Pubblicato il 18/06/2015, 13:30 | Scritto da La Redazione
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Mentre il progetto di una nuova Rai è in attesa in Senato, ‘Panorama’ parla di riforma “bulgara”

Rassegna stampa: Il Messaggero, pagina 13.

Viale Mazzini, il governo: “Riforma entro l’estate”

«Vogliamo arrivare al via libera della riforma della Rai e al rinnovo del cda prima della pausa estiva». Lo annuncia il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli. Il quale comunque è consapevole che «tutto dipenderà dall’andamento della discussione in Parlamento e i tempi dipendono da accavallamenti che si stanno determinando nelle Commissioni». In Senato il dibattito resta in stand by in attesa del parere sugli emendamenti della Commissione Bilancio, impegnata con la mole di proposte di modifica sulla Buona scuola che stanno richiedendo più tempo del previsto. I renziani in Commissione Lavori Pubblici sperano di avere il parere la prossima settimana per chiudere le votazioni sulla riforma della Rai in pochi giorni. L’intenzione è arrivare all’approvazione dell’aula entro la prima o seconda settimana di luglio.

 

Rassegna stampa: Panorama, pagina 66, di Keyser Soze.

La riforma bulgara dell’uomo che non voleva occuparsi della Rai

Il paradosso è quasi comico. Quando la direttrice generale dell’Ebu (l’associazione che raccoglie le tv pubbliche europee), Ingrid Deltenre, ha spiegato che nella Ue c’è un solo Paese che ha un rapporto diretto tra governo e tv pubblica come quello previsto dalla riforma Renzi ed è la Bulgaria, a molti è venuto da ridere. Sono tornate alla mente le accuse che tutta la sinistra lanciò contro il Cav tanti anni fa per quella conferenza stampa a Sofia in cui criticò una serie di mostri sacri della Rai, come Enzo Biagi o Michele Santoro. Il famoso «editto bulgaro». Ebbene, com’è nelle corde di un certo mondo, a qualche anno di distanza un premier del Pd ci rifila addirittura «una riforma Bulgara». Una riforma che è la terza tappa (dopo la riforma del Senato e l’Italicum) di un riassetto dell’organizzazione politico-istituzionale del nostro Paese che molti intellettuali da sinistra a destra, da Eugenio Scalfari a Pietro Ostellino passando per Giampaolo Pansa, considerano un pericolo per l’assetto democratico.

E qualcosa di vero deve pur esserci se un decisionista convinto come Silvio Berlusconi ha parlato di «svolta autoritaria». E uno dei piatti forti della svolta non poteva non essere la Rai, brama di ogni politico del Belpaese. Neppure Matteo Renzi ha resistito a questo oscuro oggetto del desiderio. Per mesi ne è rimasto distante. Anzi, per marcare il più assoluto disinteresse non ha mai voluto ricevere a Palazzo Chigi gli attuali vertici della Tv di Stato. Poi, però, ha proposto una riforma che mette la Rai nelle mani del governo, «senza se e senza ma». «L’operazione di Renzi» spiega Maurizio Gasparri «è semplice: con l’alibi di togliere la Rai dalle mani dei partiti, la consegna al governo e, quindi, a un solo partito: il Pd». Un’operazione talmente sfacciata che ha fatto cambiare posizione sulla Rai anche ai grillini: se prima gli uomini di Beppe Grillo volevano i partiti fuori dall’azienda di viale Mazzini ora la loro parola d’ordine è pluralismo. «Se devo togliere il controllo della Rai dal Parlamento per darla al governo e, quindi, al Pd» osserva il cinquestelle Alberto Airola, «allora preferisco tenermi stretta la prima soluzione. Siamo di fronte alla solita furbata renziana».

Già, l’uomo che aborriva parlare di Rai, si prepara ad affondare le mani nella tv pubblica, a renderla un suo feudo. E lo sta facendo nel modo peggiore: un conto sarebbe stato scegliere nel ruolo di amministratore delegato un quadro Rai come Luigi De Siervo, certo renziano doc, ma anche un manager preparato che conosce l’azienda e la tv; un altro tirar fuori il nome di un grand commis di Stato come Franco Bemabè, buono per tutte le stagioni e oggi vicinissimo al fidato Marco Carrai. Alla faccia della rottamazione che, a quanto pare, nella logica del premier vale solo per agli avversari politici, non per le mappe di potere. «Già» osserva Pierluigi Bersani «quando si parla di potere, Renzi dimentica l’anagrafe».

 

(Nella foto la statua equestre in Viale Mazzini)