Pubblicato il 07/09/2013, 17:02 | Scritto da La Redazione

LUIGI GUBITOSI, L’UOMO CHE NON DIEDE UN FUTURO ALLA RAI

A due anni dalla nomina del direttore generale di Viale Mazzini, il nostro cattivissimo blogger stila un bilancio non certo positivo.

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C’era una volta la Rai, la più grande industria culturale italiana. Ma c’è ancora? O meglio, è ancora la più grande industria culturale italiana? Andiamo ad analizzare la situazione. Quando arriva il direttore generale Luigi  Gubitosi, la Rai è messa male: i conti sono in rosso (anche se migliorano), non c’è una progettualità editoriale e anche tecnicamente l’azienda, che era stata all’avanguardia per anni nell’innovazione tecnologica, sembra non essere attrezzata a raccogliere le nuove sfide high tech (HD, digitalizzazione, nuove piattaforme).

Gubitosi viene dal mondo della telefonia, non ha background televisivo, ma promette subito di voler risanare l’azienda, sia economicamente sia tecnologicamente. Prende un gruppo di lavoro esterno, si barrica al settimo piano e inizia a lavorare. Cambia i vertici di Sipra, la concessionaria di pubblicità interna, colpevoli di far poco fatturato, cambia i vertici delle reti. Bene, a quasi due anni dal suo insediamento è possibile fare un bilancio. Ed è negativo, molto negativo.

La nuova concessionaria fattura anche meno della vecchia, che era controllata dagli uomini di Berlusconi. Le reti sono allo sfascio: Rai1 è una rete per anziani, basti pensare che quest’anno ci riproporrà programmi come Ballando con le stelle e Ti lascio una canzone. Rai2, dopo un inizio promettente, sembra ondivaga e senza coraggio. Un minuto per vincere non è certo un fiore all’occhiello, per citare un programma dello scorso autunno.

Per non parlare che ormai la Rai è diventata obsoleta e marginale nella grande sfida tecnologica, basti pensare che Viale Mazzini ha un solo canale HD, mentre Sky ormai sfiora i 40 canali in alta definizione. La qualità è un lontano ricordo, i Tg appaiono vecchi nel linguaggio. Infine la multi piattaforma sembra essere vissuta in Rai come un inutile scocciatura, invece come una sfida fondamentale per il futuro.

Ha creato procedure di censimento delle professionalità interne all’azienda, invitando tutte le nuove produzioni a cercare dentro questo database gli uomini, invece di subappaltare esternamente. L’idea è sicuramente meritevole se si tratta di macchinisti, operatori, elettricisti, costumisti, meno se la regola viene applicata ai ruoli più creativi: registi, autori, direttori della fotografia.

Era lecito aspettarsi di più da un Direttore Generale che si presentava come un uomo proiettato nel futuro, un tecnico svincolato dalle logiche dei partiti (anche se adesso mi dicono che stia cercando sponde politiche per una sua conferma). Per riportare la Rai in linea di galleggiamento ci sarebbe voluto un DG che capisse di televisione, con una visione strategica del quadro televisivo in evoluzione, con intuizioni editoriali nuove. Purtroppo tutto questo Gubitosi non lo ha ancora fatto.

 

Hannibal

 

(Nella foto Luigi Gubitosi)

 

 

 

 

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