Pubblicato il 15/12/2011, 09:46 | Scritto da La Redazione

MAFFUCCI: «PER LA TV ITALIANA I MORTI SUL LAVORO VALGONO MENO DI QUELLI DI GUERRA»

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Con una lettera aperta, il nostro editorialista Mario Maffucci pone al centro del dibattito televisivo e politico il tema delle morti bianche.

Settimanalmente Mario Maffucci, grande dirigente Rai oggi editorialista di TVZOOM, scrive di tv nella sua rubrica Divoghera, ironicamente dedicata alla casalinga di Voghera, l’ascoltatrice media invocata da tutti gli addetti come esempio di audience.

Questa volta, invece, il suo articolo va oltre la rubrica, ma siamo sicuri che la casalinga approverà perché è persona di cuore e di buon senso. Come giustamente sostiene Maffucci, la tv non è direttamente responsabile, ma il sistema televisivo certamente collabora in modo perverso a rendere questa discriminazione sempre più stridente. Quale? Quella che c’è, nella comunicazione, tra i «morti in missione di guerra (pace?)» e i «morti sul lavoro».

Mario Maffucci, con questa lettera aperta, pone al centro del dibattito televisivo e politico un tema fondamentale per la società di questo Paese.

Andrea Amato

 

Per la TV il morto sul lavoro è di serie B

Il Presidente Napolitano è intervenuto nei giorni scorsi per l’ennesima volta affermando che «quando è in gioco la sicurezza sul lavoro ci deve essere l’impegno di tutti… affinché la sicurezza e la dignità del lavoro abbiano quella valenza primaria che la Costituzione pone a fondamento della Repubblica». Anche se, a parole, Sindacati e Partiti raccolgono il richiamo, quale seguito all’intervento e come vive il problema l’opinione pubblica del sistema Paese per quanto la comunicazione riesce a trasmettere? Seguitemi in un percorso di cinque punti.

1)Il tricolore

Sventola nella missione di guerra, avvolge la bara del morto. Sventola in cima alla costruzione di un palazzo (in genere, una volta si usava, ora sempre di meno); non avvolge la bara del morto sul lavoro.

2) L’annuncio

È più ridondante per le missioni di guerra; quasi sempre il Ministro della Difesa commenta l’accaduto con tono di circostanza. Se non ci fosse il Presidente della Repubblica a ricordare che le “morti sul lavoro” sono sempre più inaccettabili, la morte sul lavoro sarebbe lasciata ai puri dati di cronaca.

3) Il numero dei morti

Non so di preciso quanti siano i morti in missione di guerra; credo che, per fortuna, non superino i 50. So invece che in Italia siamo ad una media di 3 morti sul lavoro al giorno, un migliaio l’anno secondo i dati della ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi sul Lavoro).

4) Le condizioni di lavoro

Il militare che partecipa alle missioni di guerra ha un buon compenso. Le nostre truppe hanno tutte le risorse di sicurezza previste in un’impresa a rischio. Invece i compensi, nell’edilizia, sono tra gli ultimi in Europa e le condizioni di lavoro sono purtroppo – com’è noto – riprovevoli: a questo dato di fatto si aggiunge, infatti, l’assenza degli Ispettorati competenti sul territorio che sembrano latitanti e non riescono a prevenire le tragedie.

In fondo però il ragazzo (ben pagato giustamente) che sceglie la missione di guerra e quello (mal pagato ingiustamente) che opera sulle impalcature di una palazzina lo  fanno  per  gli  stessi  valori  (lavoro, famiglia).

5) Il funerale

La bara del militare viene accolta a Ciampino con un picchetto d’onore dagli Alti Comandi Militari, dal Ministro della Difesa, talvolta dal Presidente del Consiglio e dai Presidenti di Camera e Senato. Nei casi più drammatici, la messa in suffragio è in diretta tv. Le autorità si intrattengono con i parenti; spesso al morto viene riconosciuto un grado superiore che influisce sulla pensione di guerra. Segue la cerimonia nella città dove il militare è nato. Il morto sul lavoro, una volta data la notizia (spesso non si conosce neanche il nome) non ha un funerale mediatico: una volta morto, delle sue esequie non si ha notizia. (Il caso di Barletta non fa testo, perché la vicenda è stata più complessa.) In particolare, il morto sul lavoro non gode di nessuna attenzione da parte del Ministro competente.

Conclusione

Non vorrei essere frainteso. Non ho intenzione di togliere nulla alla “pietas” che il Paese deve ai morti in guerra. Ma per carità, meritano il nostro rispetto e grande considerazione. Non si dica però che “l’Italia è una Repubblica benevola e materna ancorché fondata sul lavoro”, perché chi muore a causa di colpevoli mancanze sulle norme di sicurezza (che certo non dipendono dal povero disgraziato), dovrebbe meritare altrettanta commozione. A meno che nel costume del Paese ci sia la convinzione ormai radicata che i morti sul lavoro sono di serie B – si badi bene – sia che il Governo sia di destra, sia che il Governo sia di sinistra. E con il Governo tecnico? Fin quando non vedrò in tivù la bara del “morto sul lavoro” avvolta nel tricolore; il Ministro del lavoro in visita dei parenti per esprimere sentimenti di cordoglio, ma anche per annunciare che al morto è stata concessa una pensione per sostenere moglie e figli; la messa in diretta con la partecipazione delle autorità, penso che i vigorosi interventi del Presidente della Repubblica non riescano a scalfire la rete di interessi che, in Italia, si fa gioco della vita e della dignità della persona.

Intanto la comunicazione televisiva continua a formare e consolidare la cultura corrente e i pregiudizi della gente contro i quali pare infrangersi il monito di Napolitano.

Concludendo:

Perché la tivù si comporta così? Su che cosa è fondata questa grande discriminazione? (Non può essere motivata nel 2011 da una vecchia concezione patriottarda, che esaltava gli uomini in armi, il tricolore e la guerra). Quale è la rete di interessi che porta alla “morte bianca”…

Mi piacerebbe conoscere il vostro pensiero.

 

Mario Maffucci

 

(Nella foto la salma del militare Gaetano Tuccillo accolta a Ciampino dall’ex ministro delle Difesa Ignazio La Russa)