Pubblicato il 28/03/2014, 17:34 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA – LAURA CARAFOLI: «LA MIA TELEVISIONE ADATTA A TUTTI MA NON ALLE STAR»

È la manager che decide i programmi dei canali Discovery, quella dei «factual»: «All’inizio eravamo pionieri, ora Real Time e DMax vengono copiate. Il nostro target? Astenersi metrosexual e conduttori famosi».meta name=”news_keywords” content=”real time, dmax, style, laura carafoli, maurizio caverzan

Rassegna stampa: Style, pagina 42, di Maurizio Caverzan.

LAURA CARAFOLI: «LA MIA TELEVISIONE ADATTA A TUTTI MA NON ALLE STAR»

È la manager che decide i programmi dei canali Discovery, quella dei «factual»: «All’inizio eravamo pionieri, ora Real Time e DMax vengono copiate. Il nostro target? Astenersi metrosexual e conduttori famosi».

È appena tornata da Silver Spring, due passi da Washington, sede di Discovery Communications, prima media company al mondo per contenuti non fiction, dov’è stata invitata dagli americani. Laura Carafoli, 44 anni, vice presidente per i Contenuti e la Programmazione dei canali di Discovery Italia, terzo editore assoluto nel 2013 con uno share del 5,5 per cento, è orgogliosa di questo riconoscimento. Real Time è un’esperienza nata e affermata per la prima volta in Italia, che altre reti del network Gran  Bretagna, Germania, Polonia hanno riprodotto. «Così siamo entrati nella top five di Discovery Network International, la divisione extra-America del gruppo».

Tuttavia siete un marchio americano che opera in Italia. Perfetto esempio di globalizzazione…

«Siamo un gruppo internazionale con sede a Washington. Lì nascono i contenuti che riempiono i cataloghi dai quali tutte le reti acquistano. Discovery è un network unico, con grande capacità di produzione sui contenuti cosiddetti non-fiction. Si parla di centomila ore di produzione all’anno per il pubblico maschile di canali come DMax, Discovery Channel (il target più innovativo) e Focus. Quando iniziò, la produzione non-fiction era un’idea pionieristica. Ora, invece…».

Molti vi copiano. Possiamo definire meglio questa formula, non solo in negativo?

«È il genere chiamato factual: tutto ciò che non è scritto, sceneggiato, inventato, ma prende spunto dalla realtà. Il factual evolve in modo molto rapido. Il documentario si è trasformato e serializzato. Gold Rush (Corsa all’oro), per esempio, è arrivato alla quarta stagione e, poco alla volta, grazie al pathos e alla drammaturgia delle storie, i suoi personaggi ricordano quelli della fiction. Alla lunga ti dimentichi che sono personaggi veri. Questo vale sia per i prodotti maschili che per quelli femminili di Real Time. Breaking Amish è una serie che segue cinque Amish che non hanno mai visto il mondo occidentalizzato. Vederli a Times Square ha incuriosito parecchio anche il pubblico italiano. Un altro esempio è Pazzi per la spesa, fenomeno tutto americano di quelli che fanno delle spese esagerate per accumulare coupon allo scopo di aggiudicarsi premi e sconti. Cose che noi troviamo piuttosto assurde. Real Time e DMax hanno aperto finestre su mondi sconosciuti e creato una televisione che archivia le formule del presentatore e del pubblico in studio».

Con dodici canali, siete il terzo editore televisivo italiano, dopo Rai e Mediaset. Siete presenti su tutte le piattaforme (sei canali sul digitale free, altrettanti sulla piattaforma Sky, e uno su Mediaset Premium). Non c’è il rischio di una distribuzione un po’ dispersiva?

«Abbiamo 12 canali che fanno il 5/6 per cento di share. Sono canali riconoscibili perché molto specializzati. Come gli americani facciamo continue ricerche di mercato. E abbiamo scoperto che la donna che guarda Real Time, quando torna a casa si sintonizza sulla nostra rete comunque, a prescindere da che cosa trasmetta a quell’ora. Sa che quello è il suo canale e che ci troverà qualcosa d’interessante. Sì, la distribuzione è un po’ dispersiva, ma abbiamo l’ambizione di crescere…».

Parlando di Real Time e DMax qual è la percentuale di programmi di produzione italiana rispetto a quelli d’importazione?

«Real Time ha un 30 per cento di contenuti italiani, mentre su DMax e gli altri canali la percentuale è un po’ più bassa, tra il 10 e il 15 per cento».

«Bake off Italia» con Benedetta Parodi, la striscia del day-time di «Amici», il Sei Nazioni di rugby: un modo per illuminare le reti. Ma dopo l’illuminazione cosa c’è? Qual è la prospettiva editoriale di Discovery?

«La prospettiva è espandere l’illuminazione. Cioè: operare affinché la luce si diffonda temporalmente su tutto ìl palinsesto e su un pubblico più ampio possibile. Per avvicinare questo obiettivo è appena partito Molto bene, il nuovo programma di Benedetta Parodi che durerà tre mesi. La vediamo fare la spesa nel suo quartiere, in una dimensione più easy ma molto real. Intanto proseguono le cento puntate di Amici, che abbiamo voluto in una formula più improntata allo storytelling, con i ragazzi che studiano e meno attriti tra i prof, per avvicinarci alle origini del talent di Maria. A maggio Enzo Miccio partirà con un enorme Tir contenente duecento abiti per una Missione spose che lo porterà in giro per l’Italia. Real Time è un brand molto amato in provincia. Così anche Barbara Gulienetti entrerà nelle case degli italiani con il suo Paint on the road, per mostrare come si possono recuperare i mobili della nonna. In autunno, invece, arriverà Bake Off Italia 2».

E su DMax?

«Il rugby ha avuto una buona risonanza. Così come buoni riscontri ha avuto Dynamo, un programma con un mago inglese. Presto, in questo stesso filone, arriverà Troy. Abbiamo scoperto che DMax è un po’ diversa da Real Time e che su alcuni programmi come quelli delle aste o come Top Gear, il pubblico è più composito: 60 per cento uomini e 40 donne».

Su Real Time è appena partito The Undateables, un esperimento piuttosto complesso. Non temete di esporvi alle critiche di buonismo o pietismo?

«Siamo molto convinti di questo tentativo. In Gran Bretagna, Channel Four è arrivata alla terza stagione. Noi proporremo le prime due. The Undateables potrebbe essere tradotto in Gli Inaccoppiabili. Si tratta di persone con vari handicap, fisici e psichici, persone sfortunate. Ma anche loro desiderano trovare un’anima gemella. Abbiamo scoperto che in Gran Bretagna due importanti agenzie di dating si occupano di loro. Chi ha visto le prime puntate ha riscontrato un linguaggio equilibrato, senza pietismi o voyeurismi morbosi. Un equilibrio non facile».

I format americani di DMax appaiono meno efficaci. Gli italiani non sono così fanatici del bacon, di macchinoni, o di sgomberi di garage…

«Certo, su DMax non c’è l’identificazione che riscontriamo su Real Time. Per le donne s’instaura un meccanismo di aspirazione: a migliorare il proprio aspetto, a mettersi in forma, a sposarsi. Su DMax prevale una forma di esotismo, la curiosità per qualcosa di diverso e lontano. Il culto delle auto potenti, la cucina estrema… È semplice evasione, distrazione. Abbiamo creato una tv per quel pubblico maschile che non vive solo di calcio e politica. Le nostre ricerche segnalano che una parte di coloro che seguono gli eccessi di Chef Rubio, prima guardavano poca tv e preferivano giocare ai videogame».

DMax è un attentato al salutismo, un altro dei totem di questi anni.

«DMax è un po’ il terzo tempo degli uomini. Una specie di momento liberatorio. Non certo un canale di lifestyle. Lo street food non insegna la buona tavola, mostra come la cucina estrema possa essere divertente. Non dice di provarla tutti i giorni a casa. Il cibo viene visto come puro intrattenimento».

Tutta la comunicazione va nella direzione della confusione dei sessi, dell’unisex e del metrosexual. Invece la vostra offerta ha scelto di marcare molto le differenze…

«È stata una scelta determinata dalla disponibilità dei contenuti. Discovery realizza prodotti divertenti per maschi molto definiti. Ci siamo accorti che esiste un pubblico maschile che non è solo calcio birra e rutto libero. C’è un uomo che ama il rugby, oppure ama cucinare e usa molto internet piuttosto che andare a giocare a calcetto. Anche questo è un pubblico molto macho».

Un uomo assai diverso da quello che domina nella comunicazione attuale.

«Il metrosexual si vede soprattutto nella carta stampata».

Anche in certi reality e nell’advertising.

«Certo, l’uomo depilato e con le sopracciglia rasate su DMax non c’è. Anche la donna di Real Time non è una donna-oggetto. Le nostre testimoniai sono tutte professioniste affermate nel loro campo. Paola Marella fa l’architetto, Barbara Gulienetti è decoratrice».

Niente star della tv per mestiere?

«No. Crediamo che il rapporto di fiducia con il pubblico sia rafforzato dal fatto che i nostri conduttori abbiano una professione reale nella vita».

Questa forte diversificazione dei target favorisce il rapporto con gli investitori pubblicitari?

«Assolutamente. Sanno perfettamente che cosa trovano su Real Time e su DMax. Gli spot non sparano nel mucchio».

In conclusione, preferite essere una tv per single, per famiglie con più televisori, o provocare parecchi litigi per il telecomando?

«Non esageriamo. Ci sono programmi come quelli sulla magia o come Cerco casa… e Vendo casa… che hanno una buona percentuale di visione comune. Però sì, forse qualche litigio in famiglia lo provochiamo…».