Pubblicato il 24/11/2016, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Cultura Moderna su Italia 1, Antonio Ricci: Puntiamo al 4 o 5 per cento di share, rosicchiando a Striscia

Cultura Moderna su Italia 1, Antonio Ricci: Puntiamo al 4 o 5 per cento di share, rosicchiando a Striscia
Si parte il 28 novembre, dal lunedì al venerdì, alle 20.20 su Italia 1. Dichiarato l'intento di rimpolpare l'access prime time della rete con una produzione originale, innescando un derby tutto interno al Biscione. Ma facendo concorrenza anche a Tv8 e Nove.

Antonio Ricci: “Fare cultura su una tv generalista non è possibile, manca uno scambio paritetico con lo spettatore. Noi, in Cultura Moderna, ci divertiamo con un atto contronatura”.

Antonio Ricci si sdoppia, manco avesse il dono della bilocazione. Senza aspirazioni alla santità, almeno non dichiarate. Gioca un derby in casa Mediaset sfidando se stesso. Derby calcolato e indolore, ma divertente. Cultura Moderna a trazione Teo Mammucari (dal 28 novembre su Italia 1 alle 20.20, 70 puntate da 35 minuti ciascuna) affiancato da Carlo Kaneba e Laura Lena Foggia, è infatti la riattualizzazione del format scritto e ideato dal deus ex machina di Striscia, andato in onda per l’ultima volta 10 anni fa. Si scontra nella stessa fascia oraria col tg satirico di Canale 5 proprio nella speranza di rosicchiargli ascolti. La ragione è semplice. Striscia fa sfracelli e, come dice Ricci in conferenza, «Ha un vantaggio sul competitor di Rai 1 di più di 10 punti sul target commerciale. Di questo bottino, il signor Pier Silvio Berlusconi non sa cosa farsene, è fin troppo. Commercialmente, anche se Canale 5 facesse meno di Rai 1, sarebbe un prodotto ugualmente appetibile per gli investitori. Cultura Moderna, invece, prova a ravvivare l’access prime time di Italia 1, sfidando concorrenti come Boom! su Nove e l’EdicolaFiore». La propettiva numerica c’è: «4% o 5% di share. Ma un risultato del genere ottenuto con una produzione originale darebbe maggior lustro alla rete rispetto a un telefilm preso dalla library».

A proposito di “Library”. La scenografia dello studio di Cultura Moderna è zeppa di libri finti. «Perché la cultura moderna, oggi, non si fa più coi libri ma con gli smartphone», ridacchia Ricci, iniziando il suo consueto flusso di coscienza a concatenazione argomentativa sparsa. «Bisognerebbe ideare un format sulle conferenze stampa di Antonio», aggiunge Mammucari. Per lui, un ritorno alla corte dell’amico “Antonio”, dopo che, nel 2012, l’ex conduttore de Le Iene era stato accreditato come molto vicino alla conduzione di Striscia, prospettiva poi saltata. La prospettiva di Cultura Moderna invece è chiara: 5 concorrenti in gara si esibiscono in prove di danza, canto, cabaret, acrobazie e affini. Alla fine di ogni esibizione, ricevono un voto. In base al punteggio ottenuto, hanno diritto a ricevere indizi sull’identità di un vip misterioso. Svelarla è lo scopo del gioco. Chi vince la finalissima, si aggiudica 100.000 euro e il titolo di campione culturale televisivo. Dunque campione di un bel niente. «La tv generalista» spiega Ricci «a differenza delle reti tematiche, non è il luogo ideale per fare cultura. Noi vogliamo dimostrare come il mezzo tv non sia il luogo ideale per approfondire ragionamenti, perché qualunque tipo di complessità non viene recepita. La cultura è scambio. Ma, per esserci uno scambio, l’ascoltatore e il comunicatore devono essere sullo stesso piano. La televisione invece parla da sola. Come i pazzi. Parlare di cultura sulla generalista, significa fare un atto contronatura e svelare questo artificio ci diverte molto». Probabilmente anche far cantare al critico d’arte Philippe Daverio la sigla del programma, quasi fosse un Gabibbo colto e dandy, è un atto contronatura. Infatti la canterà lui.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Antonio Ricci)