Pubblicato il 22/03/2015, 14:55 | Scritto da La Redazione

ANDREA PERRONI: “UN GRAZIE A BRIGNANO, CHE MI PRESTA IL PALCO DEL SISTINA, E UN GRAZIE ALLA RADIO, CHE MI HA PERMESSO DI REINVENTARMI ANCHE IN TV”

Il comico, divenuto popolare sul piccolo schermo con l’imitazione di Sandro Piccinini a “Guida al campionato” e con “Hai capito chi è?” sul palco di Zelig, approda al Teatro Sistina di Roma in un one man show che è la sintesi del suo talento di imitatore.meta name=”news_keywords” content=”andrea perroni, enrico brignano, sandro piccinini, zelig, sistina

 

Dal teatro, dove ha cominciato, passando per la tv, con le imitazioni-tormentone del Sandro Piccinini di Guida al Campionato, di Franco Califano, Pino Daniele, Biagio Antonacci e di tutta la schiera di popstar grazie alla quale ha raccontato, sul palco di Zelig, vizi e virtù della fauna romana nei concerti. Non scordando la radio (Radio 2 Social Club assieme a Luca Barbarossa e Neri Marcorè), che gli ha garantito una nuova sfida professionale, il cinema (affiancherà Enrico Brignano nel film Tutte lo vogliono) e un ritorno teatrale col botto: Andrea Perroni sarà domani sera, 23 marzo, al Teatro Sistina di Roma, con la sua chitarra e la sua band, in Siete tutti invitati, one man show in cui descrive l’Italia dei rampanti un po’ cialtroni, dei palazzinari e dei guru del nuovo millennio. Lo spettacolo, da considerarsi un condensato del suo talento di imitatore, toccherà le tappe di Offida (29 marzo), Orvieto (10 aprile) e Montecatini (25 aprile).

Che effetto fa debuttare a 34 anni su un palco storico come quello del Sistina?

 

«Devo ringraziare Enrico Brignano. Mi presta il palco, garantendomi sensazioni multiformi che, anche se è meglio non dirlo, possono ricongiungersi benevolmente nella parola “ansia”. Questo perché si tratta di una location prestigiosa, il teatro che ha portato in Italia la commedia musicale fin dai tempi di Garinei e Giovannini e che ha sempre saputo aprirsi al nuovo nel rispetto delle tradizioni».

 

Siete tutti invitati. “Tutti” perché porterà sul palco la musica e tanti personaggi presi dall’osservazione capillare della realtà odierna.

«L’ambientazione dello spettacolo è un attico della Roma bene dove sono invitato nel mio ruolo di comico imitatore. Un espediente da “spettacolo nello spettacolo” in cui interpreterò tutti i protagonisti tipici delle feste di quel tipo. Dal broker rampante che spiega come la crisi non esista, ma sia un complotto dei numismatici che vogliono accumulare denaro, a uno chef pluristellato che si esibisce in una forma di bodycooking molto particolare: accompagnato da 4 ancelle, inviterà i presenti ad assaggiare i suoi piatti servendoli sul corpo di un modello nudo, ricoperto di cibo, che finirà con l’ustionarsi. Il pubblico deve aspettarsi una sorta di frullatore, a metà tra complottismo e qualunquismo, in cui identificare le caratteristiche del nostro beneamato Paese».

In questo senso, la sua comicità parte dall’imitazione per raccontare un quotidiano quasi macchiettistico.

«In realtà, scadere nella macchietta è proprio ciò che voglio evitare. L’imitazione, nel mio caso, diventa espediente per rielaborare i tratti di quel quotidiano in cui chiunque può riconoscersi, senza essere didascalico. Voglio fare mio il ruolo essenziale del comico: divertire seguendo una strada a metà tra ilarità e spunti di riflessione».

I suoi tratti distintivi sono collocabili in una tipologia specificia di comicità? Penso al dibattito che si sta diffondendo in Italia sui generi, dallo stand-up anglosassone alla commedia dell’arte, da cui attinge la storia della satira in Italia.

«Non voglio collocarmi. Lascio al pubblico e alla critica la sentenza. Personalmente, cerco la trasversalità interpretativa. Mi piace muovermi in diverse tipologie di comicità. Riconosco che lo stand-up puro, quello americano e inglese, sia una tecnica affascinante, colta, capace di scavare nel profondo degli spettatori, garantendo un’attenzione costante. In Italia, l’unico davvero capace di proporlo ad alti livelli è Saverio Raimondo, forte di un bagaglio culturale e di un lessico determinanti. Faccio mia la lezione di un grande come Brignano, in grado di veicolare un prodotto nuovo, figlio della tradizione territoriale romana e italiana, con un linguaggio riconoscibile. Ecco, il linguaggio diventa importantissimo, in questo mestiere: l’eleganza formale paga sempre. Non conta solo quel che fai, ma come».

Nell’immaginario collettivo della tv, ha colpito nel segno con l’imitazione di Piccinini.

«Con Piccinini ho colpito il target che mi ero prefissato, cercando di estremizzare le caratteristiche divertenti di un cronista sportivo alle prese col suo mestiere. Ci ho lavorato molto, impostando l’imitazione su principi di naturalezza. È stato un periodo felice, da cui mi sono a poco a poco staccato. Non per negare quell’esperienza, ma per assecondare la necessità di fare cose nuove».

 

Da quel periodo all’arrivo di novità, c’è stato un interludio di riflessione, per lei.


«Mi sono rimesso in discussione. Non è stato un periodo facile, dopo il 2009, quando ho smesso di imitare Piccinini. Ero alla ricerca di nuovi stimoli. Mi ha aiutato tantissimo l’esperienza radiofonica di Radio 2 Social Club. La radio consente un’evoluzione continua, ti fa confrontare col tuo mestiere senza filtri estetici e ti garantisce una crescita personale, anche umana, con una chiave di lettura pazzesca».

 

Crescita che poi è esplosa con l’esperienza di Zelig e con l’imitazione dei cantanti: lì, la sua ricerca è virata sul pubblico nazionalpopolare. Quello dei Tiziano Ferro, dei Biagio Antonacci, ma anche dei Califano e dei Pino Daniele.


«Zelig, con Hai capito chi è, è stato un bellissimo ritorno televisivo. Dici bene, il quadretto di riferimento era il nazionalpopolare, soprattutto quello della scena romana. Mi divertiva raccontare le peculiarità del pubblico romano durante i concerti. Roma è una piazza difficile, il romano ha visto tutto, è supponente per natura. I personaggi da me imitati snocciolano le frasi di scherno tipiche della platea romana durante i concerti. Pindaricamente, sono affascinato un po’ dalla Roma felliniana, un po’ da un film come Alta Fedeltà, tratto dal romanzo di Horby, in cui l’attore recita, ma si isola anche davanti alla macchina da presa, cercando di sfogarsi a tu per tu con lo spettatore, con tono confidenziale».

Di recente, ha partecipato anche a Leyton Orient su Agon Channel. Su Agon se ne sono dette tante, in positivo e in negativo. Me ne dica una lei.

«Sarò sincero: è stata un’esperienza da promuovere. Ho incontrato una struttura che lavora bene, con cui mi sono mosso in totale serenità e sintonia».

 

A proposito di serenità e di tv. Mai capitato di essere censurato?

 

«Personalmente, mai. Credo che la comicità, la satira in particolare, fin dai tempi di Giovenale, non abbia mai cambiato i propri binari di riferimento. La satira non ha limiti spazio-temporali, anche se racconta il quotidiano sa sempre affrancarsi dal contingente. L’importante è che si muova in un meccanismo ampio, culturalmente aperto e preparato: anche il pubblico ha le sue responsabilità in questo, e deve essere in un certo senso educato dal comico stesso».

Lei quando ha capito che avrebbe fatto il comico?

 

«Credo da sempre. Da quando i miei progetti hanno iniziato a concretizzarsi. Nel senso che non ho mai avuto un Piano B, un mestiere alternativo pronto in caso di fallimento».

 

Con modelli di riferimento precisi?

 

«Tutti e nessuno in particolare. Sono una spugna, cerco di imparare da tutto quello che vedo».

 

Un progetto a lungo termine pronto?

 

«Ne ho uno a breve scadenza, molto concreto, però: finire di pagare il mutuo di casa. Poterlo fare con il mestiere che mi sono scelto è motivo di grande soddisfazione».

 

Radio, tv, teatro. Ecco. Teatro. Che cosa c’è, dopo il teatro?

 

«Dopo il teatro spero ci sia il teatro, oltre a tutto il resto. Nel senso che è ancora il mezzo espressivo più completo in assoluto, che ti porta a contatto diretto col pubblico, anche nell’era del web e delle evoluzioni tecnologiche».

 

Gabriele Gambini
(nella foto Andrea Perroni in una foto di Achille Le Pera)

 

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