Pubblicato il 12/03/2017, 12:01 | Scritto da La Redazione
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La Convenzione governo-Rai e l’ennesimo rischio censura

La Convenzione governo-Rai e l’ennesimo rischio censura
La nuova convenzione Il bavaglio della Rai Piano anti-fake news col rischio censura. Così sul Fatto Quotidiano.

Rai ha “il divieto assoluto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni”.

 

Rassegna Stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 9, di Marco Palombi

 

 

FAKE NEWS “La tv di Stato dovrà combatterle, ne parlerà la Vigilanza”, dice il renziano Anzaldi, che propone il poco felice esempio francese

La Convenzione governo-Rai e l’ennesimo rischio censura

Ora c’è la seduzione delle notizie false, un nemico da combattere senza indugi I servizi pubblici devono farlo CAMPO DALL’ORTO  

 

Il governo venerdì ha rinnovato, dopo un paio di decenni, la Convenzione attraverso la quale concede il contratto di servizio pubblico alla Rai (in sostanza, la tv di Stato s’impegna a fare certe cose in cambio del canone). Aggiornarsi ai tempi è sempre una cosa buona, per carità, ma c’è pure sempre il rischio che operazioni sacrosante finiscano per nasconderne altre poco commendevoli. NEL MERITO si parla di questo: “Con la nuova concessione il governo stabilisce un principio molto importante: la Rai deve operare in maniera netta e chiara contro le fake news. Si tratta di un impegno molto atteso e rilevante: la Rai è la prima azienda giornalistica del Paese, pagata coi soldi dei contribuenti, quindi ha il dovere di combattere storture e falsità dell’informazione. Il tema lo approfondiremo in commissione di Vigilanza”. Parola di Michele Anzaldi, deputato renziano che si occupa di Rai, già portavoce di Rutelli, il quale si basa su questa frase del comunicato ufficiale: la Rai ha “il divieto assoluto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni”. Ottimo proposito, ovviamente, che dovrebbe unirsi a quello – deontologicamente scontato – di non fornire notizie false, ma non proprio l’ordalia descritta da Anzaldi: il Pd punta dunque ad inserire la guerra totale alle fake news nel parere che la Vigilanza dovrà dare al governo entro un mese. E in che modo? Il deputato renziano lo ha già spiegato altre volte: “Un primo, possibile esempio ci viene dalla Francia, con un modello misto che coniuga il controllo diffuso degli utenti a quello qualitativo. In vista della delicatissima campagna presidenziale di maggio, otto testate francesi (da Le Monde in giù) hanno annunciato un accordo con Facebook per ridurre la diffusione delle bufale”. In sostanza, gli utenti segnalano e i media mainstream verificano e, nel caso, “marchiano” il falso. “Ancora più efficace può essere il sistema basato sugli algoritmi, usare le macchine. Opportunamente istruiti e controllati dai giornalisti, gli algoritmi potrebbero fare il lavoro sporco”. Il secondo esempio è francamente preoccupante, ma anche il primo nella pratica non lascia tranquilli: come ha raccontato l’economista Jacques Sapir, il suo blog Russeurope è stato segnato “non affidabile” dal motore di ricerca “Decodex” di Le Monde perché “a volte riferisce informazioni false, negando la presenza di truppe russe in Ucraina nel 2014, benché fosse stata accertata”. Una cosa mai successa: i “decodificatori” avevano semplicemente male interpretato la citazione, ironia della sorta, di un generale americano. Questo tipo di operazioni, insomma, più che i fatti finisce per punire le opinioni dissonanti come quelle di Sapir su Europa e rapporti con la Russia: farlo con la forza della tv pubblica sarebbe solo un passo prima del “ministero della verità” orwelliano.

IN RAI, PERALTRO, non è che non conoscano la tentazione di orientare il dibattito con la scusa delle fake news. La settimana scorsa, ad esempio, a viale Mazzini è stato organizzato il convegno “Reconnecting Europeans”. La presidente Monica Maggioni vi ha sostenuto che, in occasione del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, “forse potremo decidere anche nel nostro racconto quotidiano, nelle scalette dei tg e nei programmi, di bilanciare le urla contro l’Europa col racconto dell’Europa”. La scelta delle parole (“urla” vs “racconto”) dice tutto. Il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto è stato ancora più esplicito nel legare fake news e critiche all’Ue: “C’è sempre stata una fascinazione per l’informazione falsa, ora c’è la seduzione delle notizie non verificate. Questo è un nemico da combattere senza indugi per i servizi pubblici sui mezzi classici e sul web”. Poi il dg fa una connessione rivelatrice: va spiegato che “oggi è più importante di ieri essere in Europa. È quello che cercheremo di fare”, anche se “riportare fascinazione sulle istituzioni è molto difficile”. Cosa si capisce? Che la lotta contro le fake news è una lotta contro chi è anti-Ue, cioè chi esprime una legittima opinione, e che il compito della Rai è rendere le istituzioni più fascinose. Non proprio tranquillizzante se questo dovesse avvenire per esplicito invito della Convenzione tra governo e tv pubblica.

 

(Nella foto, la statua equestre di Viale Mazzini)