Pubblicato il 28/11/2012, 16:36 | Scritto da La Redazione

LETTERA APERTA AL DIRETTORE GENERALE RAI, AFFINCHÉ CAPISCA COME FUNZIONA REALMENTE LA RAI

LETTERA APERTA AL DIRETTORE GENERALE RAI, AFFINCHÉ CAPISCA COME FUNZIONA REALMENTE LA RAI
Il nostro collaboratore Luca Martera ha scritto a Luigi Gubitosi, per denunciare pessime dinamiche interne all’azienda, che penalizzano soprattutto i talenti. «Ottimizzazione delle risorse interne, contenimento dei costi, servizio pubblico». Dal primo giorno queste sono state le parole d’ordine dei nuovi vertici di Viale Mazzini. Bene. Andando però a vedere più nel dettaglio dentro i […]

Il nostro collaboratore Luca Martera ha scritto a Luigi Gubitosi, per denunciare pessime dinamiche interne all’azienda, che penalizzano soprattutto i talenti.

«Ottimizzazione delle risorse interne, contenimento dei costi, servizio pubblico». Dal primo giorno queste sono state le parole d’ordine dei nuovi vertici di Viale Mazzini. Bene. Andando però a vedere più nel dettaglio dentro i corridoi della Rai si trovano enormi ingiustizie e iniquità, come quelle perpetrate nei confronti di Luca Martera, collaboratore di TVZOOM, ma soprattutto autore, regista e documentarista di inconfutabile bravura. Martera ha scritto due giorni fa una lettera a Luigi Gubitosi, direttore generale Rai, a cui non ha ancora ricevuto risposta. Lettera ripresa anche da Riccardo Bocca sul sito de L’Espresso e rimarcato da un videomessaggio dello stesso Martera, che potete vedere qui.

Anche TVZOOM, ovviamente, ha deciso di dare eco a questa protesta, non solo perché Luca è un nostro prezioso collaboratore, ma soprattutto perché si capisca meglio come funziona realmente la Rai, per denunciare le pessime dinamiche interne all’azienda, che penalizzano soprattutto i talenti. E affinché si capisca chi veramente tira la carretta della tv di Stato, subendo vessazioni economiche e professionali continue.

Andrea Amato

 

Gentile direttore generale,

mi chiamo Luca Martera e lavoro da oltre dieci anni come autore tv, regista, documentarista e ricercatore internazionale per le principali tv italiane (Rai, Mediaset, La7). Ho collaborato con numerosi big della tv, tra cui Giovanni Minoli, Antonio Ricci, Enrico Mentana, Piero Chiambretti, Carlo Freccero, Giovanni Benincasa, Alessandro Ippolito e Gregorio Paolini.

Sono da sempre un libero professionista e sono sempre stato orgoglioso di pagare le tasse sino all’ultimo centesimo. Faccio un lavoro che mi piace ma non per questo sono un privilegiato. Tra alti e bassi dichiaro al fisco mediamente 20 mila euro l’anno da dieci anni e quindi non sono mai riuscito a mettermi da parte qualcosa.

Da due anni vado spesso negli Stati Uniti, dove un giorno mi piacerebbe trasferirmi. A New York ho approfondito le differenze culturali tra italiani e americani: in particolare da persona pratica quale sono, mi riferisco a quella serie di piccoli diritti e doveri quotidiani che ti rendono la vita più facile e degna di essere vissuta. A cominciare dall’educazione civica per le strade per arrivare alla cortesia dei funzionari pubblici: tutti i funzionari con cui ho avuto a che fare, dal portiere-manager di un grattacielo all’assessore alla tecnologia del Comune di New York, rispondono alle email perché fa parte del loro lavoro. In Italia è forse considerato maleducato rispondere?

Di recente ho proposto molti lavori, in molti casi programmi a bassissimo costo basati sul riutilizzo creativo del materiale di repertorio (di cui sono uno dei massimi esperti), ma direttori e dirigenti Rai, tra cui Giancarlo Leone, Pasquale D’Alessandro, Antonio Di Bella, Antonio Azzalini, non mi hanno nemmeno degnato di una risposta. Cosa è accaduto di “particolare” negli ultimi mesi da giustificare questa mia lettera?

Nel mese di settembre Giovanni Minoli mi dà l’ok per realizzare un documentario sulla vita di Gianfranco Funari per il programma La Storia siamo noi. Mi metto subito al lavoro cominciando le ricerche. Il budget del documentario dovrebbe aggirarsi come al solito attorno ai 25 mila euro, una cifra comunque molto bassa per un documentario standard di un’ora. Questo tipo di prodotto viene in genere affidato a piccole società esterne che, a lavoro ultimato, cedono tutti i diritti alla Rai.

Perché la Rai non produce internamente questo tipo di documentari che, assieme a pochi altri programmi come Report, giustificano il servizio pubblico? Non si fa perché i costi legati al personale richiederebbero un budget doppio, se non triplo. Inoltre scarseggiano anche le competenze per pensare e realizzare prodotti di un’ora che richiedono quattro mesi di lavoro, dalla ricerca al montaggio.

Tornando al mio progetto, passano due mesi e all’inizio di novembre l’ufficio appalto e acquisti di Rai150 guidato da Donatella Melchionna sottopone il contratto alla società con cui lavoro abitualmente, prevedendo un budget complessivo di 20 mila euro, quindi di circa 5 mila euro in meno. I tagli riguardano soprattutto il mio compenso: da 5 mila lordi a 2 mila lordi complessivi per quattro mesi di lavoro. Quindi, passerei da poco più di mille euro netti al mese a pochi spiccioli.

Di fronte a un’offerta così, in passato avrei avuto un atteggiamento rassegnato e pur tra mille difficoltà sarei andato avanti. A causa forse del mio inevitabile processo di “americanizzazione”, questa volta invece dico basta perché un’azienda pubblica come la Rai non può permettersi di pagare compensi al di sotto del minimo sindacale, umiliando e mortificando professionisti come me. Nonostante avessi già lavorato per due mesi senza contratto – altra anomalia tutta Rai – ho riferito a Minoli la mia decisione di non accettare l’offerta e lui, che mi ha dato la sua totale solidarietà, mi ha risposto in questo modo: «Noi siamo impotenti. Non possiamo essere protagonisti delle valutazioni editoriali e professionali. Comandano i burocrati anche sull’aspetto editoriale». Le devo dire che mi ha fatto un certo effetto sentire una delle colonne portanti del servizio pubblico esprimersi così e il suo sostegno morale mi fa sentire meno solo.

Come è chiaro, qui non si sta parlando dei cachet milionari delle star o dei contratti quadro blindati con le società che producono format e fiction. Qui si sta parlando, dei soldatini come me che realizzano prodotti a basso costo e alto rendimento: molti dei miei speciali per La Storia siamo Noi hanno totalizzato infatti share lusinghieri a tarda ora e sono stati replicati decine di volte, senza che io vedessi tra l’altro un centesimo di Siae. A questo proposito, va anche aggiunto che quello tra Rai e Siae è un accordo molto sui generis perché i miei lavori – che sono a tutti gli effetti dei documentari – vengono classificati come semplici “filmati” per non pagare il diritto d’autore che pur mi spetterebbe.

Caro direttore Gubitosi, sarò contento di mostrarle tutti i documenti a sostegno di quello ho appena scritto. Sono sicuro che anche lei, come manager di comprovata esperienza, non condivide un caso come questo, perché ha una filosofia senza senso e non dimostra nulla di virtuoso all’opinione pubblica.

Cordialmente

Luca Martera