Pubblicato il 03/03/2012, 15:03 | Scritto da La Redazione

MICHELA ANDREOZZI: «L’AUDITEL È UN MECCANISMO SUPERATO»

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TVZOOM ha intervistato l’attrice e autrice televisiva e teatrale, lanciata da Gianni Boncompagni con “Domenica In” e “Non è la Rai”, che dichiara: «Nella mia tv ideale spazio ai varietà e ai talent, basta con i reality».

Michela Andreozzi può davvero essere definita eclettica. Ha iniziato a fianco di Gianni Boncompagni, come autrice e performer in Non è la rai ai tempi in cui Non è la Rai non era davvero la Rai, rappresentava la parte più agguerrita di Italia Uno (diverse canzoni eseguite in playback dalle precoci e procaci ragazzine sgambettanti erano cantate da lei). Ha dato vita, assieme a Francesca Zanni, al duo comico Gretel&Gretel, imperversando in tv nella seconda metà degli anni ’90, con Zelig, Quelli che il calcio e Bigodini, su Italia Uno. Per la radio scrive e conduce con la Zanni WWW punto G (Rds) e Del nostro meglio (Radio 2) e partecipa poi ai programmi di Fuori onda, Ottovolante e Il cammello, sempre sulla seconda Radio RAI. Ha recitato in fiction tv come La squadra, Distretto di Polizia, Don Matteo, Il commissario Manara e al cinema in Finalmente la felicità di Pieraccioni e nel recente Com’è bello far l’amore, a fianco di Fabio De Luigi e Claudia Gerini. È da anni protagonista a teatro e, dal 13 marzo, sarà al Teatro 7 di Roma con il suo ultimo lavoro Ti vuoi mettere con me? – L’amore al tempo delle mele (che, se ci pensate, potrebbe essere il contraltare a quel tempo delle pere, intese come rotondità sensuali generosamente esibite, della realtà tv contemporanea, sulla quale Michela dirà molto a TVZOOM).

Michela, il tempo delle mele sta tornando?
«L’idea dello spettacolo si rifà al popolare film con Sophie Marceau e si basa su una constatazione: se l’infanzia è il periodo al quale tutti gli adulti aspirano, nel senso che ci tornerebbero volentieri, non tutti guardano con nostalgia all’adolescenza. Se ci si pensa, è un periodo dal quale non siamo mai usciti. È una condizione esistenziale alle volte protratta all’infinito, capace di sfasciare anche la solidità di coppia, come si racconta in Com’è bello far l’amore. E poi, durante l’adolescenza si affrontano un sacco di complessi, di problemi apparentemente insormontabili. Spesso accade che il brutto anatroccolo di un tempo riesca a emergere da adulto, e viceversa».
Il tempo delle mele rimanda all’adolescenza: lei ha iniziato come autrice a fianco di Boncompagni a Non è la Rai, il tripudio dell’adolescenza innocentemente esibita: che cosa ricorda di quel periodo?
«Boncompagni sapeva sempre che cosa stava per fare. In ogni dettaglio. Aveva la situazione sotto controllo, pensava a un’idea e la realizzava esattamente come voleva lui. Ha un grande senso televisivo, sa che cosa vuol dire entertainment. Ricordo che mi diceva sempre: “Michela, non stiamo salvando il mondo, stiamo facendo televisione, in fondo non stiamo facendo niente di importante”. Il senso della leggerezza abbinato alla rigorosa professionalità».
Non è la Rai ha anticipato la tv odierna, specie un certo modo di intendere i talent show…
«In parte è vero. Ma con dei distinguo precisi. Per esempio, non esistevano i criteri di selezioni ferrei dei talent di oggi. L’essenziale era avere delle ragazze belle e proponibili, disposte a ballare. Si cantava sempre in playback e la canzoni spesso erano incise da me. I talenti veri sono comunque emersi, senza giuria. Ci ha pensato il tempo a dire la verità. Ho un ricordo vivo di Ambra Angionlini, di Claudia Gerini, di Sabrina Impacciatore. Siamo tutte più o meno coetanee e la cosa incredibile è l’imprinting lasciatoci dal programma: facciamo ancora le stesse battute, tra noi, abbiamo reazioni simili, ridiamo per le stesse cose».
E la dimensione dei talent, nella tv di oggi, le piace?
«Alcuni talent mi piacciono molto. Per esempio, X Factor è una formula intelligente e qualitativa. Mi piacciono i confronti articolati, divertenti, ma anche tecnici, tra i giurati. Non sopporto invece quando c’è l’approccio competitivo da parte dei concorrenti, come accade ad Amici. Il clima tra gli aspiranti deve sempre essere sereno, ai tempi di Non è la Rai non c’erano liti o battaglie interne. Boccio senza appello i reality show. Il Grande Fratello non rientra nei programmi della mia tv ideale. Se voglio scenette di quotidianità spicciola, me le guardo tra i miei vicini di casa, perché dovrei accendere la televisione? 
Si dice che certe scelte, non sempre qualitative, dipendano dall’auditel: si rischia un appiattimento della capacità critica dello spettatore?
«L’auditel è uno strumento obsoleto. Sta morendo. Con l’avvento della tv on demand, non è più un metro di giudizio davvero valido. Pensate al successo de I soliti idioti, emersi con pochi mezzi e senza tanto clamore pubblicitario, grazie al passaparola, a internet. La qualità (intesa come contenuto) e i prodotti vincenti devono essere cercati al di fuori dello strumento auditel. Questo vale anche per Sanremo. Perché si deve a tutti i costi cercare lo scandalo, la tetta fuori o cose del genere? Non è certo quello, il punto di forza da valorizzare del Festival».
Da attrice e autrice: in generale, e nella tv in particolare, è più facile scrivere un programma o recitare?
«Premetto che io, nella vita, volevo fare l’autrice, recitare all’inizio non mi interessava. Se poi sono diventata attrice è anche colpa di Francesca Zanni, con cui ho creato il duo Gretel e Gretel.Sono però due aspetti completamente diversi. Il denominatore comune è sempre il regista. Quando scrivo qualcosa di mio, mi capita spesso di affermare: “Ho scritto un testo ma non l’ho letto”, nel senso che ho bisogno di qualcuno capace di rivedere il tutto con senso critico e capacità poi di metterlo in scena».
A proposito di Gretel & Gretel e della sua esperienza di comica: si dice che il mestiere del comico sia prevalentemente maschile, conferma?
«Ricordo quando ho debuttato a Zelig. C’erano i Fichi d’India, mi hanno avvicinata e mi hanno detto: “Guarda che le donne non fanno ridere”. Non male, come inizio! In realtà, non è così. Magari gli argomenti trattati sono diversi, così come il modo di porsi. Ma la comicità non ha sesso, è trasversale. Piuttosto, il mestiere del cabarettista è duro, durissimo. Devi avere pazienza, essere disposto a fare serate su serate, anche quando hai la gastrite». 
Lei ha recitato in fiction poliziesche come La squadra, Distretto di polizia, Il commissario manara: come genere tira sempre, a quanto pare!
«Può permettersi una lunga serialità. Io ho un ottimo ricordo de La Squadra. Sembrava di essere catapultati davvero in una realtà poliziesca. Inseguimenti in presa diretta, azioni e scene per le strade di Napoli. Emozionante e adrenalinico».
Preferisce fare radio o tv?
«Ora come ora, radio. Ma mi sto sforzando di tornare a pensare in un’ottica televisiva».
Facendo che cosa?
«Un bel varietà. Con dell’umorismo di qualità, con una completa contaminazione di generi. Confido in un ritorno a quel tipo di entertainment tv».
 
Gabriele Gambini
 
(Nella foto: Michela Andreozzi) 
 
 
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