Pubblicato il 11/10/2016, 15:30 | Scritto da Andrea Amato

Servizio pubblico: forse è davvero finito il tempo del monopolio Rai

Servizio pubblico: forse è davvero finito il tempo del monopolio Rai
Sky, Mediaset, La7 e Discovery in molti casi fanno programmi di pubblica utilità e allora perché il tesoretto del canone (riscosso in bolletta) deve finire esclusivamente nelle casse di viale Mazzini?

La rivoluzione Rai non sembra compiersi. Tanto vale stravolgere tutto il sistema

Davvero ha ancora senso avere un servizio pubblico televisivo a senso unico? Ovvero: è corretto che tutto il budget del canone televisivo, riscosso da quest’anno nella bolletta elettrica, vada nelle casse Rai? Non è forse anacronistico avere una tv di Stato con 11mila dipendenti, che più o meno è la somma di quelli di Mediaset, Sky, La7 e Discovery messi in insieme, se tanto poi le produzioni vengono appaltate a soggetti esterni? È servizio pubblico solo Porta a Porta su Rai 1 o anche Matrix su Canale 5? Politics su Rai 3 o anche diMartedì su La7? DettoFatto su Rai 2 o qualsiasi altro factual di Real Time? La seconda Guerra Mondiale raccontata su Rai Storia o un programma a caso (sono tutti bellissimi) di Sky Arte. Il problema sollevato da Urbano Cairo negli ultimi mesi, in effetti, è strettissima attualità: il servizio pubblico non è esclusivo della Rai.

Un altro segnale in questa direzione è la nomina di ieri di Francesca Folda alla comunicazione di Sky (leggi qui), ma con una nuova dicitura, dal valore non solo simbolico: Impatto Culturale. Sky Tg24, Sky Arte, ma anche l’intrattenimento di SkyUno (ricordiamo che grazie a MasterChef è risorta la tradizione della scuola alberghiera italiana, con un boom di iscrizioni negli ultimi anni) sono casi lampanti di servizio pubblico, svolto da un privato. In questo caso persino straniero. La forte trazione giornalistica di La7 è un altro esempio sotto gli occhi di tutti, ma anche i programmi di divulgazione di Discovery hanno il loro peso e il loro valore nell’economia culturale di questo Paese. E allora perché non fare una rivoluzione del sistema televisivo italiano distribuendo i proventi del canone a tutti quei soggetti che svolgono un reale servizio pubblico? Anche perché la tanto sbandierata rivoluzione della Rai voluta da Matteo Renzi e affidata ad Antonio Campo Dall’Orto non sembra viaggiare sul binario giusto. Anche perché il volenteroso direttore generale è sempre più solo e sempre più senza quelle coperture politiche che avrebbero dovuto tutelarlo. Quindi, se rivoluzione deve essere, che rivoluzione sia. Per davvero, però

 

Twitter@andreaaamato

 

(Nella foto Matteo Renzi)