Pubblicato il 15/12/2014, 22:26 | Scritto da La Redazione

ROBERTO BENIGNI E “I DIECI COMANDAMENTI”: UN’ORA E MEZZO TRA IL SACRO E IL PROFANO

ROBERTO BENIGNI E “I DIECI COMANDAMENTI”: UN’ORA E MEZZO TRA IL SACRO E IL PROFANO
Su Rai 1 la prima delle due puntate sulle tavole di Mosè del premio Oscar toscano, che si sofferma solo cinque minuti sulla politica e sugli scandali della mafia capitale e poi sterza subito sulla Bibbia, trasformando la serata in un racconto. meta name=”news_keywords” content=”roberto benigni, i dieci comandamenti, rai 1″ Prima di passare ai […]

Su Rai 1 la prima delle due puntate sulle tavole di Mosè del premio Oscar toscano, che si sofferma solo cinque minuti sulla politica e sugli scandali della mafia capitale e poi sterza subito sulla Bibbia, trasformando la serata in un racconto.

meta name=”news_keywords” content=”roberto benigni, i dieci comandamenti, rai 1″

Prima di passare ai Dieci comandamenti, Roberto Benigni si ferma sulla politica o meglio sulla corruzione che nel nostro Paese esiste da tempo immemore. Quasi quanto le tavole di Mosè. «Sono passato a Cinecittà, stanno girando un nuovo film, Natale a Rebibbia…li stanno arrestando tutti, io ho dovuto fare una gimcana incredibile per evitarli». Se la ride il comico nel collegamento del Tg1 prima che il suo show dal Palastudio di Cinecittà prenda inizio. Una diretta di un’ora e mezza per raccontare al pubblico di Rai 1 il decalogo che Dio dettò a Mosè sul Monte Sinai. Ma prima tutti si aspettano che Benigni faccia Benigni. Perché se è vero che Silvio ormai non c’è più (o quasi), è altrettanto vero che la mafia capitale ha superato di parecchio il bunga bunga. Senza spot, perché così ha richiesto nostro Signore Benigni e con una scenografia in stile francescano, costata quanto l’intero convento del Santo, il premio Oscar parte subito con il suo monologo da guitto. «Sono felice di essere a Roma, sono contento di vedervi tutti a piede libero in questa città, siete gli unici rimasti in tutta la città. Roma rimane sempre la più bella del mondo, sotto Natale con queste luci, soprattutto sono belle queste luci bianche e blu lampeggianti, sopra le macchine, con questi suoni di cornamuse, un po’ ripetitivi ma belli. In Campidoglio è pieno, un viavai, è tutto perfetto. Allora possiamo cominciare, tutti i permessi sono in regola, quelli della Rai, della Questura e della banda della Magliana. Roma poi è il tempio della cristianità, mi hanno accolto benissimo: sapevano che avrei fatto uno spettacolo sui Dieci Comandamenti e hanno fatto in modo che li violassero tutti e dieci, mi vogliono proprio bene. Stanno arrestando tutti, anche stasera per arrivare qui abbiamo evitato almeno tre retate. Ma io vorrei ricordare i nomi di queste persone arrestate: tutti i politici coinvolti si sono giustificati, dicendo che avevano sbagliato a scegliere i collaboratori, certo tutte personcine oneste: er carognone, er porco, er lurido, lo sventramonache. Tutti insospettabili. Non si salva più nessuno, solo un miracolo ci può salvare».

Un pensierino va anche al premier. «Renzi è andato dal Papa al Vaticano, anche per cercare spunti per la riforma elettorale, quella del Vaticano gli piace: chi vince governa a vita, senza opposizione. Ecco, invece dell’Italicum, vorrebbe il Vaticanum. Ma smettiamo di parlare della cronaca, siamo qui a parlare della Bibbia, ma rischiamo di parlare solo di Rebibbia. Hanno arrestato anche alcuni della Marina Militare, manca solo l’aviazione». Cinque minuti possono bastare. Poi tocca alla religione, al credo, ai ricordi del bambino Benigni, «perché stasera o mi arrestano per vilipendio alla religione o mi fanno cardinale». Professa la sua fede, così il comico lascia lentamente il posto al premio Oscar: «I Dieci Comandamenti sono scritti da Dio col suo dito, noi stasera crediamo tutti in Dio tutti. Non cominciamo con le solite storie, Dio non esiste, anche perché vediamo Batman, l’Uomo Ragno, Zorro e ci crediamo e mi fate storie su Dio? Se Dio non c’è non comincio neanche la serata, anche per questione di educazione, non mi permetterei di parlare per due ore di uno che non c’è». I dieci secondi di silenzio che Benigni chiede e ottiene dalla platea hanno un significato ben preciso: «Dio sta nei frammenti di silenzio». La serata prende una piega aulica, dai ricordi del padre che coltivava un orto, alle parole di Sant’Agostino, alla nascita di Mosè, un pastore extracomunitario a cui Dio appare in un roveto e gli disse: «Ora vai dal faraone, mi liberi tutti gli ebrei dall’Egitto e me li porti qui, nel deserto. Mosè ce la fa, ma chiede a Dio: “Come faccio da solo?”. E Dio risponde: ” Vai e digli che ti mando io”.  Mosè chiede a Dio il suo nome, una delle vette della storia dell’umanità perché Dio dice il suo nome: una parola che stanno studiando da secoli, una parola di quattro consonanti senza vocali. Mosè non la comprende, glielo chiede e lui risponde: “Quello che ti ho detto è il mio nome che nessuno può dire, però tradotto nella tua lingua significa sono colui che sono, vuol dire che ci sono e ci sarò sempre”. Una parola che è un verbo, solo a Dio poteva venire in mente una cosa così». Sembra una favola, ma Benigni chiarisce: «Non mi invento neanche una parola, è tutto testo». Il guitto va avanti su Mosè, racconta che era balbuziente: «Mosè, il portavoce di Dio, è balbuziente, questo ci fa capire la meraviglia di questo Dio, quelli che noi giudichiamo difetti per lui sono grandezze». 

Come con la Costituzione, l’Inno di Mameli e la Divina Commedia, Benigni sviscera la Bibbia, narra i particolari più nascosti, a partire dal primo comandamento: “Io sono il Signore Dio tuo”. «Lui non vuole essere Dio, ma il mio Dio, vuol essere amato. Io sono tuo, tu sei mio. Ma Dio vuole l’esclusiva, ha l’esigenza di essere l’unico nel nostro cuore e qui nasce l’idea grandiosa del monoteismo: Dio è proprio geloso. Io me lo vedo Dio che mi chiede: “Robertino dove sei stato ieri sera, non è che hai visto Budda?».  Con il passaggio successivo Benigni torna in terra. «Le cose che più lo fanno arrabbiare sono gli idoli, perché possono prendere il suo posto nel nostro cuore. Oggi è pieno di idoli: i soldi, il denaro, il potere, il successo, la popolarità, il sesso, adorare se stessi è la cosa più triste, non facciamo altro che inginocchiarci davanti a questi idoli, viviamo per loro». Arriva il secondo comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano”. «Io stasera l’ho nominato duemila volte – sorride Benigni – Tutti pensano al non bestemmiare, e invece no. Che poi la bestemmia ha una particolarità tutta italiana, in altre lingue le imprecazioni sono brevi, in Italia prendono la forma di un lungo discorso articolato, ora non è la serata adatta per fare degli esempi… Questo comandamento vieta di abusare del nome di Dio, di associare il nome di Dio alla violenza, a cominciare da quella religiosa. Ci sono state migliaia di guerre quasi tutte in nome di Dio: questa è la sola e unica vera bestemmia, ingannare la gente e convincerla a uccidere in nome di Dio. I terroristi dell’Isis sono un inno alla morte». Si arriva al terzo comandamento: “Ricordati di santificare le feste”. «È il preferito di Dio, dice che si devono riposare tutti, anche la serva e gli extracomunitari: ai tempi non c’era l’articolo 18, si potevano usare a piacimento gli operai, questo comandamento rompe questa regola antichissima, una rivoluzione: tremila anni fa dire di far riposare gli schiavi… era il vero diritto del lavoro, poi uno dice Marx, ma è arrivato tremila anni dopo. Oggi nessuno ha il coraggio di rimanere solo con se stesso, siamo connessi con tutto il mondo, ma disconnessi con noi stessi, questo comandamento ci dice di fermarci, siamo andati avanti talmente di corsa con il nostro corpo, che la nostra anima ci chiede di fermarci se no ce la perdiamo per sempre». Stasera, martedì, gli altri sette comandamenti.

 

Tiziana Leone 

 

(Nella foto Roberto Benigni)