubblicità. Ma Gianni Riotta per il ritorno nel servizio pubblico ha preteso un trattamento completo, elegante (e certo, sempre, intellettuale), mica s’accontenta di uno scantinato come i disgraziati di Gazebo che vanno in onda dal retro di Affari Tuoi. E non è una metafora. Parallelo Italia dispone di uno studio itinerante, vanta quattro o cinque collegamenti in diretta, un paio in simultanea, e costano. Sì, non li rimborsa la cassa mutua intellettuali e reduci.

Andrea Vianello, direttore di Rai 3, è un tipo che sperimenta, a volte funziona, spesso sbaglia. E Parallelo Italia ha imboccato il percorso accidentato (e molto salato per Viale Mazzini) di Masterpiece, che ancora adesso non è di agevole definizione. Il mai compianto Masterpiece era un gioco: no, troppo riduttivo. Masterpiece era la fucina dei giovani scrittori: no, troppo spocchiosa. Allora Masterpiece era un programma intellettuale (perdonate la ripetizione del concetto) che doveva indottrinare le masse per forgiare l’autore da milioni di copie. Ha vinto Nicola Savic con il romanzo Vita migliore. La vita di Savic, giudicato unanimemente un talento, è di sicuro migliorata. Quella di Masterpiece è stata breve, per niente intensa e, soprattutto, faticosa. Il prezzo: i soliti 200.000 euro, ma per la seconda serata. Ha chiuso la parte iniziale con un 3,6 per cento di share. Al rientro in primavera, però, ha registrato un record: domenica 2 marzo 2014, 1,9%. Forse il telespettatore di Viale Mazzini, per anni nutrito con suore e preti eroi, non è abituato a consumare eventi così impegnativi per le sinapsi. Ma per Rai 3 aumenta la sequenza di fiaschi, ormai anche proibitiva da ricapitolare.

Giugno e luglio di un paio di anni fa, mesi non propizi perle novità, ecco il sacrificio di David Parenzo, ingaggiato per schiantarsi contro l’Auditel con La Guerra dei Mondi: il consueto 3,5% di share, quattro fugaci serate e l’immediato addio. E destino simile per Celi, mio marito! o per Neri Marcoré, collocati male in palinsesto e già sconfitti in partenza. Soppressi.

Come Questioni di famiglia, ritirato dopo la seconda occasione mancata col 2,1 per cento di share. E va citato, perché più prossimo a Riotta, il 2,7 di Io leggo perché di aprile. Per eccesso di zelo, in Viale Mazzini c’è una gara a chi appare più renziano, a chi ne incarna lo spirito in maniera più evidente: gente che ambisce a una riconferma e gente che desidera una promozione (Riotta al Tg3). Vianello lotta per la riconferma. E da novembre, di lunedì su Rai 3, debutta Beppe Severgnini con L’erba dei vicini. Servegnini si racconta così: «Un programma di confronti con gli altri grandi Paesi europei e gli Usa. Motto: “Se siamo più bravi, possiamo insegnare. Se siamo meno bravi, dobbiamo imparare”». C’è il sospetto che Servegnini sia intenzionato a insegnare.

 

(Nella foto Giovanni Minoli)