Pubblicato il 21/02/2012, 11:03 | Scritto da La Redazione

SANREMO, LA FINE DI UN CICLO

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Mario Maffucci analizza il Festival appena concluso, tra il ciclone Celentano e la perversione del televoto.

Il Festival è come una Matrioska. Se sviti la bambola più grande (quella dell’Evento) ne trovi altre tre, una dentro l’altra. La più piccola è la Manifestazione Provinciale che da 60 e più anni annuncia la primavera: gente per le strade a caccia di autografi e di cantanti con i quali fare la foto, manifesti colorati, ristorantini pieni, traffico in tilt, alberghi costosissimi. Quest’anno anche la Guardia di Finanza.

Se sviti questa bambolina trovi la Rassegna Musicale, una volta dedicata a tutto il pubblico italiano per la gara dei propri beniamini sul palco dell’Ariston; oggi (che Sanremo è tutti giorni nelle radio e nelle antenne musicali) è la finale dei personaggi talent-show con alcuni cantanti.

La terza bambolina è lo Spettacolo Televisivo. Quando le tre bamboline sono in armonia stanno una dentro l’altra. Quest’anno no. Quest’anno il Festival ha registrato un bel risultato d’ascolto, più per la Sipra che per la Rai, ma è stato duramente criticato per la qualità del prodotto, costringendo l’Azienda a promettere di voltare pagina. Gianni Morandi amareggiato. Gianmarco Mazzi che ha concluso il rapporto in polemica con il DG. Riconosciuti i suoi meriti, non pochi, durante i sette anni di lavoro (e quindi anche e soprattutto quelli di Lucio Presta), ecco quali sono stati, a mio giudizio, gli errori imperdonabili di quest’anno come Direttore Artistico.

Proporre nella prima serata 30 minuti di Luca e Paolo in testa alla rassegna (peraltro deliziosi nella preghiera del clown alla serata finale) e 50 minuti di Celentano alle 22.00 vuol dire “sbregare” (come i pittori dell’arte contemporanea) il format del Festival che, istituzionalmente, rimane sempre il Galà Supremo delle canzonette. Dispiacersi che il DG lo richiami al buon senso e al rispetto delle regole, dopo il pandemonio che si è riversato sulla Rai è un comportamento che segnala che il personaggio, al termine del suo percorso, è fuori controllo: «Celentano sarebbe un delinquente senza qualità…».

Adriano rimane un grande, ma per altre ragioni. Non è questo il problema. Artisticamente non si può pensare di entrare a gamba tesa in un altro spettacolo (il Festival) per imporre il proprio (Rock Politik). Il molleggiato quest’anno è stato a Sanremo soltanto per promuovere il suo disco. Gianmarco Mazzi ha usufruito soltanto del suo rapporto di confidenza. Non si può sostenere che il grande ascolto (come l’effetto Vermicino) abbia portato luce (quale?) alla musica italiana, ormai in gran parte in mano ai faccendieri dei talent: l’area è tutta “drogata” da questo fenomeno televisivo, nel bene e nel male. Fa bene, dunque, la De Filippi a capitalizzare lo show business di Amici in un Gran Finale all’Arena di Verona, dove troveremo proprio Mazzi con tutti gli eroi (alcuni di carta), che finalmente non saranno più disponibili per il Festival.

Con loro – spero – potrebbe terminare l’uso del televoto combinato con quello dell’orchestra, che rimane il meccanismo più controverso della Rassegna (tra le cose che ho fatto mi vanto di non aver mai consentito il televoto). È il cerchio che si chiude.

Alla Rai rimane così il mondo degli autori, degli interpreti e dei cantautori della canzone italiana, con i quali ricostruire in sintonia un appuntamento più lineare, degno della gloriosa tradizione del Festival di Sanremo. Sarà come riportare alla luce un dipinto di valore, oscurato dalle tante sovrastrutture che lo hanno appesantito. La serata della canzone italiana grande nel mondo, ci ha dimostrato che ci sono tanti appassionati della nostra storia musicale pop che sosterrebbero, con passione, la “rivoluzione” sanremese, sempre che qualcuno abbia il coraggio e la capacità di alzare questa bandiera.

 

Mario Maffucci

 

(Nella foto Adriano Celentano sul palco dell’Ariston)