Pubblicato il 28/02/2012, 18:14 | Scritto da La Redazione

CATERINA MORARIU E IL SUO PASSO NEL GIALLO

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L’attrice di origini rumene racconta a TVZOOM la sua esperienza sul set di “Omicidio su misura”, uno degli appuntamenti del mercoledì di Canale 5 in “Sei passi nel giallo”, in cui interpreta Lola, la protagonista femminile.

Figlia degli anni ’80, Caterina Morariu da bambina era una fan di Fantaghirò, la popolare fiction-fantasy interpretata da Alessandra Martines e da un imberbe Kim Rossi Stuart, diretta dal maestro Lamberto Bava. Ora che, attrice di successo (ha dalla sua svariate esperienze cinematografiche e televisive come Il mio miglior nemico, di Carlo Verdone, Il mistero del lago, Il commissario Montalbano, Il commissario Zagaria), ha girato Omicidio su misura (co-produzione Rti e Leader Film Company girata a Malta), uno degli appuntamenti di Sei passi nel giallo, ogni mercoledì in prima serata su Canale 5, con Bava a fare da regista, è un po’ come se vedesse un cerchio chiudersi. E un portone spalancarsi. L’essenza dell’essere attori, in fondo, è nella sorpresa, non è sufficiente ridurre le esperienze professionali a una serie di immagini e eventi plausibili. Caterina, figlia della ballerina rumena Marineta Rodica Rotaru, ha vissuto fin da piccola in un’atmosfera impregnata d’arte, e ne sa qualcosa.

Caterina, che tipo è Lamberto Bava, sul set?
«Mi ha fatto consumare un paio di scarponcini a furia di correre, girando scene super dinamiche! Detto questo, io lo ammiravo fin da piccola proprio per via di Fantaghirò. Mai avrei pensato, un giorno, di girare un film con lui. Per prima cosa sono andata a tributargli tutta la mia ammirazione, ma lui è uno di quei maestri tanto disponibili quanto evasivi, un po’ imbarazzati, se gli si fanno i complimenti per i suoi lavori del passato. Sul set, è uno di quei registi che hanno da subito le idee chiare circa quello che vogliono ottenere da un attore e da una scena. Riesce a essere rigoroso senza mai metterti in soggezione. Nonostante Omicidio su misura sia un giallo e la tensione sia molto alta, mi sono divertita un mondo: mi hanno fatto anche girare una scena guidando una Vespa, proprio io, che non sono per niente pratica di motocicli».
Che ruolo avrà lei, in Omicidio su misura?
«Sarò un personaggio chiave: un’amica del protagonista, colei che lo aiuterà a risolvere il mistero. Nella storia, Rob Estes (volto di Melrose Place, nda) è uno scrittore di gialli la cui moglie viene assassinata in un modo simile a quello da lui descritto in un suo libro. Il suo scopo sarà quello di scoprire il colpevole. Lì entrerà in gioco il mio personaggio, Lola, una ragazza misteriosa, coraggiosa e affascinante, dalla doppia personalità, il cui lato sensuale risponde al nome di Michelle, quasi a rappresentare un dualismo tipicamente femminile, diverse sfaccettature dell’io».
È un tratto distintivo di voi donne avere pulsioni variegate e una personalità complessa, difficile da interpretare…
«Certo, siete voi uomini a fermarvi alle apparenze, talvolta non riuscendo ad andare oltre. In questo periodo sto leggendo Donne che corrono coi lupi (Frassinelli) di Clarissa Pinkola Estes. Lo consiglio a tutti gli uomini desiderosi di approfondire i misteri e le sfaccettature dell’universo femminile».
Lo comprerò. Quanto a Omicidio su Misura, si tratta di una co-produzione italo-americana: come è stato girare in inglese?
«Un’esperienza molto interessante, il fatto che il prodotto venga venduto anche all’estero poi, è un segno dell’evoluzione della fiction italiana: i “generi”, sullo stile americano, sono arrivati anche da noi e piacciono al pubblico».
Lei ha già una super esperienza internazionale: a fianco di Bruce Willis in Ocean’s Twelve!
«Quella è una cosa che potrò raccontare a figli e nipoti, indubbiamente. Io, di solito, non rimango più di tanto affascinata dai colleghi sul set, ma lavorare con Bruce Willis è stata un’esperienza indimenticabile perché lui…è proprio Bruce Willis, non so se mi spiego! Ha un carisma incredibile, è proprio come ce lo si potrebbe immaginare. È anche una persona molto alla mano, durante le scene girate in Italia ha mangiato con noi, non si è dato arie, non è stato divo neanche per un istante».
Lei ha una solarità e una positività contagiose, nel parlare, eppure ho letto da qualche parte che vorrebbe essere una Lady Macbeth, interpretando un ruolo da cattiva. Conferma?
«È vero, nella vita tendo a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Molti registi hanno scelto di valorizzarmi anche per la positività del mio sorriso. Però, diciamocelo, non sarebbe male, per una volta, interpretare, che so, il ruolo della strega di Biancaneve. Il bello di essere attori è mettersi costantemente alla prova, cimentandosi anche in ruoli che esulino dai tratti della propria personalità. Spesso capita in positivo, ma sarebbe interessante se capitasse anche con un’eroina cattiva».
A proposito di bel sorriso: è vanitosa?
«Potrei rispondere che l’essere umano è spesso vanitoso, in un modo o nell’altro. L’essenziale è comprendere se la vanità derivi da una forma di insicurezza o se sia funzionale a qualcosa, se sia attenzione alla propria immagine. Un bravo attore, però, non ha bisogno di essere troppo vanitoso».
Lei è figlia di una ballerina. Non ha mai pensato di seguire le orme materne?
«Certo, io fin da piccolissima seguivo mia mamma nel backstage dei teatri, respiravo l’atmosfera classica da film di una volta, con i camerini, gli specchi, le mille luci al neon, il pubblico. Ho iniziato da subito a indossare il tutù e le scarpe a punta, ho studiato danza, ho partecipato a diversi seminari. Durante il liceo, poi, la contaminazione di generi artistici mi ha portata sulla strada della recitazione, così mi sono iscritta al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Se non fossi stata presa, avrei fatto lingue all’Università di Firenze: inglese e arabo».
Uno dei suoi primi lavori è stato con il grande Mario Monicelli…
«Si trattava di un cortometraggio legato alla presentazione del mio diploma intitolato L’appello di un amico, nel 2003. Monicelli stava sperimentando la tecnologia digitale. Ricordo la sua semplicità, la sua esortazione ad amare la vita. Lui, era uno di quelli che ha amato la vita fino in fondo».
Lei ama la vita e il suo mestiere: se, bacchetta magica alla mano, potesse scegliere un’esperienza che ancora non ha fatto?
«Sceglierei di recitare al Teatro Greco di Siracusa. Trasmette un’energia pazzesca».
Non sceglierebbe, magari, qualche esperienza all’estero?
«Perché no? Soprattutto per potermi cimentare in ruoli nuovi. In Italia, la figura femminile non sempre è valorizzata come all’estero, spesso è funzionale e subordinata a una sceneggiatura con protagonisti maschili. Ciò che conta, prima del successo, è la realizzazione personale, avere qualcosa da dire in un progetto convincente. Penso a un film libanese che mi è piaciuto tanto, E ora dove andiamo, di Nadine Labari: è semplice, ma risponde all’urgenza di raccontare qualcosa affrancandosi da facili etichette o classificazioni. E poi, partecipare a nuovi casting è formativo e salutare, l’approccio competitivo forgia la personalità. Ricordo con piacere le prime selezioni a cui ho partecipato: era per personaggi in costume, la mia fisicità si prestava a quel genere di ruoli».
Che cosa porta con sé della Romania e che cosa dell’Italia?
«La capacità di sdrammatizzare le situazioni è tipicamente rumena. La combattività è da italiana del sud». 
E il fidanzato? È rumeno o italiano?
«Siciliano e attore anche lui, Dino Santoro».
 
Gabriele Gambini
 
(Nella foto Caterina Morariu)