Pubblicato il 23/05/2017, 12:00 | Scritto da La Redazione

Rai: Antonio Campo Dall’Orto è sempre più solo

La parabola del marziano della tv, Antonio Campo Dall’Orto

Rassegna stampa: La Stampa, di Francesco Bei.

Con oltre un anno di anticipo sulla scadenza del suo mandato, la traiettoria aziendale e politica di Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale della Rai, sembra giunta a compimento. Un estraneo alla politica, direbbe qualcuno, un marziano a Roma aggiungerebbero altri, incapace di capire la peculiarità dell’azienda che era stato chiamato a guidare. Conta poco infatti che il manager non abbia tratto ieri le conclusioni di un Consiglio d’amministrazione che uno dei partecipanti non ha esitato a definire «drammatico». Con la quasi totale sfiducia dell’organo collegiale che costituisce per statuto la controparte necessaria del suo potere, è chiaro che il direttore generale nuota ora in acque difficilissime. Andare avanti dopo essere stato sfiduciato su un piano informativo che avrebbe dovuto costituire il cuore della svolta Rai sarebbe infatti un’impresa impervia.

Con l’eccezione dei cinque stelle, gli unici a essergli rimasti vicini. Ma attenzione, persino il consigliere indicato dal M5S, Carlo Freccero, uno a cui si può dire tutto tranne che non capisca di televisione, ieri sul piano di Campo Dall’Orto ha preferito astenersi. Segno certamente della sua indipendenza rispetto alla forza politica che l’ha nominato, ma forse anche indicativo di quanto poco convincente fosse il progetto. Una riforma che ha avuto un parto a dir poco travagliato. Per scrivere il piano era stato chiamato un fior di professionista come Carlo Verdelli che per mesi aveva studiato la Rai e le sue concorrenti internazionali per elaborare una proposta definita in ogni dettaglio ma, in maniera ancora mai chiarita, quel progetto finirà nel cestino. Il sospetto è che Campo Dall’Orto abbia sacrificato Verdelli per salvare se stesso, ma la mossa successiva, quella di intestarsi l’elaborazione di un nuovo piano per l’informazione non risulta azzeccata. Così facendo Campo Dall’Orto è come se si fosse disegnato sulla schiena un bersaglio per i suoi nemici dentro il Cda. Era solo questione di tempo: la resa dei conti era inevitabile.

Ci sarebbe molto altro da dire su questi due anni e l’ennesima occasione mancata per riformare il servizio pubblico e renderlo più al passo dei tempi. Basterebbe citare la vicenda opaca delle assunzioni esterne fuori dalle regole, un dossier finito sulle scrivanie dell’Anac, della procura di Roma e della Corte dei conti. Come quella del Chief Security Officer, Genseric Cantournet, scelto dalla società di cacciatori di teste del padre. «La Rai – ha confidato sconsolato il capo dell’Anticorruzione Raffaele Cantone – è stato il mio più grande insuccesso e mi pesa».

Ma forse il più grande errore in questa vicenda l’ha commesso Matteo Renzi, immaginando di poter mettere un manager di quel tipo a capo di un’azienda particolare come la Rai. Un direttore generale che di fronte alla politica, ha detto ieri Freccero, «è come “Lo straniero” di Camus». Il che potrebbe anche essere un vanto, a patto di non diventare come Chance il giardiniere del film «Oltre il giardino», con il suo disarmante candore. La parabola di Campo Dall’Orto ricorda infatti da vicino quella di un altro marziano a Roma come Mario Resca, pescato da Berlusconi dal mondo privato (McDonald’s) con l’idea di rivoluzionare i beni culturali e finito stritolato dalle logiche ministeriali. A Campo Dall’Orto si adatta bene un antico proverbio africano che a Roma tutti i manager nominati dalla politica dovrebbero imparare a memoria fin dal primo giorno di mandato: «Se vuoi andare veloce corri da solo. Se vuoi andare lontano, corri insieme a qualcuno».

 

(Nella foto Antonio Campo Dall’Orto)