Pubblicato il 16/07/2015, 11:34 | Scritto da La Redazione
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Tecce: “Rai, una valletta chiamata Riotta” – Placido: “Vado in tv, il cinema deve svegliarsi”

Tecce: “Rai, una valletta chiamata Riotta” – Placido: “Vado in tv, il cinema deve svegliarsi”
Il critico televisivo de “Il Fatto Quotidiano” boccia il nuovo programma di Rai 3, andato in onda martedì sera. Mentre in un’intervista a “La Repubblica” il regista annuncia una serie sulla Mafia.

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 1, di Carlo Tecce.

Rai, una valletta chiamata Riotta

Parallelo Italia”: iI vero conduttore del programma è Renzi.

Questa è un’estate record. Occorre soltanto accendere il televisore: zanzare in versione teste di cuoio, canicola che fa svenire i meteorologi e Parallelo Italia di Gianni Riotta su Rai 3. Esperienze di vita, più dura che agra. Ecco la cronaca di un martedì bestiale per il telespettatore. E le zanzare, a un certo punto, provano compassione. Riotta entra in studio, carico, e interroga Bobo Maroni su Iran e Grecia, poi inchioda Giuseppe Sala, il commissario per l’Expo: “Ci deve una confessione sull’albero”. Non sazio, azzanna Graziano Delrio, ministro dei Trasporti: “Abbiamo progetti per tornare sul mercato iraniano?”. Abbiamo, chi?

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 5, di Nanni Delbecchi.

Uno spot-show in stile Johnny

Non voleva fare un talk: ha fatto una passerella per potenti.

“Questo non è un talk show, questo non è un talk show…”. Gianni Riotta letteralmente terrorizzato all’idea che Parallelo Italia venisse scambiato per un talk show. Eppure lo studio c’era, le poltroncine pure, gli ospiti anche certo, poi c’era Riotta, e con lui tutto prende un altro sapore. Però poteva sempre starci l’errore di prospettiva, l’ingenuo che scambia il quadro di Magritte “Ceci n’est pas une pipe” per una pipa vera. Ceci n’est pas un talk-show. Ma allora che diavolo era? Chissà cosa avrebbe detto Fantozzi di tutti quei salti di montaggio, dalla panchina di Atene alla birreria di Amburgo, da Bollate a Teheran. Tante cose una sull’altra, Parallelo Italia, meglio di un club sandwich. Era uno spot-show con un’intervista a Matteo Renzi così lunga che bisognava piazzarla a rate, come una volta si faceva con l’Enciclopedia Britannica. Era una spot parade, perché con la medesima aura confidenziale sono stati intervistati pure Federica Mogherini, Marco Tronchetti Provera e Giuseppe Sala in versione double face (a spasso per i padiglioni dell’Expo, e comodi in studio sulla poltroncina); era un Riotta memories che ha avuto il culmine nel lancio di un frammento datato 1993, quando Johnny condusse Milano, Italia per un breve periodo (poi Rai 3 corse ai ripari); era un True Riotta: il detective Johnny che indaga sull’Italia, sull’Europa e sull’orbe terracqueo spostandosi per tutta la penisola da solo, senza nemmeno Matthew McConaughney a fargli da spalla, solo lo chef della Pergola Heinz Beck a dargli qualche dritta sulla Germania.

Insomma, Parallelo Italia rappresenta una novità senza pari nel campo dell’informazione Tv, com’era lecito attendersi. Riotta è l’uomo che quando si trovò a dirigere II Sole 24 ore notò come nel quotidiano della Confindustria ci fosse un po’ troppa economia, e corse ai ripari. Gli fosse capitato di dirigere la Gazzetta dello sport, non gli sarebbe di certo sfuggito che in quel quotidiano c’è un po’ troppo sport, e sarebbe corso ai ripari. Ora gli è capitato un talk show, ed è corso ai ripari trasformandolo in una passerella di potenti cui porgere il microfono, certo di voltare pagina e di fare cosa gradita. Alla fine dell’intervista a dispense, Matteo Renzi gliel’aveva detto chiaro: “I talk show dove si mettono in evidenza le cose che non vanno sono l’avversario da battere”. Matteo ha fatto un sogno; e Johnny lo ha avverato.

 

Rassegna stampa: La Repubblica, pagina 38, di Silvia Fumarola.

Michele Placido: “Il cinema deve svegliarsi”

Parla il regista di “Romanzo Criminale” che prepara una serie sulla mafia per la Rai.

«Non mi stupisce che i grandi film diventino serie. Da noi è successo perché si è un po’ perso il cinema di genere e la tv ha sviluppato filoni diversi». Michele Placido ha diretto Romanzo criminale, il film tratto dal libro di Giancarlo De Cataldo diventato serie tv con Stefano Sollima.

Come si lavora dal film al formato tv?

«Nel caso di Gomorra e Romanzo criminale gli autori sono stati fortunati, avevano alla spalle libri corposi, con Rulli e Petraglia al cinema abbiamo dovuto ridurre, la tv ha dato più spettacolarità alla vicenda».

Perché le serie tv piacciono tanto?

«Perché i fatti appaiono più credibili. Le serie sono interessanti per il lavoro con gli attori, la versione tv di Romanzo criminale ha messo in luce tanti giovani di talento».

Fare una serie da un film è una scorciatoia?

«Non credo. In America pescano tra generi diversi, e succede anche da noi: faranno una serie da Immaturi, commedia di successo. Il cinema entrerà in crisi o si darà una scossa? Chissà. C’è un altro fenomeno di cui tenere conto: il fatto che grandi autori cinematografici, penso a Sorrentino, lavorino per la tv. Vuol dire più qualità».

Lei che progetti ha?

«Preparo per la Rai Il regno, serie ideata insieme a De Cataldo: partiamo dai mafiosi che aiutarono lo sbarco degli americani in Sicilia durante la guerra per raccontare il fenomeno mafioso dal ’43 fino alla trattativa Stato-mafia. La sceneggiatura è di Ludovica Rampoldi, con Stefano Sardo e Alessandro Fabbri, gli stessi che hanno firmato 1992, il consulente storico è Francesco La Licata».

(Nella foto Gianni Riotta)