Pubblicato il 04/01/2012, 09:25 | Scritto da La Redazione

RASSEGNA STAMPA: LA PANDOLFI PSICOLOGA E GILETTI PRONTO PER LA PRIMA SERATA

RASSEGNA STAMPA: LA PANDOLFI PSICOLOGA E GILETTI PRONTO PER LA PRIMA SERATA
L’attrice romana debutta questa sera ne Il tredicesimo apostolo al fianco di Gioè, mentre il conduttore dell’Arena confessa le sue ambizioni a “La Stampa”. Corriere della sera, pagina 43, di Silvia Fumarola «Io, una psicologa alla ricerca di risposte tra fede e paranormale» Claudia Pandolfi da stasera su Canale 5 ROMA – Né medici né […]

L’attrice romana debutta questa sera ne Il tredicesimo apostolo al fianco di Gioè, mentre il conduttore dell’Arena confessa le sue ambizioni a “La Stampa”.

Corriere della sera, pagina 43, di Silvia Fumarola

«Io, una psicologa alla ricerca di risposte tra fede e paranormale»

Claudia Pandolfi da stasera su Canale 5

ROMA – Né medici né poliziotti, la fiction che apre il 2012, Il tredicesimo
apostolo
di Alexis Sweet, da stasera su Canale 5, indaga sulla religione, il paranormale, il conflitto tra fede e razionalità. Claudia Pandolfi dopo tanto cinema torna in tv. Interpreta la psicologa Claudia Munari che incrocia sulla sua strada Claudio Gioè, uomo di fede e professore universitario di teologia. Amato dagli studenti, anticonformista, esplora i confini fra scienza e fede, studia i fenomeni definiti paranormali. Collabora con la "Congregazione della Verità", un'istituzione ecclesiastica che cerca la verità su eventi razionalmente inspiegabili. «Sul set» racconta l'attrice «dovevamo
muoverci in modo strano per la post produzione, gli effetti speciali giocano un ruolo fondamentale. È un thriller sorprendente, non ci sono serie italiane che abbiano esplorato il mondo della Chiesa. Pietro Valsecchi che l'ha ideata, è stato coraggioso».

Claudia, aveva avuto grande successo con Distretto di polizia.

«Quella serie ha fatto scuola. Oggi l'offerta satellitare ha ribaltato la televisione, i gusti sono cambiati. E il pubblico è pronto».

A Venezia era in un film che ha fatto discutere: Quando la notte di Cristina Comencini.

«Un set estremo. Cristina è una delle donne più intelligenti che abbia incontrato, ha svelato un tabù. Una madre per definizione dev'essere perfetta. Chi l'ha stabilito? Anche noi possiamo avere un momento di difficoltà. Mi sono sembrate polemiche stupide, il film è lì: chiunque può farsi un'idea guardandolo».

Com'è con suo figlio Gabriele?

«In questo momento sono "Mamma batterie" e "Mamma cacciavite", montiamo i giochi che ha ricevuto a Natale, e me la cavo bene. Non voglio dire ovvietà, ma è vero, un figlio cambia le cose. Io cerco di renderlo indipendente e di salvarlo da me. Quando parlo con lui cerco di essere onesta. Oddio, ci provo».

In che senso?

«Faccio un lavoro in cui devo espormi, è la parte che mi piace di meno. Cerco di essere fedele a me stessa, di guardarmi allo specchio e di riconoscermi. Ho 35 anni. Una volta per una copertina mi hanno tolto tutti i nei e mi hanno messo un rossetto scarlatto. Non è normale. A me piacciono le foto in cui sono vera, anche se su Internet scrivono cattiverie: troppo magra, segnata».

Magra è magra.

«Metabolismo, fortuna. Voglio tenermi le rughe e conservare la mia faccia. Sarò una vecchietta magra con le rughe, va benissimo così. Le cose stanno cambiando ma non è umano vedere come le donne si sono fatte condizionare dallo sguardo maschile».

Segue la politica?

«La politica è anche davanti alla scuola dove molte donne lasciano i bambini e scappano al lavoro. Ma sono sollevata, il Paese si è svegliato. Ho fiducia in Monti, spero solo che a pagare non siano sempre gli stessi».

Chi deve ringraziare?

«I miei genitori. Mi hanno sempre lasciato libera di scegliere. Volevo fare la ginnasta, poi Michele Placido mi chiamò per Le amiche del cuore. Niente scuole, ma con Paolo Virzì, con cui ho girato Ovosodo e La prima cosa bella, ho imparato tanto».

È sempre inquieta?

«Sempre. Sono passionale e mi butto».

 

La Stampa, pagina 38, di Alessandra Comazzi

Giletti: «Sono pronto per la prima serata»

Il conduttore forse su Raidue: «Ma non lascio l'Arena, 4 milioni a puntata sono un bel successo»

ROMA – Massimo Giletti dal 2004 conduce «L'Arena», segmento di Domenica in, Raiuno. Titolo che presuppone scontri, ma lo scontro non pare più una cifra appropriata, in questi tempi di passaggio politico, sociale, pure televisivo. E infatti il conduttore torinese di buona famiglia, nato sotto il segno dei Pesci 49 anni fa, vorrebbe cambiare nome alla sua creatura: «Mi piacerebbe Rabi'a, dice, che in arabo significa primavera».

I tempi le consigliano di mutare registro?

«Guardi che è da tre anni almeno che abbiamo deciso di abbassare i toni. E gli ascolti ci hanno premiato. Con il programma allargato fino alle 16,30 l'anno scorso abbiamo avuto, e quest'anno stiamo avendo, una media di 4 milioni di spettatori, 22 per cento di share».

Lei abbassa i toni continuando a invitare, a esempio, un polemista come Sgarbi?
«Dalla ripresa stagionale Sgarbi non è ancora venuto, e la sua è comunque una partecipazione episodica. Ho scelto di rinunciare alla sua intelligenza e al suo argomentare acceso. Abbiamo cambiato marcia. Non cerco la violenza dialettica precostituita, né la alimento. Il confronto può essere forte, ma almeno lo sia su temi seri, non futili. Più che un gladiatore nell'arena, mi piace considerarmi un nocchiero che guida una nave. Un conduttore che va a sottrarre».

Dopo tante risse, pensa che sia il momento di chetarsi, parole d'ordine calma e sobrietà?

«Davvero è troppo presto per dirlo. L'ultimo periodo è stato tutto all'insegna della svolta. Ma non vorrei che fosse una calma apparente. I politici sono state le vere star di quest'ultima stagione tv. A me piacerebbe che andassero in certi programmi, ma non in tutti. Altrimenti perdono di credibilità loro e le istituzioni».

Cioè: da lei sì, ma non a farsi tirare le torte in faccia?

«Non solo da me. Ma certo non a farsi tirare le torte in faccia».

Canale 5 ha dovuto ridimensionare. «Domenica Cinque», suo diretto concorrente: è contento?

«Gioire perché qualcun altro è in difficoltà non è elegante. Noi abbiamo fatto ascolti forti, quindi è chiaro che siamo una concausa. Sono anche dovuti passare da tre blocchi pubblicitari a uno, per contrastarci. Brachino ha puntato tutto sulla cronaca nera, che andava benissimo la scorsa stagione. Ma le annate cambiano».

Ha cominciato lavorando con Minoli a «Mixer»: poi che è successo?

«È successo che volevo fare altro. A Minoli devo tantissimo, con lui ho imparato quasi tutto quello che so e gli sarò grato in eterno. È lui che si è allontanato, forse si è sentito tradito. Ma a me sembra di averne sempre messo in pratica gli insegnamenti. Insegnando il mestiere, a mia volta, ad altri ragazzi. Di questo sono molto lieto: di aver creato un gruppo».

Quasi dieci anni di «Arena»: non è stufo?

«Stufo no, quando fai quattro milioni a puntata non puoi che essere contento. Certo, mi sento pronto per una fascia serale. E lo spazio ci sarebbe per un programma di scuola minoliana. Il sottotitolo di Mixer era: quando la politica fa spettacolo. Io ci credo ancora».

Facciamo due conti: Santoro ha lasciato un vuoto a Raidue. Lei pensa a quello spazio lì, magari facendo pace con Minoli?

«Prematuro, prematuro. Certo, Rai non è solo Raiuno».

Sì, c'è anche tutto il pacchetto di nicchia del digitale: ci andrebbe?

«No, quello no. Bello, ma ai numeri ci tengo. I numeri sono importanti».

Insomma, prima serata su Raidue. E l'Arena?

«Va molto bene, è difficile lasciarla. Anche con il direttore Mauro Mazza mi trovo bene».

Sinergia?

«Quello che conta è una Rai che produca di più al suo interno. Ci sono grandi risorse. Basta con i programmi realizzati fuori. Ricordiamo che Domenica in è cento per cento produzione Rai, e costa pure poco».

E il suo Afghanistan?

«Grande esperienza. Ho rischiato, ma ho capito il valore della bandiera. Ho fatto un documentario, spero me lo trasmettano, magari in una seconda serata».

Sempre single?

«Sempre».