Pubblicato il 20/06/2018, 18:03 | Scritto da Guglielmo Cancelli

Robbie Williams: il dito medio ai Mondiali e la vecchia polemica sugli show su commissione

Robbie Williams ha cantato alla cerimonia dei Mondiali di Russia 2018

Lì per lì in pochi ci hanno fatto caso: lui, dopotutto, il personaggio del guascone se l’è cucito addosso con grande determinazione in oltre vent’anni di carriera, e quindi cosa sarà mai un dito medio offerto a favore di camera, in mondovisione? Dietro al gestaccio in diretta di Robbie Williams alla Cerimonia d’apertura dei Mondiali di Calcio 2018 in Russia c’è però molto di più.

L’ex Take That, in patria, è stato travolto dalla critiche prima ancora di prendere il microfono in mano allo stadio Luzhniki di Mosca, dove ha avuto luogo lo show: possibile che lui, bandiera (musicale) del Regno Unito, manifestamente liberal, abbia dato la disponibilità a celebrare i Mondiali di Putin, lo “zar” considerato oltremanica il mandante dell’avvelenamento con gas nervino, su suolo britannico, dell’ex spia russa Sergej Skripal e di sua figlia Yulia, nonché visto dalla comunità LGBT peggio del fumo negli occhi per le posizioni più che discutibili della sua amministrazione riguardo la discriminazione di genere e diritti civili?

«L’avrà fatto per soldi, mormorava il popolo sulla tube e al pub, e proprio ai mormorii Robbie ha rivolto il dito «I did it for free» (L’ho fatto gratis), ha cantato lui come verso alternativo in Rock Dj, l’ultimo dei pezzi in scaletta alla cerimonia moscovita. Come dire: «Andate al diavolo, voi che mi criticate e mi date del venduto, perché non sapete di cosa state parlando».

Non abbiamo ragione di non credergli, né di pensare che un passaggio in mondovisione possa portargli chissà quali benefici: Robbie Williams è un’istituzione del pop, che di rilanci o vetrine non ha certo bisogno. Tuttavia, pensare che quello delle committenze imbarazzanti sia un problema che le star internazionali debbano porsi, quando accettano un ingaggio per un concerto, non è del tutto sbagliato.

Un po’ perché alla questione etica i consumatori – di elettrodomestici, di cibo in scatola, di tecnologia e sì, anche di musica – sono sempre più attenti. E un po’ perché ai cantanti, si sa, spesso piace fare prediche, tra una canzone e l’altra, e scoprire il proprio idolo predicare bene e razzolare molto meno bene non è mai simpatico. Ne sa qualcosa Bono, da anni portavoce della campagna per la cancellazione del debito dei paesi poveri, che la sua personale cancellazione del debito da contribuente (ricchissimo) col fisco irlandese l’ha risolto spostando la società che gestisce le finanze degli U2 – la U2 Ltd – in Olanda, dove il regime fiscale applicato ai guadagni maturati da royalties è molto più clemente rispetto a quello elaborato da Dublino.

E lo sanno anche Mariah Carey, Beyoncé, 50 Cent, Usher, Lionel Richie e Nelly Furtado, tutti finiti nei guai a causa di esibizioni (a pagamento, ovviamente) accettate con eccessiva leggerezza: quando, nel 2011, Gheddafi fu deposto da dittatore della Libia dalla sanguinosa rivoluzione che ha lasciato il paese nordafricano nel caos, diversi cablogrammi intercettati da Wikileaks svelarono numerose esibizioni tenute da queste star nordamericane – dietro compensi milionari – a favore dei familiari del rais, che amavano coprire di soldi i divi e le dive del pop a stelle e strisce per animare i propri party privati. «Non lo sapevamo», si giustificarono i manager degli artisti finiti nell’occhio del ciclone, che prontamente si precipitarono a devolvere il beneficenza i cachet “imbarazzanti”. Ma davvero si può incassare un assegno a sei zeri senza porsi il problema di chi l’abbia firmato?

Casi simili si sono verificati anche in Italia: sempre nel 2011 Eros Ramazzotti fu criticato per aver accettato di esibirsi a Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan, nell’ambito di un festival organizzato e finanziato da Gulnara Karimova, figlia del dittatore locale Islam Karimov, accusato da diverse associazioni governative internazionali come Human Rights Watch di condotte sicuramente censurabili come lo sfruttamento del lavoro minorile, la repressione degli oppositori politici e il mancato rispetto dei diritti umani. «Non sappiamo nemmeno dove sia l’Uzbekistan, stiamo verificando», si giustificò il management del cantante romano, a giochi – pardon, concerti – ormai fatti.

Nessuno, ovviamente, ha intenzione di processare chiunque: un concerto è un concerto, e un artista ha ovviamente tutto il diritto di limitarsi a fare l’artista e di avere come orizzonte ultimo il limite del palco. Però attenzione, perché come vi avevamo già raccontato qui la scarsa attenzione a questioni pratiche e “volgari” come committenze live e contratti di sponsorship possono mettere in grave imbarazzo. E il più delle volte non basta un dito medio in diretta TV per cancellarlo.

 

Guglielmo Cancelli

 

(Nella foto Robbie Williams)