Pubblicato il 29/02/2012, 12:50 | Scritto da La Redazione

ANDREA G.PINKETTS: «IL VERO MISTERO SONO LE TRASMISSIONI DI CUCINA IN TV»

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Lo scrittore noir torna nelle vesti di inviato speciale della trasmissione “Mistero”, da marzo in prima serata su Italia 1, e dice la sua sul mondo della televisione contemporanea a TVZOOM.

Un modo per descrivere Andrea G. Pinketts ci sarebbe, potrebbe suggerirlo lui stesso: è manicheo e di manica larga, ci tiene un mazzo composto unicamente da assi che gli garantisce un passato da astro nascente e un presente da leone ruggente. Sia nella letteratura noir (un’etichetta fin troppo stretta) dove è popolare con i suoi romanzi che hanno per protagonista Lazzaro Santandrea, scritti con quello stile identificato ne Il senso della frase (Feltrinelli) e nell’ultimo Depilando Pilar (Mondadori), sia nel giornalismo investigativo (ha contribuito alla cattura di Luigi Chiatti, il Mostro di Foligno e si è infiltrato nella setta dei Bambini di Satana, documentandone le attività), non trascurando la televisione, frequentata con incursioni spericolate in cui gli viene chiesto solo di non deviare dall’interpretazione che gli riesce meglio: se stesso, dissacrante, mai banale, soprattutto mai appiattito sui facili cliché degli opinionisti.

Pinketts, il genere mystery è tornato di moda in televisione: dalle fiction Mediaset, con il recente successo de Il tredicesimo apostolo e con l’imminente Sei passi nel giallo, ai programmi di divulgazione, non scordando Mistero su Italia Uno, in cui lei sarà inviato speciale. Qual è il denominatore comune di tutto questo?
«L’incertezza in cui viviamo nella nostra epoca, la perdita dei riferimenti tradizionali consolidati. In senso economico, con la crisi attuale, ma anche socio-culturale. In un periodo di incertezza, diviene consolatorio trovare appigli metafisici, questo spiega il successo de Il tredicesimo apostolo. Il genere mystery poi, penso alla letteratura noir sin dai suoi albori, è sempre stato classificato come genere d’evasione, ma è anche un modo per proiettare al di fuori le pulsioni interiori dell’inconscio. Il noir diviene lo specchio del reale e della società contemporanea, tratteggiandone il profilo e i suoi aspetti. Un po’ come il vecchio feuilleton». 
Che ci può raccontare della nuova edizione di Mistero, su Italia Uno?
«Andrà in onda a partire dal prossimo mese, io sarò uno degli inviati speciali, in giro per l’Italia a caccia di storie da raccontare e di misteri da svelare. Quest’anno abbiamo ritardato le registrazioni a causa della neve. La conduttrice sarà Paola Barale e, se ci pensate, rappresenta un elemento di continuità con l’edizione precedente, condotta da Raz Degan, il suo fidanzato. Rimane tutto in famiglia, in un certo senso».
Che cosa risponde a chi dice in tono quasi canzonatorio che Mistero sta a Mediaset come Voyager di Giacobbo sta a RaiDue?
«Il paragone non regge. Credo che un errore commesso da Giacobbo sia quello di tentare di giocare sul doppio binario del sensazionalismo e della divulgazione scientifica. Mistero è diverso. Non si propone di fornire risposte o soluzioni. Lo scopo è portare alla luce storie e leggende sconosciute al grande pubblico, facendo entertainment, cercando di divertire, senza salire in cattedra».
Lei che approccio ha nei confronti dei misteri, magari legati alla metafisica, al trascendente?
«Sono rigorosamente agnostico. Il che significa che sono anche possibilista. D’altra parte, lo dice la parola stessa: un mistero è qualcosa di cui non si sa nulla. Altrimenti sarebbe una certezza».
E riguardo al mistero della tv generalista, che sta cambiando pelle?
«Qui caschi male, io frequento la televisione, ma non ne sono un grande fruitore. Di giorno devo gestire una miriade di impegni, di sera sono spesso a Le Trottoir, un locale di Milano in cui – lì sì – i misteri sono sempre in agguato. Quando rientro a casa però, mi capita di guardare la programmazione televisiva notturna. Mi imbatto nelle repliche di un sacco di trasmissioni di cucina, ormai hanno invaso tutti i canali. Ecco, un mistero interessante sarebbe capire come possa risultare invitante la ricetta delle melanzane alla parmigiana alle cinque di mattina». 
Ha formulato qualche ipotesi in merito?
«Le trasmissioni gastronomiche sono il termometro di una società opulenta, ora decadente, che ha fatto indigestione andando a caccia di un falso benessere».
Forse è per questa ragione che alcuni vip finiscono a digiunare sull’Isola dei Famosi
«Nel 2003, in occasione della prima edizione dell’Isola, mi avevano proposto di partecipare nelle vesti di concorrente. Quando ho saputo che avrei dovuto digiunare, senza sigari, senza comfort, ho rinunciato e ci sono andato solo come opinionista. Io, al campeggio, ho sempre preferito l’albergo. L’Isola di quest’anno è molto diversa da quell’edizione. Un tempo era un programma capace di lanciare nuovi personaggi, penso a Belen Rodriguez, che da sconosciuta fidanzata di un calciatore (Borriello, nda), è diventata icona televisiva. Quest’anno, invece, sembra un parcheggio per vecchie glorie». 
A proposito di ruoli televisivi: nel suo ultimo romanzo Depilando Pilar (Mondadori), il protagonista Lazzaro Santandrea diventa un imbonitore facendo il presentatore di televendite. Un modo per ironizzare su quel mondo o un auspicio personale?
«Né l’una, né l’altra cosa. Solo una constatazione: la televendita è un modo remunerativo e poco faticoso di fare tv, ma ti costringe a una ghettizzazione. Una volta che ne hai fatta una, fai solo quella, un po’ come è capitato al mio amico Giorgio Mastrota, ottimo presentatore, peraltro».
Un giorno lei, per definire la cifra stilistica della sua scrittura, disse: «Sono un predicatore travestito da saltimbanco», parafrasando G.B. Shaw. Che ne pensa dei predicatori televisivi alla Celentano?
«Ho guardato Celentano a Sanremo. Non ci ho trovato niente di così destabilizzante, non è stato un boomerang, come molti hanno scritto. Ha fatto ciò che ci si aspetta da lui: provocare facendo leva sulla sua grande visibilità come personaggio. Già qualcosa di simile lo aveva proposto con il film Joan Lui. Forse, l’unica caduta di stile è stato l’attacco a Aldo Grasso, che aveva mosso delle critiche nei suoi confronti».
Da scrittore: la tv influenza il linguaggio della letteratura?
«Non più. Ora ci pensano le nuove tecnologie: internet, la telefonia mobile. Sul rapporto tra tv e libri, mi vengono in mente due titoli: Dove tutto brucia (Piemme) di Bruno Marcialis e Nomination (Fanucci) di Lello Gurrado.In quest’ultimo si ipotizza una versione horror dell’Isola dei Famosi, in cui i nominati vengono eliminati fisicamente».
C’è qualche suo nuovo progetto all’orizzonte?
«L’anno prossimo uscirà una mia raccolta di racconti per Mondadori, mentre per Il Filo Edizioni verrà pubblicato un rapporto epistolare tra me e una mia fidanzata di qualche anno fa. Sarà qualcosa di divertente, non di sdolcinato, beninteso. Non posso però svelarvi i titoli, non si sa mai. In passato, Moni Ovadia ha plagiato il titolo di un mio romanzo, Il conto dell’ultima cena, per denominare un suo libro di ricette, tanto per tornare all’argomento gastronomico. Ora il mio romanzo verrà ristampato da Mondadori con la precisazione: “Il conto dell’ultima cena – Quello vero!”».
 
Gabriele Gambini
 
(Nella foto Andrea G. Pinketts)
 
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