Pubblicato il 14/11/2013, 11:30 | Scritto da La Redazione

DRIVE IN COMPIE 30 ANNI E VIENE CELEBRATO IN DVD. RICCI: «CONTRO DI NOI È STATO USATO IL METODO BOFFO»

Un cofanetto di 6 dvd edito da FiveStore e un documentario dettagliato in onda a dicembre su Canale 5 curato da Luca Martera: il programma che più di ogni altro rappresenta l’Italia degli anni ’80 festeggia il trentennale e il suo creatore, Antonio Ricci, lo difende dalle polemiche.meta name=”news_keywords” content=”drive in, antonio ricci, dvd, luca martera, ezio greggio

Era il 1983, quando su Italia Uno fece la prima apparizione un allampanato e tricologicamente irrisolto Ezio Greggio, affiancato da Gianfranco D’Angelo e da una schiera di comici destinata a fare epoca. Il Drive In, con pochi mezzi e tantissime idee, con la sua concatenazione di gag surreali e iperrealiste, con lo straniamento brechtiano delle risate in sottofondo, con le curve appetitose – pietra dello scandalo! – delle ragazze fast food, si impose come fenomeno di costume mettendo d’accordo tutti. Intellettuali che ne intuivano l’avanguardia creativa e spettatori che, ciascuno a modo proprio, ne interpretavano le chiavi di lettura. Milano era da bere, l’Italia in genere era da mangiare, territorio di caccia per yuppies rampanti. Il voyeurismo catodico era stato sdoganato negli anni ’70, quelli delle commedie sporcaccione. Drive In impose tormentoni, semplificò il linguaggio televisivo, fece satira diventando a un tempo affresco e critica di un decennio placcato oro. Oggi, a 30 anni dalla sua nascita, viene celebrato: ogni settimana sarà in vendita in edicola un fascicolo con dvd – 6 in totale, al prezzo di 9,90 €. L’intera collezione, curata da Fabio Freddi è prenotabile al costo di 59,90€ sul sito www.fivestore.it. Inoltre, a dicembre verrà trasmesso su Canale 5 un documentario dettagliato a cura di Luca Martera.

Antonio Ricci, suo deus ex machina, lo difende a spada tratta dall’operazione di revisionismo storico volta a indicarlo come contenitore qualunquista antesignano teorico del bunga bunga: «Drive In era lo specchio iperrealista degli anni ’80. Il suo scopo, e i dvd sono lì per dimostrarlo, era fare satira criticando e mettendo in luce le disfunzioni sociali e politiche di quel periodo. Oggi, a 30 anni di distanza, può esserne compreso appieno anche il valore profetico. Basti pensare alle gag sul progetto di costruzione del Ponte sullo Stretto, sul tentativo di dare una copertura culturale al concorso di Miss Italia, sul ricatto come strumento di accordo politico: l’affresco iperrealistico di allora è una pallida proiezione di quanto accade ai giorni nostri».

Ricci, sornione come un serpente acciambellato pronto a sferrare l’attacco tagliente, sa bene perché la sua creatura è stata sottoposta ad attacchi revisionisti. Il motivo è sempre uno: le fanciulle svestite, benzina sul fuoco per l’immaginazione onanistica e benevolmente sessista dell’italiano medio. «Confondere Drive In con Colpo Grosso è un equivoco da copia e incolla mentale in malafede. Serve a qualche aspirante intellettuale di oggi per accreditarsi nei salotti buoni. Un metodo Boffo che si trasforma in metodo buffo. In realtà, Drive In ha utilizzato un immaginario femminile già radicato negli altri varietà, rielaborandolo. Le nostre ragazze fast food erano sempre affiancate dai loro corrispettivi maschili. Con la differenza che le ragazze parlavano, partecipavano attivamente alla satira, spesso imponendosi sugli omologhi maschi, che erano figure a loro subordinate. Anche grazie alla loro figura, ironizzavamo su quegli anni. In cinque anni di Drive In, non abbiamo ricevuto una sola contestazione da gruppi femministi. Le accuse di aver brandizzato la mercificazione del corpo femminile sono infondate».

In capo a questa polemica, il dubbio da dissipare è: Drive In era o non era l’ariete con cui Fininvest intendeva “sfondare fondando la tv commerciale”? Ricci è categorico: «Berlusconi, quando pensava alle sue reti televisive, aveva in mente di creare una super Rai. Per questo aveva ingaggiato, per le sue trasmissioni, nomi del calibro di Mike Bongiorno, Vianello e Mondaini, Johnny Dorelli. Drive In non era funzionale al progetto. Era nato da una mia idea, rappresentava un azzardo, una sperimentazione. Avevamo raccolto una serie di comici allora poco conosciuti, spesso inseriti come contropartita contrattuale da agenti che rappresentavano nomi di maggior prestigio», incalza. «Si era liberato uno spazio su Italia Uno, che all’epoca era un contenitore vuoto, il cui palinsesto era tutto da riempire. Io stesso, che non ho mai avuto contratti di esclusiva con nessuno, dissi a Berlusconi che avrei prodotto e venduto Drive In. Tentammo l’esperimento. I risultati furono così soddisfacenti che Fininvest provò a clonare il programma, realizzando per Canale 5 il varietà Grand Hotel, con nomi sulla carta molto più forti dei nostri. Ma Grand Hotel non funzionò, perché era privo dello spirito corsaro che avevamo noi».

Spirito sperimentale che rimanda ai tempi in cui la parola “sperimentazione” associata a “televisione”, non era un tabù. «Oggi il digitale terrestre consente un ampio margine di scelta. Ma tra format che mostrano malattie imbarazzanti, accumulatori seriali di oggetti e documentari, manca la progettualità che ci aveva permesso di imbastire, da zero, un contenitore articolato, rivoluzionario e interpretabile su diversi livelli. C’è paura di osare. Io stesso, quando ho proposto a Mediaset la realizzazione di Velone, sulle prime sono stato trattato con diffidenza».

E allora, tanto vale comprare i cofanetti del Drive In. Per i più giovani, un modo per avvicinarsi a Teomondo Scrofalo, al dottor Beruscus, a Vito Catozzo. Per i più stagionati, per ricordare un’epoca che ha, nel bene e nel male, lasciato un segno indelebile. Per tutti, per farsi un’idea oggettiva, libera da condizionamenti. Direbbe qualcuno interessato alla polemica: se non ora, quando?

 

Gabriele Gambini

(Nella foto un puzzle delle immagini del Drive In)