Pubblicato il 19/02/2013, 17:25 | Scritto da La Redazione

L’AUTORE CLAUDIO FASULO: «FAZIO UN MAESTRO NEL GESTIRE LA SQUADRA E LO STRESS»

 

TVZOOM ha incontrato uno degli autori dell’ultima edizione del Festival di Sanremo, che non si è risparmiato, raccontando aneddoti, impressioni e considerazioni sull’evento appena concluso.

«C’è stato un preciso momento in cui abbiamo capito che il Festival sarebbe stato un successo. Quando, mercoledì mattina, abbiamo esaminato i dati di ascolto della prima serata. Dopo il monologo di Crozza, a cui sono seguiti due minuti di pubblicità, c’era l’incognita della performance dei Marta sui Tubi, con conseguente rischio di dispersione degli spettatori. Abbiamo mantenuto invece il 50% di share. E abbiamo capito che le strada sarebbe stata in discesa», mi dice un soddisfatto Claudio Fasulo, tra gli autori dell’edizione sanremese dei record e delle novità nella formula.

L’edizione della spendig review. O l’edizione radical chic, secondo alcuni. «Significa che in Italia ci sono 12 milioni di radical chic», sorride sornione Fasulo, al suo quarto Festival, autore così prolifico da aver realizzato 600 prime serate Rai in vent’anni, lavorando con Morandi, Baudo, Celentano, Fiorello, Panariello. E ora anche con Fazio, «Un caposquadra eccezionale, un maestro nel gestire le situazioni di stress senza mai sbroccare».
E situazioni in cui sbroccare, ne saranno capitate.
«Durante le tre settimane che hanno preceduto la diretta, più volte ho pensato: “Ora Fabio perde il controllo e sbrana qualche bambino per calmarsi”. Invece, no. Ha mantenuto sempre un controllo incredibile. Ha saputo gratificare tutto il team sopportando lo stress. Non voglio scadere nella retorica, ma quest’anno siamo stati una squadra davvero coesa e ben assortita».
Il rischio che sbranasse qualche bambino si coniuga con la nomea radical chic che ha ammantato il Festival secondo alcuni critici?
«Qui subentra la “tesi del vettore”: un vettore così forte come Sanremo si può permettere di caricare su una macchina commerciale imponente anche contenuti elevati, diversi dal consueto. Per intenderci, ti puoi permettere Anthony and the Johnson, il Nabucco, l’assunto della musica popolare capace di coniugarsi con la musica classica, che è a un tempo patrimonio popolare e culturale. Vedere una ragazzina di 18 anni che suona Chopin è stato appagante. I grandi numeri li fai quando riesci a portare davanti al piccolo schermo, oltre al pubblico collaudato di Rai 1, anche gente che normalmente non guarderebbe la tv, ma che resta incuriosità dalla proposta. Quello è servizio pubblico. E un autore si appassiona quando riesce a rendere complementare un grande esito commerciale con contenuti graditi anche a lui».
Fazio si è confermato uomo vincente Rai.
«Lui ha il record di ascolto su tutte e tre le reti Rai. Qualcosa di emblematico».
Da autore, lei si è occupato della struttura del programma, a cominciare dalla scaletta, fino ai dettagli infinitesimali. Che cosa ha reso interessante la formula di quest’anno?
«In primis, l’ottimo assortimento dei ruoli. Nomi come Serra, Galeotti, Posani, Massimo Martelli. Esperti di musica e di tendenze che hanno garantito una scelta vincente del cast. Oltre al confronto continuo, senza diktat o imposizioni».
Nessuna imposizione, neanche dai vertici aziendali?
«Non voglio fare il buonista. Ci tengo a sottolinearlo: tutta la Rai non hai mai fatto ingerenza alcuna. Non ci sono state pressioni che generassero nervosismo. E non è poco. Soprattutto con la spada di Damocle del dodicesimo uomo in campo…».
Sta parlando dell’imminenza delle elezioni, ovviamente.
«Certo. Le tensioni politiche avrebbero potuto direzionare il Festival. Ma così non è stato».
L’edizione della spending review, con un budget più contenuto, non ha puntato tutto su grandi nomi internazionali. Qualche ospite l’ha sorpresa particolarmente?
«Un Festival inizi a pensarlo molti mesi prima della diretta. Come è ovvio, all’inizio punti su cavalli che poi non si accasano. E devi reinventare le cose di continuo. Una piacevole sorpresa, quasi una ciliegina sulla torta, è stata la scelta del rugbysta Castrogiovanni. Abbiamo puntato su di lui, anziché sul classico bellone divo hollywoodiano, perché costava meno. E ha reso il doppio. Il tutto, inoltre, è stato gestito con molta autoironia. La coppia Fazio Littizzetto ha reso gradevoli anche i momenti di stallo, come quelli per allestire il palco prima dell’arrivo di band quali Elio e le Storie Tese e i Marta sui Tubi, per esempio».
L’anno scorso si è puntato su un mattatore: Adriano Celentano. Quest’anno, invece, personaggi come Crozza non hanno proposto qualcosa di diverso da ciò che propongono di solito nei loro sketch. E le esigenze di nazionalpopolare hanno risposto a nomi come Toto Cutugno.
«Ci sono occasioni in cui hai la possibilità di puntare sull’evento clamoroso, che risponde ai nomi di Celentano, Fiorello o Benigni. Ce ne sono altre in cui punti sulla generosità di un cast assortito e omogeneo. Crozza. Ma anche Claudio Bisio, eccezionale nella serata finale. Oltre a icone come Albano, Toto Cutugno, i Ricchi e Poveri, che hanno rinunciato per la nota tragedia che ha colpito uno di loro. E Pippo Baudo. Il risultato è stato un buon bilanciamento tra contenuto e forma».
Come vedrebbe Claudio Bisio in una prima serata Rai?
«Lo vedrei molto bene. Secondo me ci starebbe benissimo».
A proposito di Baudo: lei ha lavorato con lui a due edizioni del Festival.
«Le due edizioni con Baudo sono state scandite da un impianto tradizionale da tv generalista, come è nel suo costume. Particolarmente fortunata fu l’edizione in cui era affiancato da Michelle Hunziker. Si rivelarono una coppia ben assortita, uno zione e una nipotina. Un po’ come accaduto con Fabio e Luciana. Minor riscontro ebbe l’edizione con Chiambretti, ma Piero è bravissimo. In quell’occasione ha solo avuto poca fortuna».
Però c’è chi dice che il Festival abbia beneficiato, come spesso accade, di una controprogrammazione compiacente.
«Al contrario, in ogni serata abbiamo fronteggiato una partita di calcio importante. C’era un match tutte le sere. Roma-Juve ha totalizzato circa il 10% di share. Noi il 54%».
L’impatto di durata per ogni serata non è stato eccessivo. Niente maratone.
«La durata è stata calibrata in modo efficace. Abbiamo chiuso sempre attorno alle 0.30, tranne la sera della finale. L’orario giusto, anche per evitare che lo spettatore si addormentasse con il telecomando in mano sul divano, per parafrasare scherzosamente Freccero. (ride, nda)».
Fuori dai denti: davvero mi vuol dire che non c’è stato alcun impreviso eclatante durante la diretta?
«Davvero, niente di clamoroso. L’imprevisto è accaduto a me lunedì mattina. Abituato a incontrarmi con Fabio e con la squadra alle 9, per pianificare la giornata, ho guardato la sveglia e ho visto che erano le 9.20. Mi sono catapultato fuori dal letto, nella tradizione dei migliori film comici, convinto di essere in ritardo. Poi mi sono ricordato che il Festival era finito».
Concentrazione da ritiro spirituale zen?
«Durante la settimana del Festival, è come essere davvero in ritiro. Persino una birra bevuta la sera prima potrebbe condizionarti negativamente. Sei come un calciatore prima di giocare la finale di Coppa del Mondo. Devi mantenerti lucido, o la macchina ti trita. Durante l’edizione con Panariello, erano state diffuse foto segnaletiche degli autori, con la scritta “Wanted”, da usare nel caso la situazione si fosse messa male. Quest’anno non c’è stato bisogno».
Adesso giungerà il turno di Carlo Conti alla conduzione?
«Non so dirti quando, ma il momento di Carlo arriverà presto. Quest’anno è stato stritolato dal successo di Tale e Quale Show e dall’esigenza aziendale di contrapporre qualcosa di solido a Italia’s Got Talent di Mediaset per la prima serata del sabato. E I Migliori Anni sta svolgendo bene quel compito. Lui è un grande esperto di musica, è nato con la musica. All’Ariston sarebbe perfetto».
Che ne pensa dei piazzamenti degli artisti?
«Mengoni, Elio e i Modà incontrano con qualità i gusti di un pubblico giovane. Sono dispiaciuto per l’eliminazione di Malika Ayane. Niente è un pezzo formidabile. Oltre a Dispari dei Marta sui Tubi, una canzone fortissima. Mi dispiace anche per Gualazzi. Forse ha alzato troppo l’asticella, ha osato oltremisura. E poi è stato penalizzato dalla presenza di Elio».
Tra i giovani, invece?
«Antonio Maggio mi ha convinto, è stato brillante. Il Postino di Renzo Rubino è un gran bel pezzo. Peccato per Andrea Nardinocchi, la sua canzone è molto radiofonica, i network la passeranno di continuo. Del resto, il grande obiettivo dell’artista a Sanremo è la visibilità, accendere la luce sul proprio talento e iniziare a giocarsela».
La formula con due canzoni vi ha convinti?
«All’inizio ci ha fatto tremare i polsi in attesa del responso. Poi ha dimostrato che la musica può e deve tornare al centro del Festival».
La musica veicolata dalla tv tornerà anche al centro della Rai?
«The Voice farà tornare il talent in Rai. I talent sono una formula vincente».
Ora che farà Claudio Fasulo?
«La maratona. Correrò alla Roma-Ostia, ma devo riprendere ad allenarmi come si deve (ride, nda)».
E professionalmente si riposerà?
«Mica tanto. A marzo, proprio da Sanremo, lavorerò agli Oscar della tv. E, da aprile, ci sarà la nuova prima serata di Milly Carlucci».
Prima serata della quale ora mi racconterà vita, morte e miracoli, ovviamente.
«Aggiorniamoci più avanti».
Beh, io ci ho provato.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Fabio Fazio)