Pubblicato il 14/03/2012, 16:43 | Scritto da La Redazione

DANIELE PECCI: «ABOLIRE L’AUDITEL PER FAR CRESCERE LE FICTION»

pecci

L’attore presenta a TVZOOM il film di cui è protagonista, “Gemelle”, questa sera su Canale 5 alle 21.10 per il ciclo “Sei passi nel giallo”, e analizza lo stato di salute della fiction italiana.

Daniele Pecci è bravo e schietto, dice pane al pane e vino al vino. Un tempo, il pane e il vino li ha divisi anche con Michelle Hunziker, con cui ha avuto una relazione. Croce e delizia del gossip. Quel che conta però è che lui, da attore di lungo corso a teatro, al cinema, nelle fiction tv (tra le altre, Orgoglio, Crimini Bianchi, L’ultimo padrino, Giovanni Paolo II) riesce sempre a offrire al suo pubblico un companatico succulento. Questa sera alle 21.10 su Canale 5 ci proverà con Gemelle, fiction di cui è protagonista, nuovo episodio del ciclo “Sei passi nel giallo”, esperimento Mediaset fino a oggi vincente e deludente a un tempo. Vincente perché rispolvera un certo modo di intendere la fiction ad alta tensione modellandola sul giallo anni’70, quello alla Dario Argento o alla Lucio Fulci. Deludente perché i primi episodi hanno mostrato una tendenza al cerchiobottismo tipica di una certa programmazione generalista: strizzare l’occhio ai gusti del pubblico senza il coraggio di affrancarsi dal cliché calcando la mano fino in fondo. Paura sì, ma non troppa, tensione sì, ma sussurrata. Ascolti sì, ma non in linea con le aspettative di rete. Certo, Gemelle potrebbe rivelarsi tutt’altra storia. «La tv generalista dovrebbe osare e sperimentare di più», sottolinea Pecci, «ma Gemelle è un film di qualità, gli spettatori apprezzeranno, mi auguro».

Daniele, che parte avrà in Gemelle?
«Sarò il protagonista, Valerio Strada, un commissario incaricato da una donna di ritrovare la sorella scomparsa. Ironia della sorte, proprio la sorella scomparsa era stata in passato la compagna di Valerio. Lui si butta a capofitto nel caso con grande coinvolgimento, anche sentimentale e, a poco a poco, quel passato riemergerà nella sua vita, tra intrighi, omicidi e colpi di scena che ovviamente non vi svelo ora. Scopritelo stasera».
Come giudica Gemelle e la serie di “6 passi nel giallo”?
«Il tentativo è interessante e ambizioso: riscoprire il thriller anni ’70 riproponendolo in un contesto attuale. La storia è valida, l’intreccio è interessante e tiene desta l’attenzione dall’inizio alla fine. Certo, si tratta di un prodotto pensato per la tv generalista in prima serata, dunque con alcuni limiti. La storia però è avvincente, c’è voglia di raccontare. Il film poi, si colloca come atmosfera sulla scia del successo de Il tredicesimo apostolo, pur essendo stato girato prima. Diciamo che si tratta di una collocazione postuma».
Il punto di forza di Gemelle?
«Si tratta di una co-produzione, abbiamo girato in inglese e ridoppiato in italiano. Il cast è ottimo, sul set c’era grande affiatamento. Il film andrà anche sul mercato statunitense. Rappresenta un primo passo per superare il gap che separa le nostre produzioni da quelle inglesi o americane».
Che cosa ci separa da loro, budget a parte?
«Il budget è essenziale. Ma credo sia fondamentale, in Italia, affrancarsi dal meccanismo auditel. Spesso i produttori puntano al successo a breve termine, ai prodotti che funzionano subito, cercando di catturare una gamma di pubblico il più possibile eterogenea. Questo può alle volte sminuire la creatività, o meglio, la voglia di sperimentare verso direzioni magari non vincenti nell’immediato, ma che consentono di spiazzare gli orizzonti di attesa e di aprirne altri».
Un esempio vincente, in questo senso?
«Penso alle fiction di Sky, a Romanzo Criminale o alla recente mini-serie su Felice Maniero, Faccia d’angelo, con l’ottimo Elio Germano. L’ampliamento della scelta di canali consentirà un rinnovamento progressivo e possibilità di sperimentare, di lavorare su idee nuove. In Italia può capitare che un regista si ritrovi a dover girare con musiche selezionate da altri, con un cast già prestabilito, senza un lavoro corale pensato all’inizio verso un’unica direzione». 
A proposito di Faccia d’angelo: che ne pensa delle polemiche sull’opportunità di dedicare un film a un gangster contemporaneo?
«Penso si tratti di idiozie pure e semplici. Da che mondo è mondo, l’arte ha mostrato da sempre le pulsioni umane. Forse nella tragedia greca non venivano rappresentati intrighi, delitti e personaggi negativi? L’arte ha un valore che prescinde dall’etica corrente, ha il dovere di raccontare, di scavare nelle pieghe dell’animo, in questo sta la sua forza, anche didattica. Pensiamo ad Al Pacino in Scarface, a De Niro ne Gli intoccabili, quando faceva Al Capone. Polemiche del genere sono sterili e pretestuose, ma purtroppo ricorrenti. Era capitato qualcosa di analogo quando avevo girato L’ultimo padrino, con Marco Risi, la fiction sulla vita di Bernardo Provenzano. Con grande professionalità, erano stati raccontati fatti di cronaca fondamentali, mostrando anche l’eroismo di chi ha contribuito allo smantellamento di quel potere mafioso. Se poi qualche spettatore si esaltasse e si identificasse col cattivo, non sarebbe compito dell’arte spiegarne le ragioni».
Quanto alla tragedia greca, lei ha iniziato col teatro, poi si è affermato in tv e al cinema…
«Fare teatro è come esibirsi su una corda da equilibrista senza rete di protezione. Ti dona forza, professionalità e coscienza dei tuoi mezzi. Il cinema o la tv ti raccontano una storia, con la fantasia ti fanno volare fuori da te stesso. Il teatro ti porta dentro di te, direttamente sulla scena. Sto portando in scena, in questo periodo, con Federica Di Martino, Scene da un matrimonio, di Ingmar Bergman. Stiamo girando i teatri d’Italia, il responso è ottimo. In questo senso, fare tv e cinema dona all’attore quella visibilità che fa da richiamo anche per il pubblico a teatro. Molti mi vengono a vedere perché mi hanno conosciuto sullo schermo della televisione, mi fa piacere contribuire alla crescita degli spettatori nei teatri».
Ecco, discorso “grande pubblico”: come è stato girare con Johnny Depp sul set di The Tourist?
«Userò una metafora a sfondo edilizio: girare in una produzione italiana è come costruire una villetta a due piani. Lavorare in una produzione hollywoodiana è come costruire un palazzo altissimo. Il metodo di lavoro è lo stesso, cambia però lo sfondo. Certo, all’inizio può suscitare soggezione lavorare a fianco di un mostro sacro come Depp, un artista straordinario. Poi, però, ti accorgi che è un attore anche lui, come tutti. Commette i suoi errori di battuta, si sforza di rendere al meglio la sua parte, in altre parole, è umano. È un attore».
E Daniele Pecci, come attore, com’è?
«Un attore che si sforza di imparare, consapevole di quanta strada debba ancora fare. Il segreto per migliorarsi in questo mestiere è saper cogliere le opportunità che si presentano, dimostrando di volta in volta di saper reggere la responsabilità, non sentendosi mai arrivati, specie quando si lavora in una grossa produzione. La chiave di volta della mia carriera in tv è stata poter lavorare ne Il bello delle donne 2 e, soprattutto, in Orgoglio, forse una delle serie di maggior successo dell’ultimo decennio. Da lì sono nate tante opportunità».
Nuovi progetti per quest’anno?
«Finalmente potrò cimentarmi in un ruolo brillante: una nuova serie Rai in sei puntate, si chiamerà Sposami, avrà spunti molto divertenti. La programmazione è prevista per l’autunno».
 
Gabriele Gambini
 
(Nella foto Daniele Pecci)