Pubblicato il 17/04/2018, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Velia Lalli: Fare stand-up significa raccontare la verità delle cose

Velia Lalli: Ho iniziato col gruppo di Satiriasi perché era l’unico a proporre linguaggi e contenuti comici nuovi, lontani dal solito schema del cabaret

Non pensate che le donne siano angelicate. Quando si ritrovano a parlare dei loro affari, non parlano del “Pipino” o della “Jolanda”. Dicono “Cazzo” e “Figa”. Come i maschi. Forse anche peggio. Prima caratteristica in comune con la stand up comedian Velia Lalli: utilizzare un linguaggio sganciato dal compiacimento utilitaristico di un pubblico. Ma non c’è solo il linguaggio. C’è il contenuto. Seconda caratteristica di Velia Lalli: fare stand-up pura, estremizzando i contenuti con l’uso del paradosso, per raccontare la verità delle cose. Che può non essere solo intrattenimento favolistico da tormentone in costume.  E proprio per questo innesca la risata come scudo protettivo di fronte alle perculate della vita reale.

Per dirla con Saverio Raimondo: è comico scivolare su una buccia di banana, è satirico scivolare su un preservativo usato. E se a scivolare è una donna, l’effetto è destabilizzante. Tocca nervi scoperti a cui la tv italiana, parca verso la satira di stampo anglosassone, non è abituata. Velia Lalli è, a oggi, una delle poche quote rosa post-moderne della risata nazionale: demitizza tutto, le grandi narrazioni di genere, i luoghi comuni, sé stessa.

Lei è laureata in ingegneria elettronica, come mai fa stand up?

La laurea in ingegneria era una copertura. Mentre studiavo, desideravo fare spettacolo e mi esercitavo. Essere ingegnere però mi ha insegnato a essere perfezionista, a lavorare duro sulle cose, a rifinirle. Un tempo stavo sveglia fino alle 4 di notte per un esame di Fotonica. Oggi resto in piedi per scrivere uno spettacolo.

Ha iniziato con Satiriasi, con lei c’erano Saverio Raimondo e Giorgio Montanini. State facendo da apripista a un nuovo genere.

La gavetta è stata tosta. Ora cominciamo ad approdare alla parte più bella del lavoro: essere pagati. Tuttavia la stand-up permette di pagare l’affitto di casa ma sulla generalista in pratica non esiste. Abbiamo molto spazio su Comedy Central, c’è Sbandati, c’è stato Montanini con Nemico Pubblico. Ma siamo ancora una nicchia. Forse questo ci preserva.

Il problema della stand-up è il linguaggio?

Più che il linguaggio, sono i contenuti. Uno stand-up comedian sceglierà sempre la metafora peggiore per definire un concetto. Racconterà la verità delle cose sbattendola in faccia allo spettatore senza filtri e senza maschere da commedia dell’arte.

Per esempio?

Il problema dell’invecchiamento femminile. Non mi sentirete mai dire: “Vado in palestra e ho il fiatone”. Piuttosto dirò: “Ho le rughe in faccia ma non potete ancora venirmi dentro”. La verità è più sporca di quanto i confezionamenti ideali la facciano apparire.

Se poi queste cose le dice una donna, suona ancora più sporco.

Non voglio cadere nella retorica delle opportunità di genere. Però ricordo quando nel 2013 Paolini portò noi di Satiriasi in Rai con la trasmissione Aggratis. L’unica a essere censurata fui io. Un dirigente trovò sconveniente che una donna parlasse di certi argomenti.

Di solito quando una donna fa comicità, parla spesso delle difficoltà di rapporto tra i sessi.

Che palle! Non ha stufato? Io provo a parlare di altro: della maternità, della religione, dell’omosessualità. Tematiche di cui la satira si interessa per forzare quei luoghi comuni che strappano qualche risata ma che, in fondo, non dicono niente di nuovo. Le monologhiste italiane che non fanno stand-up, che novità introducono?

Me lo dica lei.

Nessuna. Recentemente ho sentito Luciana Littizzetto in radio parlare più o meno delle stesse cose che raccontava quindici anni fa.

Lei sa che in questo modo demitizza totalmente la figura femminile?

E perché noi donne dovremmo essere messe in una teca di vetro? L’emancipazione vera è confrontarsi col mondo reale. Penso alla recente vicenda sulle molestie sessuali e alla reazione di molti, che invitavano le madri a educare i figli maschi al rispetto. Benissimo. Però educhino anche le figlie femmine a confrontarsi ad armi pari col tipico linguaggio goliardico maschile, per non dover essere sottomesse a qualcuno.

Le grandi narrazioni sono finite e la stand-up scoperchia il vaso di Pandora di com’è il mondo?

La stand-up fa satira e ti racconta come stanno le cose con il paradosso comico, scegliendo la metafora più forte, toccando i nervi scoperti del pubblico.

Si può parlare di funzione sociale?

Se la si attribuisce alle canzoni, la si può attribuire al linguaggio satirico.

Come nasce la scrittura dei suoi pezzi?

Scrivo molto ma non sono una battutista in senso tecnico. Butto giù un’idea su un argomento, di solito la registro su una nota vocale. Poi trovo la chiave. Senza pensare alla battuta perfetta. Per esempio: ho scritto un pezzo sul mio essere gattara, ho paragonato il gatto a un figlio, specificando però che la differenza tra un gatto e un bimbo è che al gatto non fai fare la Comunione. In compenso, quando avrò un bimbo e dovrò farlo castrare, preparerò le bomboniere.

Sbandati ha il merito di andare in onda in seconda serata, garantendo sperimentazione di linguaggi.

A Sbandati, nel panel che ho a disposizione, porto il mio linguaggio. Gli spunti del programma però sono tutti confinati all’argomento televisivo, ogni tanto provo a spostare l’attenzione su una tematica generale, ma non posso più di tanto discostarmi.

La rete aiuta i nuovi linguaggi?

La rete è un terreno fertile. Di recente, ho tenuto uno spettacolo in un teatro, su invito di un mio fan club che mi ha conosciuta con Sbandati. Ho scoperto di avere fan cinquantenni che mi hanno trovata grazie alla televisione. Il web invece mi garantisce fan ventenni, dunque sono due veicoli complementari.

Come ha cominciato?

Ero programmatrice alla Ericson. Ho lasciato il lavoro e mi sono iscritta a una scuola di comicità. Ma non trovavo niente che mi appassionasse davvero, i linguaggi e la costruzione dei personaggi mi sembravano sorpassati. Poi ho incontrato il gruppo di Satiriasi e ho capito ciò che volevo fare. Se voglio raccontare di me che faccio la ballerina, non salgo sul palco vestita col tutù, ma trovo dei paradossi per svelare davvero me stessa.

Ha guardato Saturday Night Live di TV8?

A tratti. Non abbastanza per dare giudizi. Ho trovato buona la partenza dello sketch con Giorgia, anche se forse dopo un po’ sbrodolava. Buona anche l’idea di giocare con Mentana. Tuttavia far ridere con uno sketch comico è molto difficile. E confrontarsi con un mostro sacro come il SNL americano è impresa durissima. Anche se, beninteso, nemmeno quello deve essere mitizzato.

Si dice che i comici siano individui timidi. Lei è socialmente inserita?

(ride, ndr). Lo sono stata, e molto, durante tutta la mia giovinezza, quando cantavo, ballavo, costruivo un mio percorso. Fare la comica di professione convoglia invece la mia esuberanza su un palco. Se racconti il tuo vissuto, paghi il prezzo di una minor esigenza di attirare l’attenzione nel privato. Oggi sono più riservata di un tempo.

Grazie a lei, una nuova generazione di aspiranti stand-up comedian donne sta muovendo i primi passi nei locali italiani e negli appuntamenti dedicati.

Saranno quelle che faranno davvero successo mainstream. Mi aspetto da loro una percentuale.

Gabriele Gambini

(nella foto Velia Lalli)