Pubblicato il 16/04/2017, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini

Roan Johnson: Piuma racconta la rivoluzione di avere un figlio oggi

Roan Johnson: Piuma racconta la rivoluzione di avere un figlio oggi
TvZoom ha intervistato il regista del film italiano rivelazione del 2016, in onda domenica 16 aprile alle 21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Uno. Chiedendogli qualcosa anche sui nuovi episodi de "I delitti del Barlume".

Roan Johnson: “Tornerà I Delitti del Barlume con due nuovi episodi: la forza della serie sta nell’unione tra giallo e cazzeggio ironico”

Piuma, come la bambina che sta per nascere, frutto imprevisto dell’unione tra Ferro (Luigi Fedele) e Cate (Blu Di Martino) adolescenti irrisolti eppure risoluti nell’accettare le responsabilità di una gravidanza destinata a cambiare le loro vite. Ma Piuma anche come metafora della levità che «Vola sui casini del mondo e li guarda dall’alto», per dirla con Roan Johnson, regista e scrittore di origine angloitaliana. Lui è la mente pensante dietro alla commedia rivelazione del 2016, presentata in concorso alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia e candidata ai David di Donatello nella categoria David Giovani. Prodotto da Sky Cinema e Palomar, il film sfrutta la leva del racconto generazionale per allestire un affresco corale capace di varcare i gap anagrafici, e sarà in onda questa sera domenica 16 aprile alle 21.15 su Sky Cinema Uno e Sky Uno. Nel frattempo, ci racconta Johnson, «Sto lavorando alla regia di due nuovi episodi de I delitti del Barlume, e a febbraio è uscito il mio secondo romanzo, Dovessi ritrovarmi in una selva oscura», (Mondadori).

Piuma è un titolo efficace in molti sensi. Rimane in testa e descrive l’intento progettuale del film: raccontare con leggerezza la generazione millennials.

Inizialmente il titolo avrebbe dovuto essere Ferro e Cate. La scena in cui decidono di chiamare la figlia Piuma è stata inserita in un secondo momento, un periodo in cui, tra parentesi, anch’io stavo diventando padre. Ci è sembrato un termine perfetto, una sola parola associata a un significato simbolico forte. Una bomba a orologeria narrativa.

Ferro e Cate sono due adolescenti leggeri?

Dei due, Cate è la più matura. Ha la testa sulle spalle, è consapevole di sé, gestisce una situazione familiare difficile. Ferro è un amabile cazzaro, un inguaribile ottimista. Assieme, creano una dicotomia che, dal conflitto, conduce alla risata. Trovano un personale equilibrio compensandosi. Devono farlo. Soprattutto perché l’arrivo di Piuma coincide con l’assunzione di responsabilità stravolgenti e impreviste. Dietro a Ferro e Cate, poi, ci sono le loro famiglie, realtà più o meno scomposte che si inseriscono in modo corale.

Si dice spesso che la generazione di chi è stato adolescente negli anni ’60 e ’70 fosse quella politicamente impegnata. Poi sono arrivati gli anni ’80, quelli dell’edonismo disimpegnato, e i ’90, che ne hanno assorbito e rielaborato alcuni aspetti. I millennials come si collocano?

Non ho una risposta, ma ho un piccolo campione statistico che può aiutarci a trovarla. La mia conoscenza di questa generazione viene da Piuma e dal film Fino a qui tutto bene. Per quest’ultimo, ho intervistato molti ragazzi dai 18 ai 30 anni. Universitari, lavoratori. Per Piuma invece ho cercato di capire cose su di loro attraverso i casting.

Che cosa ne è emerso?

Ne emerge una generazione determinata a seguire i propri sogni in un periodo di incertezza sul futuro, specie in ambito lavorativo. Che sfrutta con rapidità intuitiva le nuove tecnologie e che, grazie ai social, forse è più egoriferita e narcisa. Ma di sicuro è molto attiva. Poi, certo, ci sono anche gli adolescenti “sdraiati”, per dirla con Michele Serra, ma non è affatto l’unico tratto distintivo.

In questo senso, come si colloca l’avvento di un figlio e la creazione di un nucleo familiare?

Il film, con ironia, prova a ragionarci su. Un tempo, prima della guerra, si passava in modo traumatico dall’essere bambini all’essere adulti. Oggi l’età di mezzo si è notevolmente allargata, diventando un laboratorio formativo di idee e di esperienze. La nascita di un figlio coincide con l’assunzione di nuove responsabilità non più viste indispensabili socialmente come un tempo. Significa sacrificare se stessi, non vedersi più come la persona più importante della propria vita. Una rivoluzione copernicana. Me ne sono accorto anch’io, diventando padre.

Non solo i film, anche il suo primo romanzo, Prove di felicità a Roma Est (Einaudi), parla di adolescenti. Perché?

Dovrei fare una sorta di ricerca psicanalitica per capirlo (ride, ndr). In realtà, si tratta di una concatenazione di casi. Il mio primo film, Primi della lista, parlava di giovani ma era un soggetto già pronto su cui ho lavorato. Fin qui tutto bene, invece, nasceva da una mia idea. Penso che raccontare un momento cardine della vita di un individuo sia un eccellente laboratorio narrativo di formazione.

Ha pensato allo spettatore ideale di Piuma?

Se dovessi scegliere un solo spettatore, direi una donna, trentenne, mamma. In generale, la generazione dei trenta/quarantenni può avere una visione completa di tutte le sfumature. C’è un racconto corale che coinvolge protagonisti adolescenti fino a co-protagonisti ottantenni. I punti di vista sono tanti, non si insiste su una sola visione delle cose.

Scrivere la sceneggiatura di un film implica un approccio diverso alla scrittura rispetto alla stesura di un romanzo.

Una sceneggiatura è un lavoro di squadra. Non sei mai da solo, ti confronti con idee e scritture diverse. Il romanzo è una lotta faticosa contro te stesso, ma ti consente un controllo totale sul risultato. Ne parlavo con Francesco Piccolo: mi diceva che nel romanzo si può essere liberi dai vincoli narrativi di una storia, l’intreccio narrativo può passare in secondo piano o essere affrontato in modo non lineare. In un film, no.

Soprattutto perché, da regista, certe libertà ce le si conquista progressivamente.

Nel cinema, da esordiente, hai delle inevitabili costrizioni di produzione. La tua libertà te la conquisti passo dopo passo. Ma più che di libertà, meglio parlare di controllo progressivo di tutto ciò che avviene attorno a te.

Tornerà il Barlume?

Stiamo girando proprio in questo periodo due nuovi episodi.

Perché piace così tanto al pubblico?

Perché Marco Malvaldi, coi suoi romanzi, ha unito il racconto giallo ai toni da commedia. Due generi apparentemente agli antipodi. La tensione della drammaticità è mitigata dal cazzeggio ironico. Ho provato a rendere al meglio questo ossimoro sullo schermo. Del resto, giallo e ironia funzionano, seppur in modo diverso, anche in Montalbano.

Se dovesse indicare un tratto distintivo del Barlume?

Non assomiglia a nient’altro di già visto in tv. Ha un suo carattere, uno stile difficilmente rimpiazzabile. Merito di Filippo Timi, dell’innesto di Alessandro Benvenuti, a loro volta scrittori e registi, oltre che attori. E di un’ottima Lucia Mascino.

Ecco, lo stile del racconto: quando lavora al Barlume, oltre all’impianto di Malvaldi, prende riferimenti dall’esterno?

Alcuni lavori dei Coen sono sempre ben presenti nel mio immaginario. Poi c’è la commedia all’italiana, quella dei Monicelli, degli Scola. I vecchini del Barlume hanno qualcosa che può ricordare Amici miei. Professionalmente, spero di gestire al meglio l’eredità dei miei riferimenti, riuscendo però a forgiare una mia peculiare riconoscibilità.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Roan Johnson sul set di Piuma)