Pubblicato il 25/06/2015, 13:32 | Scritto da La Redazione

I francesi di Vivendi rilanciano su Telecom: “Non solo telefoni” – La consulta che boccia le leggi, anche quelle sulla Rai

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 17, di Giuliana Ferraino.

Vivendi: “Pronti a crescere in Italia. Non solo telefoni, un futuro nella banda ultralarga”

Il gruppo francese Vivendi, I presieduto da Vincent Bolloré con il 14,9% è da ieri il primo socio di Telecom Italia. Il ceo Arnaud de Puyfontaine, crede nelle potenzialità dell’azienda «soprattutto per lo sviluppo della banda ultralarga». «Il piano di Vivendi? Faremo tutto il possibile per diventare un player importante sul mercato italiano. In cassa abbiamo 10 miliardi di liquidità, che ci dà capacità di investire, agilità e velocità di esecuzione. Abbiamo una mentalità aperta, siamo pragmatici, e con un grande appetito per un mercato che offre grandi opportunità», afferma Arnaud de Puyfontaine, 51 anni, Ceo di Vivendi da 12 mesi esatti, nel giorno in cui il gruppo francese ha ufficializzato di essere salito al 14,9% di Telecom Italia, investendo circa un miliardo. Una ragione in più per «venire regolarmente in Italia, un Paese che amo molto», afferma il top manager, che tutti gli anni, a luglio, festeggia l’anniversario di nozze a Positano, dove quest’anno per la prima volta lo accompagneranno anche i 4 figli.

L’Italia è un amore condiviso con Vincent Bolloré, che all’inizio dell’intervista irrompe nell’ufficio di de Puyfontaine, un’enorme stanza piena di finestre e quadri di arte moderna, al 6° piano di avenue de Friedland, con vista sull’Arco di trionfo, per ricordare che il 24 giugno, giusto un anno fa, è stato nominato presidente di Vivendi, di cui è primo azionista con il 14,5%. E per lanciare un segnale su Mediobanca, ormai la banca di riferimento del gruppo Bolloré. A dicembre scade il patto di sindacato di Piazzetta Cuccia, e il primo ottobre i soci sono chiamati a riunirsi. «Il patto di sindacato è stato utile in passato e deve restare in futuro, perché serve a proteggere un’istituzione che è molto di più di una la banca d’affari in Italia, fa molto per le aziende grandi e piccole e sostiene l’economia del Paese», spiega l’imprenditore bretone, socio con l’8%.

Monsieur de Puyfontaine, perché Vivendi ha venduto tutte le partecipazioni nelle tlc, da Sfr a Maroc Telecom e Gvt, per diventare una media company e ora cresce in Telecom Italia?

«Vivendi ha aumentato la sua quota per avere una posizione che rimpiazzi Telefonica in termini di pesò, ma anche per evitare quei conflitti di interesse emersi in passato. In secondo luogo vediamo un potenziale davvero grande in Telecom Italia. Infine, crediamo che ci sia una grande opportunità per essere parte di un grande gruppo del Sud Europa. Italia e Francia sono molto simili, si dice che gli italiani sono dei francesi di buon umore».

Però questo contraddice la strategia, avviata da Vivendi nel 2012, di concentrarsi sui contenuti.

«Siamo nel 2015, il mondo cambia velocemente. Bisogna essere agili e preparati al futuro. Quando abbiamo venduto Gvt a Telefonica, rilevare la quota in Telecom Italia ci è sembrata una scelta opportunistica. E alcuni mesi fa abbiamo sviluppato una visione, condivisa con il presidente Bolloré. Salendo nel capitale diamo un segnale forte, per indicare la volontà di costruire una relazione solida e di lungo periodo con Telecom Italia, che ha grandi prospettive soprattutto in vista dello sviluppo della banda ultralarga. Un tempo Vivendi era fondamentalmente una holding di partecipazioni finanziarie, oggi stiamo costruendo un gruppo industriale. E siamo pronti a investire».

Vivendi resterà al 14,9% o crescerà ancora?

«Lo dirà il tempo. Mai dire mai».

Ha parlato di scelta opportunistica: sarebbe un’opportunità vendere Tim Brasil e poi girare Telecom Italia a Orange, visto che il numero uno, Stéphane Richard, ha citato la società italiana tra le possibili prede per costruire un gruppo paneuropeo? Oppure potreste cederla a Deutsche Telekom.

«L’interesse di Orange conferma che Telecom Italia ha un grande potenziale. Ma lo ripeto: siamo investitori industriali di lungo termine. Non ci muoviamo per conto terzi».

Alcuni rumor sostengono che Vivendi abbia trattato per rilevare il 39% di Sky in mano a Murdoch, ma il prezzo chiesto era troppo alto. È vero?

«Conosco personalmente Rupert Murdoch e suo figlio James. Sky è una grande società e non dirò mai che non ci interessa, ma non c’è stato un approccio formale. Telecom Italia ha firmato un accordo di distribuzione non esclusivo».

E quell’accordo potrebbe essere allargato a Mediaset Premium, di cui è socia anche Telefonica?

«Conosco Silvio Berlusconi e i figli Pier Silvio e Marina dai tempi in cui ero alla guida di Mondadori France. Sono un manager aperto e molto pragmatico, ma per ora la questione non è sul tavolo».

Se Vivendi punta sull’Europa del Sud, il Brasile potrebbe non .essere più strategico. Chiederete a Telecom di vendere Tini Brasil?

«So che è una questione molto calda. Sono open e molto flessibile: l’importante è prendere una decisione che porti valore nel lungo periodo. Faremo un passo alla volta, cominciando da una discussione approfondita con il management e il board di Telecom Italia, ma dobbiamo essere pragmatici. Dal Brasile Vivendi ha deciso di uscire per costruire in Italia. Nell’affare con Telefonica, ci siamo impegnati a scendere sotto la soglia del 5% in Vivo, per poi vendere tutto nei prossimi 3 anni».

Come sono i rapporti con Marco Patuano e Giuseppe Becchi al vertice di Telecom?

«Conosco poco Patuano, ci siamo parlati l’estate scorsa in occasione della vendita di Gvt, alla quale Telecom era molto interessata. E ho incontrato solo una volta il presidente Recchi. Dobbiamo lavorare insieme. Si vedrà».

Quanti posti in consiglio chiederete, entrerà anche lei?

«Valuteremo quando ci saranno offerti».

Parteciperà al consiglio di Telecom del 26 giugno?

«No».

Sulla banda larga Telecom Italia ha deciso di non partecipare all’alleanza con Metroweb, Vodafone e Wind per costruire un network nazionale pubblico in fibra ottica, perché chiedeva di controllare il 51%. Con l’arrivo di Vivendi la posizione potrebbe cambiare?

«Viviamo in un mondo in cui c’è bisogno di capacità, copertura, penetrazione: l’infrastruttura è un tema fondamentale. Le dichiarazioni del primo ministro Renzi sono molto importanti. Affronterò il tema in Italia con gli addetti ai lavori, e ne discuterò a fondo con il management di Telecom. Ma è troppo presto per esprimere la mia posizione ufficiale, perché ogni Paese ha la sua logica. Posso dire però che Italia e Grecia sono gli unici due Paesi europei senza cable network».

Conosce Matteo Renzi?

«Non ancora, non vedo l’ora di farlo. Nelle prossime settimane andrò a Milano e a Roma, per incontrare non solo i vertici di Telecom, ma gli altri attori della politica e dell’industria».

 

Rassegna stampa: Il Messaggero, pagina 2, di Mario Ajello.

Dal caso Rai fino al “Porcellum” quante leggi bocciate dalla Corte

La Corte Suprema all’offensiva? «Macchè», il presidente Alessandro Criscuolo e gli altri non fanno che ripetere, ogni volta che una loro decisione fa scalpore: «Non siamo un contropotere del governo». O meglio, dei governi. E comunque non risparmia nessuno la mannaia dei 12 super-saggi che abitano il secondo Palazzo più alto della Repubblica, in senso geo-politico, lassù sul colle del Quirinale accanto alla sede del Capo dello Stato. Adesso cade sotto il loro verdetto il blocco degli stipendi nella pubblica amministrazione. Ma prima, era stato il caso della legge Fornero: della «piagnona», come il leghista Calderoli era abituata a chiamare la ministra di Mario Monti. E chi non ricorda, per andare a ritroso, quando la Consulta fece a fettine la legge sulla procreazione assistita, varata nel 2004 dal governo Berlusconi? E la bocciatura proverbiale che tagliò le ali ammesso che mai le avesse avute: Porci con le ali è solo un libro generazionale un po’ sporcaccione degli anni ’70 al Porcellum, ossia alla legge elettorale che nel 2006 venne confezionata dal governo Berlusconi per mutilare l’imminente vittoria del centrosinistra di Prodi nelle urne?

BIPARTISAN Anche al governo di Romano Prodi è capitato di vedersi dare torto in alto loco su una vicenda che era diventata un tormentone. Accadde in seguito ai tentativi del ministro dell’economia, Tommaso Padoa-Schioppa, per revocare l’incarico di consigliere del Cda della Rai ad Angelo Maria Petroni e quello resisteva. Nel 2007 si provò a sloggiarlo. Ma nel 2009 la Consulta avrebbe sentenziato: «Non spettava al governo, e per esso al ministro dell’economia, proporre la revoca del consigliere Petroni». E comunque, quando emanano verdetti non graditi, i giudici costituzionali diventano «i comunisti» (copyright Berlusconi, a cui tra l’altro è stato cassato il Lodo Alfano). O sono, come si dice adesso nel linguaggio pop, «la casta super-casta». O «è un organo politico, non di garanzia»: secondo Grillo e i suoi fan. A volte, la Consulta fa Motto. In questo senso, per esempio: quando ha colpito i tagli agli insegnanti di sostegno decisi da Tremonti, ma in linea con gli analoghi interventi del precedente governo di centrosinistra. Due acchiappi in un uno? Sì. Quando le tensioni Consulta-politica si accendono troppo, non mancano naturalmente i pompieri che subito entrano e giustamente in azione. Come ha fatto il presidente Mattarella, in occasione della bocciatura della legge Fornero che ha creato tanti problemi a Renzi: «Non vedo nè scontro nè tensioni tra il governo e la Corte. Serve rispetto. Ciascuno deve poter svolgere serenamente la propria preziosa funzione».

Una parola. Non sembra sereno, in queste settimane, il neo-governatore campano Vincenzo De Luca che guarda a ottobre e alla sentenza sulla legge sulla decadenza degli eletti su cui pesa una condanna: «Mi salverà la Suprema Corte? Certo che mi salverà!». Ma non si può mai sapere. «Anche í ricchi piangono» fu la morale con cui sempre a proposito di governatori regionali l’ex presidente sardo, il ricco democrat Renato Soru, varò la «tassa sul lusso» in Sardegna. Ma poi i giudici gliela fecero rimangiare: bocciata! Così come poi, però, avrebbero infierito anche contro la Robin Tax («Colpire i ricchi per dare ai poveri», Tremonti dixit) del governo Berlusconi.

VILLA ARZILLA A Enrico Letta hanno stroncato la super-tassa sulle sigarette elettroniche, a Mario Monti il contributo di solidarietà dei pensionati d’oro e via così. Nel suo libro «Dentro la Corte», l’ex giudice Sabino Cassese assicura: «La Consulta è una sorta di Villa Arzilla». Abitata da frenetici Matusalemme che pestano i calli (degli altri).

(Nella foto Vincent Bollorè)