Pubblicato il 22/05/2017, 16:03 | Scritto da Tiziana Leone

Claudio Lippi: Torno in tv perché il pubblico mi vuole

Claudio Lippi: Torno in tv perché il pubblico mi vuole
Un viaggio in Giappone alla ricerca delle tradizioni e non solo. Claudio Lippi è tra i quattro "samurai" spediti in Oriente per raccontare un Giappone diverso e originale. Ma in questa intervista a TvZoom il conduttore si leva più di qualche sassolino dalle scarpe.

Claudio Lippi è protagonista con Edoardo Vianello, Lando Buzzanca e Adriano Panatta di Meglio tardi che mai

Quattro signori tra i 67 e gli 82 anni spediti in Giappone per viverne le tradizioni, assaggiarne i cibi, condividere modi di vita e soprattutto commentare con i loro occhi esperti quel che una realtà così diversa dalla nostra metteva loro davanti. I quattro “samurai” spediti in Giappone dalla Endemol Shine Italy che produce Meglio tardi che mai, in onda stasera e lunedì prossimo su Rai 2 alle 21.20, sono Claudio Lippi, Edoardo Vianello, Lando Buzzanca e Adriano Panatta. Ad aiutarli il giovane assistente Fabrizio Biggio. Ma il viaggio tra Tokyo, Kyoto, il Monte Fuji, Osaka e altre mete non è stato solo rose e fiori.

Qual è stata la prima impressione sul Giappone?

«Di stupore. Si vive una realtà di totale civiltà, rispetto e ordine che però nel corso di 15 giorni si tramuta un po’ in una situazione ansiogena. I giapponesi non alzano mai la voce, fanno sempre l’inchino, l’esatto opposto di quel che succede da noi, dove ognuno fa quello che ritiene più opportuno. Ma l’eccesso è comunque sempre negativo. Sembra un po’ tutto falso»

Quindi non ci andrai mai a vivere?

«No, ci sono molte altre zone del mondo con culture diverse più vicine a noi, più vicine al sorriso».

La cosa che più ti ha inquietato dal Giappone?

«Il karaoke».

Per i giapponesi il karaoke è intoccabile.

«Hanno grattacieli con migliaia di minuscole stanze solo per fare il karaoke. Per noi, a parte la memoria fiorelliana, il karaoke è solo è un modo per stare insieme, per sfogarsi, ma per loro è una sorta di terapia da repressione. Ho visto ventenni cantare con la disperazione negli occhi. Mi hanno spiegato che il karaoke è una sorta di terapia voluta da chi ha autorità e potere per far sì che i giovani si sfoghino».

Al di là di questi aspetti un po’ inquietanti nel vostro programma emergerà la parte divertente del viaggio…

«Credo e spero. In programmi come questo il montaggio è fondamentale. Il nostro non è Pechino Express come qualcuno incautamente ha scritto, non è nemmeno un documentario, ma un modo per mostrare una terra che non credo sia a portata quotidiana dei più con dieci occhi diversi».

Com’è stato il rapporto con gli altri compagni di viaggio?

«Magnifico. Buzzanca, il più anziano del gruppo, ha dimostrato una vitalità straordinaria, Edoardo Vianello è una specie di juke box vivente, con i suoi tormentoni ha fatto cantare mezzo Giappone, Panatta lo conosco da sempre, ma la bellissima scoperta è stata quella del giovane Biggio, ha dimostrato disponibilità, umanità e dolcezza, oltre a essere completamente fuori di testa».

Perché non ti piace il paragone con Pechino Express?

«Mi dà fastidio l’errore. Non ho nulla contro Pechino Express, è un reality molto ben costruito, che ha avuto ottimi risultati, anche se tutti sappiamo che è un po’ “copionato”. D’altronde il reality è un genere cui io non sono molto propenso. Prendiamo L’isola dei famosi, anche se fanno una vita di stenti, senza cibo, è anche vero che non sono mai soli, quando piangono ascoltando la voce della moglie forse lo fanno perché devono tornare a casa e rivederla».

Mi sembra di capire che non ti vedremo mai sull’isola…

«No, mai. Tanto meno nei reality cosidetti vip. Mi piacerebbe piuttosto un Grande Fratello in cui i concorrenti potessero partecipare a corsi di formazione per imparare un mestiere, il fabbro, l’idraulico, il falegname, perché se li lasci dentro una casa a cazzeggiare diventano animali in calore, litigiosi e invidiosi».

Avevi proposto a qualcuno l’idea?

«Sì, ma non ho avuto alcuna risposta, c’è poco coraggio, di sperimentazione ne vedo ben poca in giro, piuttosto c’è tanta ripetitività. Questa tv quasi non la riconosco più, ma rimpiangere e guardare indietro ti pregiudica anche il presente e un eventuale futuro. Non ho mai avuto il piacere di parlare con il direttore generale in Rai, eppure io al suo posto avrei voglia di incontrare e parlare con uno che ha alle spalle 53 anni di carriera. So che succede la stessa cosa a Mediaset: Piersilvio Berlusconi resta chiuso nella sua torre d’avorio».

C’è poco dialogo tra vertici e “manovalanza”….

«Credo sia un errore, io incontro la gente per strada, raccolgo quotidianamente appelli, mi chiedono quando torno in tv, ma sento anche molte lamentele. Non tutti hanno Sky o Premium, la tv è una sorta di “schermo azzurro” dove si rivolgono quelli che non hanno grandi alternative e non vanno maltrattati».

A quanto pare sono tutti pronti a scappare dalla Rai che affonda…

«Si chiama marketing, sono minacce. Hanno il diritto di farlo, credo che questi signori abbiano acquisito il diritto ad avere un compenso legato alla libera professionalità, che ha un suo valore di mercato. Alcuni conduttori sono costosi, ma ti portano dieci volte quello che spendi».

Quindi non condividi il tetto agli stipendi?

«E’ finta moralizzazione, piuttosto bisognerebbe legare i compensi ai risultati che portano, anche se 240 mila euro sono tanti…»

Ma pochi rispetto a due milioni di euro…

«Personalmente ho sempre legato la mia valenza professionale alla realtà del momento. C’era un periodo in cui Berlusconi dava cifre che hanno indotto molti a lasciare la Rai: dal 1980 al 2000 era un momento economicamente floridissimo, la Fininvest di allora ha aperto la strada a molti investitori. Però io conosco le cifre che prendo, senza guardare gli altri con invidia dico a tutti mettiamoci una mano sulla coscienza e paghiamo in proporzione agli ascolti che si fanno».

Quindi tornando alle minacce dei vari Giletti, Clerici…

«Se ci credono in Rai stanno messi male».

Ma se vanno via si aprono spazi tv…

«Non posso vivere la mia vita professionale sulla speranza che se ne vadano, piuttosto ho la speranza che sappiano valorizzare una risorsa che già hanno. Un po’ di sana alternanza non farebbe male, è tutto omologato: Carlo Conti che pure è un professionista straordinario mi dà l’impressione che faccia sempre lo stesso programma, anche Amadeus diventerà così. Magari il nuovo non sarò io, ma vedere qualche altra faccia più o meno giovane in tv non sarebbe così disdicevole».

Cosa diresti a Campo Dall’Orto se lo avessi di fronte?

«Non so che reazione potrei avere, intanto vorrei essere sicuro che mi ascolta e non che me lo ritrovo davanti per un incidente stradale. Poi gli chiederei un po’ più di leggerezza e ironia, non ce la faccio più a vedere tutti i pomeriggi due programmi che si controllano a vicenda su chi manda per primo l’intervista al fratello del prete ammazzato».

Basta con la tv del dolore?

«La tv del dolore ci immerge in una negatività pazzesca, mentre servirebbe portare un po’ di serenità e sorriso, è la tv che sogno da 20 anni, ma quando ho portato dei progetti non li hanno accettati salvo poi scoprire che li hanno comprati da altri Paesi e li hanno fatti in modo peggiore».

E quali erano questi progetti?

«Per esempio Gli italiani hanno sempre ragione con Fabrizio Frizzi. Mi hanno persino invitato come ospite, mentre io avevo portato l’idea tre o quattro anni prima a Giancarlo Leone e Antonio Azzalini, all’epoca responsabili dell’intrattenimento. Poi hanno licenziato Azzalini con una scusa, almeno per quello che ho letto. Ma ormai siamo in condizione di dubitare di tutto quel che si legge, tranne di quello che scrivete voi di TvZoom».

Grazie, mi pare una chiusa perfetta

«Scrivilo pure, perché è vero».

Scritto.

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto il cast di Meglio tardi che mai, Claudio Lippi il primo da sinistra)