Pubblicato il 13/06/2018, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Stefano Tacconi: “Spillo” Altobelli la mia bestia nera, Zenga e io abbiamo fatto sognare generazioni

Stefano Tacconi: Il calcio è finito negli anni ’90, poi è subentrato il business

A volte è necessario togliere le zavorre alle iperboli e lasciarle volare in alto, dove meritano. Stefano Tacconi è un’iperbole vivente. E in porta – leggendario estremo difensore della Juventus anni ’80, quella del dopo Zoff – volava, eccome se volava. «Il segreto per volare tra i pali è lasciar andare la propria personalità, non imbrigliarla in schemi precostituiti, abbinarla alla spregiudicatezza, caratteristica tipica di un portiere vincente», dice Tacconi, che ci ha raggiunti allo stadio di San Siro. La Scala del calcio, l’arena dove lui, bianconero, negli anni ’80 sfidava gli interisti “Spillo” Altobelli e il collega-amico-rivale Walter Zenga.

«Altobelli mi faceva sempre gol, era la mia bestia nera». Quanto a Zenga, l’Uomo Ragno, lui e Tacconi erano come Coppi e Bartali. Dividevano l’Italia, o stavi con uno o stavi con l’altro. Entrambi erano matti, in senso buono, si distinguevano per nerbo, non avevano paura di niente. «Tra me e Walter il dualismo è stato leale e rispettoso per oltre un decennio. Abbiamo fatto sognare generazioni di portieri».

Italia ’90 il titolare era Zenga. Ma Tacconi non si scompone, nel raccontare le sue avventure in maglia azzurra: «Ho disputato nove partite in Nazionale, le ho vinte tutte. Appartengo da vivo al museo della Juventus. Nella mia carriera non rimpiango niente. Con Walter siamo eterni rivali e amici». Non rimpiange nemmeno la semifinale di quel Mondiale delle Notti Magiche, che TV8 rievoca con un ciclo di film a partire dal 14 giugno in prima serata ogni giovedì.

Mediterraneo, Johnny Stecchino, Piedipiatti. Titoli che hanno dominato il botteghino della commedia italiana più di vent’anni fa. Oggi vengono presentati, come ricordo vivo per chi c’era e come insegnamento per chi ancora non era nato, dai calciatori eroi della squadra di Azeglio Vicini. Campioni che fecero innamorare una nazione intera, pur arrestando la loro corsa nelle semifinali contro l’Argentina. Totò Schillaci, Beppe Bergomi, Nicola Berti, Giancarlo Marocchi. E lui, Tacconi. Un giorno, sul finire degli anni ’80, la Gazzetta dello Sport gli dedicò un paginone clamoroso dal titolo: «Tacconi, che personaggio!». Una celebrazione del suo estro tra i pali.

Lui è ancora un personaggio. La schiettezza non gli manca. «Il calcio vero è finito negli anni ’90. Poi è subentrato il business, il tatticismo esasperato. Alcuni valori si sono persi». Certo, ci sono le nuove leve, Donnarumma, Perin. «Devono lavorare sui fondamentali, ai tempi nostri la scuola italiana dei portieri era imbattibile».

Tornando indietro nel tempo, un ricordo va proprio a Italia ’90: «Eravamo una squadra davvero forte. Sentivamo addosso la pressione, tutti gli italiani credevano in noi. Abbiamo regalato sogni e qualche bella soddisfazione». Dopo la Juve, per Tacconi è arrivato il Genoa agli ordini del professor Scoglio: «Ci sarebbero infiniti aneddoti da raccontare su di lui». Sono arrivate anche le incursioni in televisione: «Zenga e io abbiamo fatto da apripista negli show televisivi. Perché siamo matti e spregiudicati anche fuori dal campo». Mentre lo dice, mostra la chat di whatsapp che condivide con i suoi colleghi dell’epoca. Ci sono tutti. Maldini, Berti, Ciro Ferrara. Dio solo sa quanto manchino all’Italia del calcio giocato.

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Gabriele Gambini

(Nella foto Stefano Tacconi)