Pubblicato il 23/06/2015, 17:30 | Scritto da Gabriele Gambini
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Carlo Lucarelli: “A ‘Profondo Nero’ storie poco note, ma emblematiche. ‘1992’ mi è piaciuto molto”

Una centrale elettrica ha le sembianze di un mostro vivo. Pulsa, puzza, sbuffa. Se ne sta in agguato come un predatore in attesa della vittima. Come un serial killer. È zeppa di corridoi che non sai dove conducano. Porte che danno su caldaie a temperature da vulcano. Reticoli di tubi intricati, labirinti. Come la mente di quel serial killer.
Paura, eh? Carlo Lucarelli quelle menti le conosce bene. Le ha descritte nei suoi romanzi e in tv. Assieme ai ragazzi di Bottega Finzioni (Francesca Gianstefani, Claudia Mastroroberto, Sara Olivieri, FrancescoTedeschi), scuola di scrittura da lui fondata assieme a Michele Cogo, Giampiero Rigosi e Beatrice Renzi, ha scelto sei storie. Tutte italiane. Tutte poco note, rispetto al mainstream della cronaca nera. Da martedì 23 giugno alle 22 su Crime + Investigation (118 Sky), le racconta in Profondo Nero (prodotto da Betamedia), utilizzando come scenario la centrale termoelettrica Enel di Montalto di Castro, che è un po’ il ventre molle della bestia.
Milena Quaglini, la vedova nera pavese. Maurizio Minghella, il serial killer di prostitute. Salvatore Avvantaggiato, killer durante i permessi premio del carcere. Ferdinand Gamper, il mostro di Merano. Ma anche la storica Leonarda Cianciulli, saponificatrice di Correggio. E Cesare Serviatti, il Landru del Tevere, durante il periodo fascista. Quale criterio vi ha portati a scegliere queste storie?
Il fatto che quattro di esse siano storie italiane contemporanee, articolate, appassionanti ma meno note rispetto ad altre già abbondantemente sviscerate. Ricche di materiale che, se ben concatenato, suscita interesse. Le altre due sono lontane nel tempo, ma altrettanto importanti. Aiutano a contestualizzare con precisione alcuni tratti del periodo in cui sono avvenute.
Il suo background accademico alla facoltà di Storia spesso è funzionale alla stesura dei suoi libri. Quanto conta la contingenza storica per comprendere l’agire di un serial killer e le circostanze che hanno determinato i suoi comportamenti?
La contingenza storica, nelle puntate di Profondo Nero, rimane sullo sfondo, ma è fondamentale per costruire una narrazione che non sia fine a se stessa. Diventa una leva per raccontare una società. Nel racconto a posteriori di un delitto, non si può prescindere dallo scenario in cui esso è avvenuto. Si crea così un modello di narrazione completo, che non punti soltanto al sangue per il sangue.
Perché la scelta della centrale elettrica come scenario del programma?
Perché rappresenta i grovigli della mente di un serial killer. Lunghi corridoi labirintici, tubi che non sai dove vadano. Quando, coi ragazzi di Bottega Finzioni, abbiamo visto la centrale di Montalto, ci siamo subito detti: “Qui dobbiamo realizzare qualcosa”.
Il meccanismo narrativo dei suoi programmi ha tratti molto diversi dai talk show di nera odierni, che catalizzano comunque un nutrito pubblico.
Il talk show ha il vantaggio della partecipazione attiva del pubblico, ma il suo limite è il tempo, il racconto live dei fatti. Se analizzi un delitto la sera stessa in cui avvenuto, sei costretto a rivedere le tue teorie passo dopo passo. Non puoi ancora parlare di Dna e prove scientifiche, fondamentali per non trarre conclusioni affrettate. Devi prestare molta attenzione all’uso delle parole e a come i fatti vengono presentati.
E forse devi evitare anche la spettacolarizzazione degli avvenimenti…
La tentazione alla spettacolarizzazione in un talk è inevitabile. Alcuni un po’ vi cedono, altri no.
A proposito di Dna e indagini scientifiche: conferma che, con la tecnologia oggi a disposizione, molti delitti avvenuti anche in un passato recente, come gli anni ’80 e ’90, sarebbero stati risolti velocemente?
È vero, in diversi casi è così.
L’impostazione di un romanziere nei confronti di un libro, assume inevitabilmente un approccio diverso rispetto a quella di un conduttore nei confronti di un programma…
Lo scrittore mette in scena meccanismi possibili, che possono attingere da fatti accaduti o anticiparli, in certi casi. Ci mette molto tempo, consente alle cose di sedimentarsi. All’inizio si fa delle idee, dietro alle quali sviluppa una riflessione che permette di dipanarle o rivederle.
C’è chi dice che l’appalto al racconto del reale attraverso i meccanismi noir sia stato preso dalle serie tv, prodotti capaci di insidiare la letteratura nell’immaginario dei fruitori. Ne è stato coinvolto anche lei, con Coliandro, per esempio.
Le serie tv, semmai, hanno preso il posto del cinema, non della letteratura. E lo hanno fatto a buon diritto. Quando gli hollywoodiani vogliono sperimentare, usano la tv. È più facile, consente snodi narrativi più lunghi, con un esito incisivo e disturbante. Con le serie tv puoi assumerti dei rischi e lavorare sull’introspezione. Vanno in direzione parallela ai romanzi e lo fanno con successo. Non a caso, i grandi attori non hanno più remore nel prenderne parte.
Carlo Lucarelli ne è un fruitore ingordo?
Dipende dai periodi, ma direi di sì. Ho apprezzato molto The Shield e I Soprano, per il loro modo di raccontare la vita di un poliziotto corrotto da un lato, e quella di una famiglia mafiosa dall’altro. Trovo Breaking Bad un prodotto eccellente. Ho apprezzato Gomorra. E 1992. Un esperimento forte e vincente.
A 1992 non sono state lesinate critiche.
Credo non tenessero conto dell’incredibile difficoltà nella narrazione di un passato così recente. Un conto è farlo con un reportage, un conto è imbastire una fiction. Penso sia stato fatto un lavoro molto accurato. Assieme a mia moglie ero sempre impaziente di vedere la puntata successiva.
Se nel 2040 si pensasse a una narrazione sui nostri tempi, che cosa salterebbe fuori?
Qualcosa di non troppo dissimile dai racconti di 1992. Gli intrecci tra affari e politica. I grandi cambiamenti sociali. Fatti come Mafia Capitale ci hanno insegnato a individuare meglio il coinvolgimento della criminalità organizzata con la società, a tutti i livelli. Ma la storia italiana è sempre stata contraddistinta da grandi cambiamenti associati a grandi scoperte, che poi alla fine scoperte non sono.
Potrebbe mai realizzarla la Rai?
Si ritiene che la Rai abbia un pubblico diverso rispetto a Sky. E, per varie ragioni, le sue scelte editoriali godano di meno libertà. Però ho visto delle novità molto interessanti, nel panorama fiction della nuova stagione. Anche in Rai ci sono margini di sperimentazione.
Per quanto concerne la sua esperienza professionale televisiva: ha notato differenze tra lavorare in Rai e in altre realtà editoriali?
Ho sempre goduto ovunque di molta libertà e della massima tranquillità professionale. Quando mi hanno chiamato e mi hanno permesso di realizzare programmi, non ho notato diversità di approccio.
C’è qualcosa che manca professionalmente a Carlo Lucarelli?
Direi di no. Mi piacerebbe continuare a fare ciò che sto facendo. Nei prossimi progetti in lavorazione, c’è un romanzo storico ambientato nell’Eritrea del periodo coloniale. Stanno anche realizzando un film tv tratto dalle avventure di Coliandro.

Gabriele Gambini
(Nella foto Carlo Lucarelli)