Pubblicato il 31/07/2013, 11:33 | Scritto da La Redazione

DA “PORTOBELLO” AL “GRANDE FRATELLO” LA TV COM’ È CAMBIATA

DA “PORTOBELLO” AL “GRANDE FRATELLO” LA TV COM’ È CAMBIATA
Il giornalista di Avvenire, Alessandro Zaccuri, prende in esame il libro di Aldo Grasso, critico del Corriere della Sera, sui cambiamenti della tv.meta name=”news_keywords” content=”tv, Aldo Grasso, libro, Portobello, Grande Fratello“ Rassegna Stampa: Avvenire, pagina 22, di Alessandro Zaccuri. Da «Portobello» al «Grande Fratello», la tv com’è cambiata C è sempre stato un certo affollamento, […]

Il giornalista di Avvenire, Alessandro Zaccuri, prende in esame il libro di Aldo Grasso, critico del Corriere della Sera, sui cambiamenti della tv.meta name=”news_keywords” content=”tv, Aldo Grasso, libro, Portobello, Grande Fratello

Rassegna Stampa: Avvenire, pagina 22, di Alessandro Zaccuri.

Da «Portobello» al «Grande Fratello», la tv com’è cambiata

C è sempre stato un certo affollamento, dietro lo schermo della tv. Prima valvole e tubi catodici, poi circuiti stampati e sottigliezze immateriali. Cambiano le tecnologie (mai irrilevanti, specie quando si parla di «media elettrici»), e con le tecnologie cambia il modo di pensare, mentre le vicende personali si intrecciano con le trasformazioni della società. Ecco perché sulla copertina di questo volume collettaneo curato da Aldo Grasso i plurali abbondano. Storie e culture della televisione italiana, promette il titolo, e la prima storia a farsi avanti è quella dello stesso Grasso, ordinario di Storia della radio e della televisione alla Cattolica di Milano oltre che autorevole e temutissimo critico televisivo del Corriere della Sera. Il professore racconta di quando, in un’epoca neppure troppo lontana, gli audiovisivi erano tenuti in gran sospetto dalla comunità accademica. Passi per il cinema, ma la televisione proprio no: di quella bisognava parlar male per forza. Anche senza guardarla? Specialmente senza guardarla, rincara la dose Grasso, che al contrario ha sempre privilegiato un metodo all’apparenza empirico , ma non per questo meno efficace. Guardare i programmi, tutto qui. E giudicarli per quello che sono. Evitando le astrazioni concettuali e ammettendo, per esempio, che Lascia o raddoppia?, Portobello e Grande Fratello hanno segnato momenti decisivi nel modo di concepire l’offerta televisiva e, di conseguenza, la risposta del pubblico. Sono le coordinate alle quali si attengono anche gli altri saggi del volume, redatti in gran parte dal gruppo di giovani e giovanissimi collaboratori che Grasso ha raccolto intorno a sé nell’attività del «Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi» (Certa): Luca Barra, Stefania Carini, Cecilia Penati, Anna Sfardini e Massimo Scaglioni, al quale si deve tra l’altro uno dei capitoli più interessanti del libro, quello in cui perfino il famigerato Auditel viene interpretato sulla scorta di precise categorie culturali. Ma non mancano i contributi di studiosi della generazione più vicina a Grasso, da Peppino Ortoleva (che analizza la componente ludica del linguaggio televisivo) a Gianni Canova, da Carlo Freccero al premio Strega Walter Siti, esperto riconosciuto delle insidie emotive di cui i reality sono costellati. Molte le sorprese e moltissimi gli spunti di discussione. Uno per tutti, suggerito dall’intervento dal direttore della rivista Link, Fabio Guarnaccia: veramente quella della letteratura verso la televisione è una battaglia persa? E poi, in fondo, perché dovrebbe essere una battaglia?