Spot Tv: evitate di usare il rap come Mantovani e Ristora

Mantovani e Ristora sbagliano gli spot tv

Per definizione non ci si può aspettare che la pubblicità faccia avanguardia culturale. Perché, rivolgendosi a un pubblico di massa, la buona pubblicità al massimo può cavalcare (in qualche caso anticipandole), le tendenze già in atto. Il fatto che Fedez abbia partecipato ormai a tre edizioni di X Factor deve essere stato interpretato da qualche marca, in cerca di un modo per «parlare a un pubblico più giovane», come il segnale che il rap potesse essere una soluzione. I risultati, però, sono quantomeno discutibili.

Mi vengono in mente almeno due spot tv, ma sono sicuro che ce ne siano altre. Docciaschiuma Mantovani (2015): un rap sotto la doccia interpretato da tutta la famiglia. E Ristora (2017): uno spot in cui le capsule di caffè, the e quant’altro, appunto, si muovono a tempo di musica in un gioco grafico piuttosto geometrico. In termini narrativi, entrambi sembrano la trasposizione in video di un documento di marketing in PowerPoint.

Nello specifico lo spot Mantovani aggiunge una recitazione talmente ingessata è innaturale da far rimpiangere l’espressività delle capsule Ristora. Entrambi gli spot ignorano il tema della coerenza con la marca, generando un effetto tipo: ultrasessantenne con risvoltino, che, strizzato in un’improbabile giacchetta, imita malamente gli atteggiamenti del nipote. Atteggiamenti che il nipote stesso non usa più da tempo, naturalmente.

Musicalmente parlando, poi, i jingle ricordano l’esibizione sul palcoscenico di Gene Wilder e della sua creatura in Frankenstein Junior. Della serie: se vuoi usare un linguaggio, oltretutto musicale, verifica che sia alla tua portata e poi soprattutto usalo bene. La storia è piena di jingle pubblicitari che sono diventati motivi di successo, ma temo che non sia questo il caso.

GUARDA LO SPOT MANTOVANI

GUARDA LO SPOT RISTORA

 

Compost

(Nella foto un momento dello spot tv Mantovani)