Pubblicato il 08/07/2015, 13:34 | Scritto da La Redazione

L’AgCom chiede un salto in vanti sulla banda larga: siamo ultimi in Europa – Sky prima per fatturato, Mediaset seconda

Rassegna stampa: il Giornale, pagina 19, di Maddalena Camera.

Nella banda larga Italia senza rete e utenti. Media: serve la riforma

La relazione annuale dell’Agcom. Il messaggio di Cardani: «Solo il 36% di clienti può connettersi a 30 mega». E per la tivù: «Sistema obsoleto. Abolire canone Rai».

Italia arretrata nella rete a banda ultralarga. L’avevamo ampiamente capito, ma la certificazione ufficiale è arrivata dall’Agcom nella sua relazione annuale sul settore tlc e tv. Il presidente dell’Autorità per le tlc sferza il governo mostrando i numeri. In Italia le connessioni superiori ai 30 Mb (mega) sono presenti sul 36% del territorio nazionale contro il 68% della Ue e di conseguenza il digital divide è doppio rispetto a quello europeo e con situazioni che arrivano alla totale mancanza di copertura. Anche quando la connessione c’è, però, complice il costo e l’ormai proverbiale preferenza da parte degli italiani per le connessioni mobili, la banda ultralarga viene sotto utilizzata. Tanto che «solo il 4% delle famiglie utilizza connessioni superiori a 30 Mb (contro il 26% della Ue) e sono praticamente nulle sono le connessioni superiori a 100 Mbps (9% negli altri stati europei)».

Il presidente Angelo Cardani chiede dunque, e neppure tanto sottovoce, l’intervento del governo per colmare tale divario. A dire il vero un piano per la banda ultralarga ci sarebbe, ma è purtroppo confuso, come quello del governo greco per la ristrutturazione del debito. Alle accuse di arretratezza della rete il presidente di Telecom Giuseppe Recchi, ha subito risposto che «la sua società ha aumentato gli investimenti». Certo che meglio va con la rete mobile dove il 3G, raggiunge il 98% del territorio (contro il 97% della media Ue). Non meno allarmante il quadro generale dei media: tv, radio e soprattutto quotidiani e periodici. Per Cardani è regolamentato da un sistema normativo «frammentato e disomogeneo, ormai obsoleto rispetto alle sfide del presente», che obbliga a una «riforma ampia in materia di comunicazioni, informazione e media». Per questo Cardani invita il legislatore a intervenire, anche sulla Rai, in vista del rinnovo della convenzione ventennale che scade l’anno prossimo. Occorre – dice – una riforma complessiva che parta dall’«individuazione del nuovo perimetro» del servizio pubblico e riveda il canone «nel segno di semplificazione, perequazione sociale e effettività della riscossione».

Sul fronte dei numeri, complice la crisi, il settore ha perso il 5,9%, con un fatturato totale di 52,4 miliardi. Il 61% dei ricavi arriva dalle tlc (32 miliardi, -7,7% sul 2013), il 27% dai media (14,3 miliardi, -3,2%) e il 12% dai servizi postali (6 miliardi, -2,3%). Il comparto comunicazioni incide sul Pil per il 3,3% ed è tutto in rosso, con perdite in doppia cifra per la rete mobile (-10,4%), per l’editoria in generale (-10,7%) e per i periodici in particolare (-15,8%). Un confortante segno «più» arriva solo dal comparto Internet (+10% con fatturato di 1,6 miliardi) e dalla tv a pagamento (+1,4%, con ricavi pari a 3,3 miliardi), anche se è ancora la tv in chiaro a produrre i maggiori introiti (4,5 miliardi, -3,3% sul 2013). Quanto ai media classici, negli ultimi 5 anni quotidiani, tv, radio hanno perso quasi 2 miliardi di euro di ricavi. Sul fronte televisivo guardando le singole aziende, la relazione ha sottolineato che Sky Italia è prima sul fronte del fatturato nel 2014 con Mediaset che però si riprende il secondo posto, toltole nel 2013 dalla Rai.

 

Rassegna stampa: Il Sole 24 Ore, pagina 11, di Ma. M.

Ma la pay tv è in rimonta

Si riduce la forbice con la tv in chiaro: 3,3 miliardi contro 4,5.

Il mercato dei media cambia ara con la digitalizzazione e «il ruolo propulsivo della domanda». Gli operatori televisivi vendono diritti alle piattaforme delle imprese di telecomunicazione: Telecom Italia-Sky, Vodafone-Mediaset/Infinity. Media interessati anche dal consolidamento delle dimensioni, come dimostra il tentativo di Opa di EI Towers su RaiWay e le eventuali “mosse” di Vivendi aldilà di Telecom Italia. La televisione in chiaro assorbe una quota significativa, il 26%, delle risorse del Sic (Sistema Integrato delle comunicazioni) e ha introiti per 4,5 miliardi di euro nel 2014 (5,6 miliardi nel 2010) con una “forbice” ridotta rispetto alla pay tv (3,3 miliardi di euro nel 2014; 3,4 nel 2010). I tre gruppi principali del settore, Fox/Sky Italia, primo gruppo per ricavi (il 34% di quelli totali) Mediaset e Rai, detengono quasi il 90% del totale. «Gli assetti di mercato della televisione in chiaro e quella a pagamento manifestano, in entrambi i casi, una situazione di elevata concentrazione» sottolinea la Relazione dell’Agcom. Va precisato che il mercato della “tv in chiaro” include il canone, che pure non è contendibile.

A livello di ascolti, Rai e Mediaset, con il 37,5% e il 32,8% dell’ascolto nel giorno medio «rimangono di gran lunga gli operatori principali, pur con share inferiori rispetto al 2010». Sky e Discovery hanno quota di ascolto comprese tra il 6,6% di Sky e il 5,8% di Discovery mentre Cairo rimane sotto al 4 per cento. Tutte le altre tv, insieme, hanno il 12% dell’ascolto totale giornaliero. Quanto alla Rai, è significativo che il presidente dell’Agcom sottolinei come «l’individuazione di un nuovo perimetro del servizio pubblico rappresenta il punto centrale della Riforma Rai», individuando «una nuova missione in quest’era sempre più digitale e convergente». La radio ha avuto, nello scorso anno, ricavi per 610 milioni di euro (746 nel 2010), per il 74% dovute alla pubblicità e il 17% dalla quota di canone Rai. «Siamo impegnati a traghettare il sistema dall’analogico al digitale» ricorda Cardani. Nei quotidiani la pubblicità (-9%) cala più delle vendite (-2%). Gli introiti pubblicitari scendono a 859 milioni rispetto ai 941 del 2013 (nel 2010 si era a 1,4 miliardi). L’unico mezzo a veder crescere gli introiti, ancora nel 2014, è Internet, che vale 1,6 miliardi (1,1 nel 2010) rispetto ai 3,3 della tv, che però era a quota 4,2 nel 2010. Sulla par condicio, l’Agcom sottolinea “ancora una volta” come la «trasformazione del sistema dell’informazione metta in crisi il modello legislativo analogico su cui si fonda la legge 28 del 2000», di cui ha richiesto «invano» l’aggiornamento.

 

(Nella foto Angelo Cardani)