Pubblicato il 21/10/2016, 14:31 | Scritto da La Redazione

Renzo Arbore story: La mia storia d’amore con Mariangela Melato

Renzo Arbore: “Mariangela ha dato significato alla mia vita. Gli ultimi anni sono stati di passione ardente”

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 29, di Emilia Costantini.

Ha inventato 14 format e il suo unico rammarico professionale è il fallimento del progetto di Rai Italia. L’amore con Mara Venier, il matrimonio mancato con la Melato. “Mi manca l’esperienza della famiglia”.

Quando vedeva il padre estrarre il dente dalla bocca del paziente, applaudiva contento. «Per me era come il gol di un calciatore – racconta Renzo Arbore – mi sembrava un gioco. Ero piccolo e il mio papà dentista a volte mi faceva stare nel suo studio, quando il paziente era un amico o un parente. Infilava la tenaglia nel cavo orale e, dopo un attimo, mi mostrava il dente. Forse voleva dimostrarmi che il suo non era un mestiere difficile». Sì, perché Renzo avrebbe dovuto fare proprio quel mestiere, ereditando l’ambulatorio paterno. Invece si iscrisse a Legge. «E non ho fatto nemmeno l’avvocato. Dopo la laurea, papà mi chiese cosa vuoi fare? Risposi: vorrei fare l’artista. Mi dette un anno di tempo per provare, era un ultimatum, una scommessa». Scommessa vinta.

Tutto merito degli Alleati: «Quando eravamo sfollati a Chieti, di fronte alla casa dove eravamo ospiti, c’era da una parte il comando tedesco: la mattina vedevo uscire i militari impettiti, armati di tutto punto, con gli stivali lucidi marciavano sbattendo i tacchi a terra. Ma un giorno vidi arrivare, dall’altra parte, le jeep degli americani, con la musica a tutta birra. Com’era possibile che si potesse sentire musica su un’automobile? Noi avevamo una vecchia Lancia con la manovella per metterla in moto e i predellini per salirci sopra… E allora, vedere quei ragazzi allegri che invadevano la città, le signorine che gli buttavano fiori e baci, era un’aria di festa. Non erano nemici, ma “paisà” che venivano a liberarci».

La bambinaia friulana La passione per il jazz nasce da quell’incontro, «anche se la vena artistica circolava già in famiglia: mio padre era un melomane, mia madre suonava le canzoni napoletane al pianoforte, mia sorella era soprano, mio fratello studiava da concertista… La nostra casa era inondata di musica. La prima canzone la imparai dalla bambinaia friulana: “la pupa alla finestra l’è tutta incipriata”», canticchia Arbore, il motivetto se lo ricorda ancora. «E poi a Foggia la città dov’è nato sono stato sicuramente il primo a indossare i blue jeans, li avevo comprati al mercatino. A casa venni subito redarguito: “Togliti quei pantaloni da elettricista”, tuonò mio padre. Ma a Napoli, dove frequentavo l’università, li indossavo regolarmente e mi tagliavo pure i capelli come i marines, il taglio crew cut». A Napoli nacque anche il rapporto con Renato Carosone, con Roberto Murolo e Sergio Bruni: «I miei maestri». E Gianni Boncompagni? «Ci incontrammo in Rai, a un concorso per maestro programmatore per la radiofonia. All’epoca la radio veniva considerata la sorella poveradella tv che era esplosa, il fenomeno mediatico del momento. Noi due con Bandiera gialla, e in seguito con Alto gradimento, dimostrammo che la radio era ancora viva, un mezzo innovativo per la generazione beat».

Perdersi e ritrovarsi Il resto è storia che, per Arbore, dilaga poi sul piccolo e sul grande schermo con trasmissioni mitiche come Quelli della notte e memorabili film come il Pap’occhio. Disc jokey, cantautore, attore, regista e soprattutto talent scout…Tranne il dentista e l’avvocato, non c’è un mestiere in ambito artistico che non abbia fatto: «Ho fatto pure il giornalista: sul Corrierone tenevo una rubrica musicale da pubblicista. Il mio unico cruccio – confessa – è che non so ballare. Mi piacerebbe farlo come sono capaci solo i neri». Un’attività tuttora frenetica con l’Orchestra Italiana: una sessantina di concerti all’anno in tutto il mondo. «Sono 26 anni che lo percorriamo, dall’Alpi alle Piramidi – scherza lo showman – dal Sud America al Cremlino». E domani è protagonista alla Festa del cinema di Roma degli Incontri ravvicinati (ore 16 Sala Sinopoli) per raccontare i suoi film. Una vita in perenne tournée, costellata di successi e di grandi amori: Mara Venier e soprattutto Mariangela Melato, scomparsa tre anni fa. Non può fare a meno di commuoversi pensando a lei. «È stata la donna più importante, mi ha dato la ragione interiore, il significato più profondo della vita personale. Pensavamo di sposarci, poi gli impegni artistici dividono per tanti motivi: lei andò in America, io rimasi a Roma, ci siamo allontanati e ci siamo ritrovati negli ultimi anni con un nuovo fuoco di passione assolutamente ardente».

Rammarichi e fallimenti Una vita da single: «Sì – ammette – ho messo troppa carne al fuoco, finalizzata al sogno che avevo di fare l’artista da grande». Niente figli: «Sì, un po’ mi mancano, così come mi manca l’esperienza di una famiglia, la villeggiatura tutti insieme… Il modello familiare tradizionale da cui provenivo l’ho proprio negato. Però ho cinque nipoti». E vive in una casa, un attico a Roma che prima di lui è appartenuto all’architetto Pier Luigi Nervi, affastellato di oggetti collezionati in anni di viaggi in giro per il pianeta, un autentico bazar: mobili e suppellettili per la maggior parte di plastica «rapinati», dice lui, soprattutto in America. «Quando Vittorio Gassmann venne per la prima volta a casa mia, rimase estasiato e mi disse: “Promettimi che, se mi riprende la depressione, mi ospiti qui. In un posto così non si può essere tristi”». Rammarichi in ambito professionale? «Bè, ebbi un infortunio con Rai International. Ero stato chiamato ad assumerne la direzione artistica e ne volevo fare una missione per portare la nostra cultura musicale, e non solo, nel mondo. L’avevo ribattezzata Rai Italia. Poi – aggiunge – si intrufolò la politica, si sono messi di mezzo i cattivi invidiosi e il progetto abortì. È il mio unico fallimento artistico. Non mi posso lamentare, se mi guardo indietro, posso dire di          aver inventato 14 format, uno diverso dall’altro, e adesso il futuro è il web: con www.renzoarborechannel.tv, razzolo molto in rete». Insomma, abbiamo perso un cavadenti: «Però – conclude – frequentando l’ambulatorio di papà, ho guadagnato un piccolo vantaggio: non ho paura del dentista».

 

(Nella foto Renzo Arbore)