Pubblicato il 19/06/2015, 15:35 | Scritto da La Redazione

Bernabè a Minoli: “Non sono fatto per la Rai” – Santoro a Firenze: “A noi ci piace il rosso”

Rassegna stampa: Il Sole 24 Ore, pagina 5, di Giovanni Minoli.

Franco Bernabè: “Tutti gli operatori dovrebbero investire nella banda ultrarga”

Dottor Franco Bernabè, lei ha detto che gli investimenti nella banda larga e ultra larga nel mondo dei servizi internet gratuiti hanno ritorni molto dilazionati nel tempo. Quindi privati disposti sarà difficile trovarli?

Diciamo che gli investimenti nella banda larga li ha fatti Telecom, li hanno fatte tutte le altre imprese di telecomunicazione. Gli investimenti nella banda ultra larga oggettivamente hanno dei ritorni differiti nel tempo.

Però in Francia, Germania, Inghilterra, le Tlc e le loro infrastrutture sono rimaste dello Stato. Solo da noi no. Chi ha avuto ragione?

Non sono rimaste dello Stato, sono rimaste in società privatizzate ma partecipate dallo Stato. Partecipate in modo significativo, che ha dato continuità alla gestione, e ha evitato i traumi che purtroppo ha subito Telecom Italia nel corso dei suoi anni.

Quindi era quella la forma migliore, hanno avuto ragione loro?

E la formula che ha consentito all’Eni di avere il successo che ha avuto, restando con una partecipazione pubblica importante che ha garantito una continuità senza grandi scosse. Ha il potere di nomina, che è gestito con grande prudenza, perché è gestito dal Tesoro, avendo riguardo agli interessi di tutti gli azionisti.

Telecom da sola oggi può fare la banda larga senza l’Enel?

La banda larga la Telecom l’ha già fatta, il problema è la banda ultra larga. La banda ultra larga è una responsabilità di tutti gli operatori non solo di Telecom, c’è bisogno che tutti investano per la parte loro.

Dottor Bernabè so che non ne parla volentieri, ma con Telecom sente di aver lasciato un’opera incompiuta?

Sì, però penso di aver fatto tutto quello che era necessario, e nel mio potere per poter migliorare la situazione. Credo di aver fatto molto, perché ho ridotto il debito, ho ridotto l’avviamento del bilancio di Telecom. Quello che ho potuto fare l’ho fatto.

Ha qualche rammarico per com’è finita?

Certo, sarei stato contento che Telecom diventasse di nuovo il campione mondiale che era 15 anni fa. Purtroppo non c’erano le condizioni.

Era prima delle privatizzazioni il campione mondiale, bisogna dirlo per essere chiari.

Sì, sì.

L’arrivo di Bollorè in Telecom, con grandi disponibilità finanziarie, così sembra, e rapporti privilegiati per esempio con Mediaset, possono rivoltare il sistema delle alleanze in Italia nel settore della convergenza?

Bollorè è una persona che in Italia si è sempre mossa con grande prudenza e con grande saggezza, rispettando le società nelle quali investiva. Quindi io sono convinto che l’arrivo di Bollorè, che peraltro ha una piccola partecipazione in Telecom, sarà coerente con quello che è stato il comportamento di Bollorè fino ad adesso.

Ma prevede alleanze nuove?

Io credo che Bollorè debba ancora farsi un’idea di cosa fare.

In questo grande cambio di scenari si è parlato di lei come del nuovo numero 1 della Rai, cioè dalla rete ai contenuti. È fantapolitica?

Io credo che la Rai abbia bisogno di persone competenti, io non mi sono mai occupato di contenuti, penso di essere la persona più inadatta a occuparmi di una cosa di questo genere. Credo non ci siano manager per tutte le stagioni.

Il fondo che lei vorrebbe creare di venture capitai, “Stark One”, in cosa dovrebbe o vorrebbe investire prevalentemente?

Nella modernizzazione del sistema industriale italiano attraverso le nuove tecnologie.

Lei ha detto che “Chi non ha una start up è nei guai”. Cosa vuol dire?

Le tecnologie riducono i posti di lavoro, inevitabilmente, e quindi la capacità di inventare, di intraprendere, diventa fondamentale. E va riconosciuto il valore sociale della capacità di intraprendere, cosa che ancora in Italia è poco riconosciuta.

Davvero pensa che l’alternativa alla crisi è essere tutti imprenditori?

L’alternativa alla crisi richiederà molta dose di iniziativa imprenditoriale, autonoma.

Renzi è un nuovo leader per uscire dalla crisi?

Sì, è un nuovo leader che ha bisogno di un supporto di una classe dirigente intorno che si deve ancora formare.

Negli ambienti internazionali che lei frequenta, come è visto Renzi?

Parlavo l’altro ieri con Martin Wolf, l’editorialista del Financial Times, che era entusiasta di Renzi.

Ma il suo consenso cresce?

All’inizio era visto con grande sospetto, dopodiché il suo rapporto con la classe dirigente internazionale è molto migliorato, adesso ovviamente lo attendono prove molto difficili.

Dottor Bernabè, Renzi ci racconta un Paese che non c’è o che non c’è ancora?

Un Paese che non c’è ancora ma verso il quale dobbiamo andare.

A lei piace?

Ha le idee giuste. Deve dotarsi di una squadra che riesca a realizzare…

È vero che lei è socio con Marco Carrai e Luigi Berlusconi in una società che si occupa della gestione dei dati personali?

Magari, sarei molto più giovane. Mio figlio è giovane ed è amico di Carrai da tantissimi anni, e con Carrai ha fatto tantissime cose. Quindi magari, sarei molto più giovane di quello che sono.

 

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 6, di Carlo Tecce.

“A noi ci piace il rosso”. L’arrivederci di Santoro

La serata fiorentina su La7 chiude il ciclo di Servizio Pubblico: “Davvero credete che io sia un tribuno? Renzi mi ha detto in bocca al lupo e io a lui”.

A noi ci piace il rosso”, così saluta Michele Santoro. Il rosso in televisione con maglie, sciarpe e fiori. Il rosso di Firenze, il tramonto che avvolge lo sfondo con Palazzo Vecchio e il mastodontico Duomo. Il Rosso di sera, che poi è il titolo di questa puntata speciale di Servizio Pubblico, una trasmissione che fu generata in piazza quattro anni fa, a Bologna e che in piazza finisce. Ha scelto il rosso, Santoro, per il congedo dal pubblico e la capitale del renzismo che, a poco a poco, quasi timorosa, si ribella al partito unico, al pensiero unico, al Matteo unico. Quando parte la colonna sonora, i riflettori rossi accendono la passerella rossa aggettivo e sostantivo ricorrente e sale Santoro, indugia un attimo, la telecamera stringe, mette su l’espressione irriverente e domanda: “Ma veramente credete che io sia un tribuno? In tanti ci hanno imitati, però non si può imitare l’anima di un programma”. Al traguardo di un percorso, trascorse oltre cento puntate, Santoro ritorna al punto di partenza: “Noi siamo Libero Grassi, Buscetta, Spatuzza, Patrizia D’Addario“. Il giornalista fa l’elenco dei protagonisti di quest’ultimi dieci anni di televisione che l’hanno accompagnato fra Annozero in Rai e Servizio Pubblico su La7 (e con il Fatto Quotidiano).

Quella parte di carriera che viene dopo l’editto bulgaro, lo scontro più duro con Berlusconi, la censura assieme a Enzo Biagi e Daniele Luttazzi. Santoro, stasera da Firenze, vuole ringraziare gli telespettatori che con 100.000 donazioni hanno permesso la messa in onda di Servizio Pubblico: “Siamo uno spazio di libertà. Grazie per averci fatto entrare nelle vostre case”. Poi scherza: “Noi siamo italiani un po’ coglioni”. In questa piazza, Largo Annigoni, in mezzo a una settimana fiorentina dedicata a moda e lusso, Santoro non poteva non rievocare Renzi, ch’era invitato, anzi in mezzo ai suoi concittadini perché la gente sta intorno e non davanti o indietro. Renzi ha declinato, però ha telefonato: “Il nostro presidente mi ha chiamato per farmi l’in bocca al lupo per il mio futuro. Sono io che faccio l’in bocca al lupo per il suo futuro”. Con Maurizio Landini che guarda da uno schermo vicino ai camerini, ecco Santoro che punzecchia Renzi: “Preferisce Verdini a Landini”. Servizio Pubblico saluta il pubblico sospeso fra il futuro, e non soltanto quello di Renzi, e il passato di Santoro. Vanno in scena immagini d’archivio: Rockpolitik anno 2005, Adriano Celentano restituisce il microfono a Santoro. Preludio a una lunga stagione di Annozero in Rai: pressioni, sponde con l’Agcom, intromissioni di Berlusconi. Tensioni e anche episodi esilaranti.

Come dimenticare la telefonata di Mauro Masi, il direttore generale di Viale Mazzini, che non sapeva proprio come cacciare Santoro. Nel 2011, dopo Masi, Santoro lasciò la Rai. E qui arriviamo a Servizio Pubblico, da Bologna a Firenze, dall’ex Cavaliere in studio alle inchieste di Sandro Ruotolo costretto a vivere sotto scorta. Stasera, il compendio. Santoro ha riunito gli amici giornalisti, cantanti e attori. Da Franco Battiato (che fa il pugno chiuso) a Mannarino, da Bianca Berlinguer a Gianni Dragoni, da Alba Parietti a Sabrina Ferilli, dai disegni di Vauro a Marco Travaglio. Assenti i politici. O meglio, c’è Maurizio Landini, che fa il sindacalista, che spinge per la “coesione sociale”. Niente è definito. Come i prossimi mesi di Santoro, che ha promesso di prendersi una pausa di riflessione, ma ha giurato che sarà un arrivederci, mica un addio. Santoro ha intersecato la scaletta di una serata normale con quella di una serata speciale. Un po’ di memoria e un po’ di provocazioni. L’agenda: i temi antimafia, la scuola e i maestri, gli immigrati e il lavoro. E la sorpresa c’era da scommetterci non un politico, non è allora Renzi, non è un ministro del “giglio magico”. Ma un balletto di Carla Fracci

 

 

(Nella foto Franco Bernabè)